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Intervista a George Hornby

«Quella delle persone con disabilità è una minoranza grande e in qualche modo riguarda (e riguarderà) ogni famiglia, quasi senza eccezione. Dunque, anche se la nostra malattia è particolare, credo che sia decisivo fare parte attivamente del gruppo più ampio di persone con disabilità.».

“Io e George” è un docu-film sulla sclerosi multipla ospitato da Rai 3 e prodotto da Pesci Combattenti. Un racconto in sei tappe, un viaggio dal Nord al Sud dell’Italia. Protagonisti la scrittrice Simonetta Agnello Hornby e suo figlio George, diagnosticato di sclerosi multipla 13 anni fa. In onda il venerdì in seconda serata a partire dal 20 novembre. “Un’esperienza ricca di scoperte e riflessioni, nate dalla voglia di «uscire dagli schemi tranquillizzanti» e di mettersi in strada”.

“Quando cerchiamo di ottenere inclusione sociale è meglio se ci integriamo, se ci mettiamo insieme ad altre associazioni e altre persone”

Sì, lavoravo in una banca di investimenti. Ho fatto sia l’avvocato che l’investment banker. Il mio lavoro mi portava spesso a viaggiare all’estero, più o meno partivo una volta alla settimana. A un certo punto non riuscivo più a viaggiare così facilmente, ogni viaggio comportava una grande fatica. E allora ho smesso di lavorare.

Cosa è cambiato, da allora?

Quando smetti di lavorare il tuo raggio sociale diminuisce di molto, quasi senza avvertirtene. Dopo tutto, è bello non lavorare? E questo rende anche più importante potere uscire di casa e fare cose comuni, così anche qualche contatto con la società esterna si mantiene.

Anche da voi c’è una pensione, un assegno di sostegno per le persone con disabilità?

Sì c’è un sostegno, minimo. Io sono fortunato: avevo un’assicurazione, che era parte dei miei diritti quando lavoravo in banca: mi paga due terzi del mio stipendio e continuerà fino a quando avrò l’età della pensione. È uno stipendio a vita praticamente.

È importante, così sei autonomo e non dipendi da nessuno…

Senza il sostegno morale e finanziario della mia famiglia non vivrei come vivo ora. Però questa assicurazione è un aiuto notevole fino ai 60 anni, è fondamentale. Finanziariamente altrimenti sarei molto più povero e mi sentirei meno indipendente.

Vivere bene e avere entrate adeguate è un diritto da garantire a tutti. Come si fa a passare da una garanzia individualizzata a un diritto collettivo?

Quando cerchiamo di ottenere inclusione sociale di chi ha la sclerosi multipla o la SLA è meglio se ci integriamo in una più grande associazione di disabili: anche se non farà esattamente al caso nostro specifico, è meglio se ci mettiamo insieme ad altre associazioni e altri malati, e anche ai vecchietti, che per esempio hanno gli stessi nostri problemi di mobilità nei trasporti pubblici.

Insieme si è più forti? Non si rischia però che poi arrivino risposte generiche quando i bisogni sono specifici?

Ho fatto ricerche sul livello di disabilità: in Inghilterra, secondo le cifre ufficiali del Governo, il 19% della popolazione inglese è disabile e dopo i 70 anni più del 50% della popolazione diventa disabile. Quella delle persone con disabilità, dunque, è una minoranza grande e in qualche modo riguarda (e riguarderà) ogni famiglia, quasi senza eccezione. Dunque, anche se la nostra malattia è particolare, credo che sia decisivo fare parte attivamente del gruppo più ampio delle persone con disabilità. Io per esempio faccio parte di un’organizzazione londinese che si chiama “Transport for all”, che fa campagne per avere i trasporti pubblici accessibili. Questo coinvolge tutte le persone con disabilità.

A proposito di condividere i diritti con tutti, le persone con sclerosi multipla in Italia nel 2014 hanno voluto scrivere, pubblicare e fare firmare da tutti la Carta dei Diritti delle Persone con SM. Ora siamo arrivati a più di 40 mila firme: vuoi aggiungere la tua?

Sì, sono pronto a firmare anche io.