Nelle concitate e tristi ore che seguono i drammatici fatti di Bruxelles, ci sono molti esempi di comunicazioni empatiche, che portano una goccia di partecipazione emotiva sana e di utile lucidità al mare mosso dell’emozione collettiva. E ci sono comunicazioni come il tweet di Trump, che ci raccontano una storia diversa.

Non so quante dosi di pensiero di Trump ci siano nel tweet e quante dosi siano del suo staff. Non è neanche così utile sapere il dosaggio esatto, dato che una campagna elettorale è un sistema compatto in cui le idee trovano eco coerente, per cui una frase appartiene comunque alla campagna, che sia pensata dal candidato, dal suo addetto stampa o da un gruppo di politologi.

Il tweet di Trump su Bruxelles — In italiano — Medium

Nella sintesi di un tweet, si può notare una parte consistente dell’impostazione della campagna di Trump. Prima di tutto, come fa notare Emanuele Menietti, nel tweet di Trump “non una parola di vicinanza o cordoglio, niente”. Non c’è alcun cenno di empatia, neanche un minimo di vicinanza con la città colpita. Il grugno duro della campagna non cede neanche di fronte a fatti drammatici.

Avranno forse pensato che il cordoglio sia troppo formale e stonerebbe per una campagna impostata su una comunicazione apparentemente diretta e che si vanta di non aver peli sulla lingua, in cui una certa rudezza di toni e lontananza dalla formalità sono considerati premianti.(Dopo qualche ora, Trump ha espresso il suo cordoglio, pur chiudendo il tweet con un roboante: “This madness must be stopped, and I will stop it”).

Oltre al tono, sono le frasi scritte nel tweet a essere significative. La prima frase è indicativa: “Do you all remember how beautiful and safe a place Brussels was”. È ragionevole pensare che solo una minoranza dell’audience americana cui si rivolge la comunicazione sia stata a Bruxelles e conosca davvero la città.

L’espressione “Do you all remember” è quindi iperbolica. Qualcuno dei lettori del tweet ricorderà qualcosa, qualcuno avrà nozioni meno che essenziali sulla città, ma non “you all remember”. La comunicazione così congegnata mette chi legge nella situazione di ritenere normale due caratteristiche (“beautiful and safe”) di una città di cui probabilmente avrà solo informazioni sommarie. Il ricevente si sente parte di un pensiero comune che, in realtà, non è affatto diffuso e comune come sembra (per il semplice motivo che non è parte delle conversazioni usuali e delle verità inoppugnabili, ma parte delle nozioni dibackground).

Un dato di fatto normale — una bella e tranquilla città —viene gonfiato in modo sproporzionato: “Do you all remember”. A suo modo, questa frase rispecchia la campagna di Trump (non è certo il primo nelle elezioni americane), che tende a elaborare la realtà in modo elastico.


Una parte dell’elettorato che si affida a Trump (non tutto l’elettorato, naturalmente: il corpo elettorale è sempre più complesso e variegato di ciò che sembra) sente di poter partecipare al dibattito politico perché questo gli viene offerto dalla campagna di Trump in modo semplice e smontato in modo da poter essere elaborato senza fatica.

Non la semplicità di spiegare bene le faccende del mondo, bensì la facilità da scorciatoia di far sentire una persona parte del “Tutti sanno che”, del “Tutti conosciamo”.

Normalmente, per poter valutare un messaggio e capire cosa aggiunga a ciò che sappiamo, ci si domanda implicitamente “Cosa conosco già rispetto all’informazione che mi viene data? Cosa conosco della città citata?”. Però in alcuni potrebbe attivarsi un meccanismo diverso: se è scontato che tutti pensano X e io non ho mai avuto modo né di affermare né di negare X, allora significa che anch’io penso X. È come se uno avesse sempre pensato X, senza essersene reso conto.

Se sono certo di un fatto, sono più robusto (anche se non invincibile) rispetto all’opinione contraria degli altri. Ma se non ho certezze approfondite di un fatto (ad esempio, non sono mai stato in una data città) ciò che gli altri danno per scontato tende a diventare la mia opinione, magari con la tendenza ulteriore a considerare tale opinione scontata, immemore del fatto che fino a qualche minuto prima quel pensiero non era neanche presente.

Il “Do you all remember”, con il suo appellarsi a tutti e con il suo citare il ricordo (come se fosse qualcosa di depositato da tempo nella nostra mente) ha questo senso di ineluttabile conoscenza diffusa.


Da notare il beautiful messo prima di safe. Che Bruxelles in queste ore sia stata meno sicura rispetto al passato è dato condiviso (con tutto l’augurio, naturalmente, che torni a essere una città sicura). Da quella testa di ponte, si edifica il ponte completo con un dato che è considerato altrettanto indiscutibile e opinione comune, ossia il beautiful. E così, “Do you all remember how beautiful and safe a place Brussels was” crea, in una frase, un oggetto di senso completo e assodato.

Il was finale toglie il terreno sotto i piedi e afferma— in modo altrettanto lapidario — che quell’oggetto di senso non c’è più. Così come la comunicazione fa apparire chiara la sua esistenza, altrettanto palese è la sua assenza: was. La frase successiva finalizza il cambio di scena ineluttabile della situazione: “Not anymore, it is from a different world!” Anche in questo caso, si aggiunge un carico iperbolico: “from a different world!”

Èun modo di comunicare che non cerca elaborazioni che vadano oltre le (presunte) verità lapalissiane che la comunicazione stessa pone alla base di sé; verità lapalissiane che vengono negate con altrettanto vigore, per creare un cortocircuito che diventa apparentemente una logica inoppugnabile.

Pur vero che si tratta di un tweet, che non consente molte articolazioni. Ma è un esempio di pensiero strutturato per polarizzazioni assolute, in cui l’assoluto non è qualcosa di astratto: si selezionano anzi come poli dei concetti semplici che tutti possano capire, caricandoli di una sproporzionata verità assoluta.

Il tweet di Trump non è l’unico esemplare, né la sua campagna è l’unica ad adottare questo stile. Una parte della comunicazione complessiva che ci circonda ha lo stesso tono di “scontatismo” che non aiuta a pensare, ma che si limita a sollecitare reazioni altrettanto piatte. È compito di noi lettori e riceventi andare oltre e leggere con maggiore articolazione, per restituire alla realtà la sua irriducibile complessità.