Categoria: Politica

  • La vittoria degli ignoranti.

    La vittoria degli ignoranti.

    Risposta a Essendo agnostico sull’allunaggio del 69, come fanno alcune persone ad essere sicure che sono o non sono andati? Erano sulla luna a vedere o nel set cinematografico per avere queste certezze?

    È DNA al microscopio. E tu credi davvero che questa foto sfocata di una specie di laccio da scarpe possa dimostrare l’esistenza di una doppia elica che contiene al suo interno tutta l’informazione per creare un essere vivente? E dove sono i due filamenti avvolti di cui tutti parlano? Dove sono i macchinari di trascrizione e traduzione? Su Internet si trovano solo filmati 3D. Nessun essere umano ha mai visto un gene venire trascritto così come riportato nei disegnini dei libri di biologia. Né esiste alcun filmato, solo fotogrammi sgranati.

    E allora perché ci credi?

    Tutta la conoscenza umana richiede sempre un quanto di fiducia per essere trasmessa, perché esiste una frattura incolmabile tra la realtà e il modo in cui la percepiamo. Non puoi essere sicuro di non vivere in una simulazione, non puoi essere sicuro che il pianeta Terra esista (e se in realtà ti trovi in un altro universo attaccato a una macchina?), non puoi neppure essere sicuro di essere vivo. E quest’ultimo esempio puoi vederlo coi tuoi occhi: chi soffre della sindrome di Cotard è genuinamente convinto di essere morto

    Puoi cercare di convincerlo del contrario con prove che a te sembrano inconfutabili, ma non ti crederà. Ovviamente per rendere credibile questa informazione io ho incluso una fonte, ma a che serve se non credi a ciò di cui non hai esperienza diretta (che è comunque sempre mediata dai sensi)? Magari la sindrome di Cotard non esiste e me la sono inventata adesso. E se anche segui la fonte, può essere che abbia io stesso scritto la pagina Wikipedia che ho citato.

    A cosa credi? E perché credi a quello a cui credi e non credi a quello a cui non credi?

    Magari le risposte a queste domande non ti diranno nulla sull’allunaggio, ma potrebbero dirti molto su te stesso.

  • Sulla realtà

    Risposta a Essendo agnostico sull’allunaggio del 69, come fanno alcune persone ad essere sicure che sono o non sono andati? Erano sulla luna a vedere o nel set cinematografico per avere queste certezze?

    È DNA al microscopio. E tu credi davvero che questa foto sfocata di una specie di laccio da scarpe possa dimostrare l’esistenza di una doppia elica che contiene al suo interno tutta l’informazione per creare un essere vivente? E dove sono i due filamenti avvolti di cui tutti parlano? Dove sono i macchinari di trascrizione e traduzione? Su Internet si trovano solo filmati 3D. Nessun essere umano ha mai visto un gene venire trascritto così come riportato nei disegnini dei libri di biologia. Né esiste alcun filmato, solo fotogrammi sgranati.

    E allora perché ci credi?

    Tutta la conoscenza umana richiede sempre un quanto di fiducia per essere trasmessa, perché esiste una frattura incolmabile tra la realtà e il modo in cui la percepiamo. Non puoi essere sicuro di non vivere in una simulazione, non puoi essere sicuro che il pianeta Terra esista (e se in realtà ti trovi in un altro universo attaccato a una macchina?), non puoi neppure essere sicuro di essere vivo. E quest’ultimo esempio puoi vederlo coi tuoi occhi: chi soffre della sindrome di Cotard è genuinamente convinto di essere morto[1]. Puoi cercare di convincerlo del contrario con prove che a te sembrano inconfutabili, ma non ti crederà. Ovviamente per rendere credibile questa informazione io ho incluso una fonte, ma a che serve se non credi a ciò di cui non hai esperienza diretta (che è comunque sempre mediata dai sensi)? Magari la sindrome di Cotard non esiste e me la sono inventata adesso. E se anche segui la fonte, può essere che abbia io stesso scritto la pagina Wikipedia che ho citato.

    A cosa credi? E perché credi a quello a cui credi e non credi a quello a cui non credi?

    Magari le risposte a queste domande non ti diranno nulla sull’allunaggio, ma potrebbero dirti molto su te stesso

  • La politica economica in un mondo che cambia

    La politica economica in un mondo che cambia

    Nel prossimo futuro la politica fiscale sarà chiamata a svolgere un ruolo più significativo

    di Mario Draghi

    15 febbraio 2024

    Vi proponiamo il discorso integrale che Mario Draghi ha tenuto al Nabe, Economic Policy Conference di Washington, durante il conferimento del premio Paul A. Volcker Lifetime Achievement Award

    Tutti i governi, fino a non molto tempo fa, nutrivano grandi aspettative sulla globalizzazione, intesa come integrazione dinamica dell’economia mondiale.
    Si pensava che la globalizzazione avrebbe aumentato la crescita e il benessere a livello mondiale, grazie a un’organizzazione più efficiente delle risorse mondiali. Man mano che i Paesi sarebbero diventati più ricchi, più aperti e più orientati al mercato, si sarebbero diffusi i valori democratici insieme allo Stato di diritto. E tutto ciò avrebbe reso le economie emergenti più produttive nelle istituzioni multilaterali, legittimando ulteriormente l’ordine globale.
    Lo stato d’animo prevalente è stato ben colto da George H.W. Bush nel 1991, quando ha affermato che “nessuna nazione sulla Terra ha scoperto un modo per importare i beni e i servizi del mondo fermando le idee alla frontiera”.
    Questo circolo virtuoso porterebbe anche a una “uguaglianza per difetto”, nel senso che non sarebbe necessaria alcuna politica governativa specifica per raggiungerla. Piuttosto, avremmo una convergenza armoniosa verso standard di vita più elevati, valori universali e stato di diritto internazionale. Non c’è dubbio che alcune di queste aspettative si siano realizzate. L’apertura dei mercati globali ha portato decine di Paesi nell’economia mondiale e ha fatto uscire dalla povertà milioni di persone – 800 milioni solo in Cina negli ultimi 40 anni. Ha generato il più ampio e rapido miglioramento della qualità della vita mai visto nella storia.
    Ma il nostro modello di globalizzazione conteneva anche una debolezza fondamentale. La persistenza del libero scambio fra Paesi necessita che vi siano regole internazionali e regolamenti delle controversie recepite da tutti i Paesi partecipanti. Ma in questo nuovo mondo globalizzato, l’impegno di alcuni dei maggiori partner commerciali a rispettare le regole è stato ambiguo fin dall’inizio. A differenza del mercato unico dell’UE, dove il rispetto delle regole è intrinseco e avviene attraverso la Corte di giustizia europea, le organizzazioni internazionali create per supervisionare l’equità del commercio globale non sono mai state dotate di indipendenza e poteri equivalenti.
    Pertanto, l’ordine commerciale mondiale globalizzato è sempre stato vulnerabile a una situazione in cui qualsiasi paese o gruppo di paesi poteva decidere che il rispetto delle regole non sarebbe servito ai propri interessi a breve termine.
    Per fare solo un esempio, nei primi 15 anni di adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), la Cina non ha notificato all’OMC alcun sussidio del governo sub-centrale, nonostante la maggior parte dei sussidi sia erogata dai governi provinciali e locali. Questa inadempienza era nota da anni: già nel 2003 si era notato che gli sforzi della Cina per l’attuazione dell’OMC avevano “perso un notevole slancio”, ma l’indifferenza ha prevalso e non è stato fatto nulla di concreto per affrontarla.
    Le conseguenze di questa scarsa conformità a regole condivise sono state economiche, sociali e politiche.
    La globalizzazione ha portato a grandi squilibri commerciali, ed i responsabili politici hanno tardato a riconoscerne le conseguenze. Questi squilibri sono sorti in parte perché l’apertura del commercio avveniva tra Paesi con livelli di sviluppo molto diversi, il che ha limitato la capacità dei Paesi più poveri di assorbire le importazioni da quelli più ricchi e ha dato loro la giustificazione per proteggere le industrie domestiche nascenti dalla concorrenza estera.

    Ma riflettono anche scelte politiche deliberate in ampie parti del mondo per accumulare avanzi commerciali e limitare l’aggiustamento del mercato. Dopo la crisi del 1997, le economie dell’Asia orientale hanno utilizzato le eccedenze commerciali per accumulare grandi riserve valutarie e autoassicurarsi contro gli shock della bilancia dei pagamenti, soprattutto impedendo l’apprezzamento dei tassi di cambio, mentre la Cina ha perseguito una strategia deliberata a lungo termine per liberarsi dalla dipendenza dall’Occidente per i beni capitali e la tecnologia.

    Dopo la crisi dell’eurozona del 2011, anche l’Europa ha perseguito una politica di accumulo deliberato di avanzi delle partite correnti, anche se in questo caso attraverso le errate politiche fiscali procicliche sancite dalle nostre regole che hanno depresso la domanda interna e il costo del lavoro. In una situazione in cui i meccanismi di solidarietà dell’UE erano limitati, questa posizione poteva persino essere comprensibile per i paesi che dipendevano dai finanziamenti esterni. Ma anche quelli con posizioni esterne forti, come la Germania, hanno seguito questa tendenza. Queste politiche hanno fatto sì che le partite correnti dell’area dell’euro siano passate da un sostanziale equilibrio prima della crisi a un massimo di oltre il 3% del PIL nel 2017. A questo picco, si trattava in termini assoluti del più grande avanzo delle partite correnti al mondo. In percentuale del PIL mondiale, solo la Cina nel 2007-08 e il Giappone nel 1986 hanno registrato un avanzo più elevato.

    L’accumulo di eccedenze ha portato a un aumento del risparmio globale in eccesso e a un calo dei tassi reali globali, un fenomeno rilevato da Ben Bernanke già nel 2005. A questo non è corrisposto un aumento della domanda di investimenti. Gli investimenti pubblici sono diminuiti di quasi due punti percentuali nei Paesi del G7 dagli anni ’90 al 2010, mentre gli investimenti del settore privato si sono bloccati una volta che le imprese hanno ridotto la leva finanziaria dopo la grande crisi finanziaria.

    Questo calo dei tassi reali ha contribuito in modo sostanziale alle sfide incontrate dalla politica monetaria negli anni 2010, quando i tassi di interesse nominali sono stati schiacciati sul limite inferiore. La politica monetaria è stata ancora in grado di generare occupazione attraverso misure non convenzionali e ha prodotto risultati migliori di quanto molti si aspettassero. Ma queste misure non sono state sufficienti per eliminare completamente il rallentamento del mercato del lavoro. Le conseguenze sociali si sono manifestate in una perdita secolare di potere contrattuale nelle economie avanzate, poiché i posti di lavoro sono stati spostati dalla delocalizzazione o le richieste salariali sono state contenute dalla minaccia della delocalizzazione. Nelle economie del G7, le esportazioni e le importazioni totali di beni sono aumentate di circa 9 punti percentuali dall’inizio degli anni ’80 alla grande crisi finanziaria, mentre la quota di reddito del lavoro è scesa di circa 6 punti percentuali in quel periodo. Si è trattato del calo più marcato da quando i dati relativi a queste economie sono iniziati nel 1950.

    Ne sono seguite le conseguenze politiche. Di fronte a mercati del lavoro fiacchi, investimenti pubblici in calo, diminuzione della quota di manodopera e delocalizzazione dei posti di lavoro, ampi segmenti dell’opinione pubblica dei Paesi occidentali si sono giustamente sentiti “lasciati indietro” dalla globalizzazione.

    Di conseguenza, contrariamente alle aspettative iniziali, la globalizzazione non solo non ha diffuso i valori liberali, perché la democrazia e la libertà non viaggiano necessariamente con i beni e i servizi, ma li ha anche indeboliti nei Paesi che ne erano i più forti sostenitori, alimentando invece l’ascesa di forze orientate verso l’interno. La percezione dell’opinione pubblica occidentale è diventata quella che i cittadini comuni stessero giocando in un gioco imperfetto, che aveva causato la perdita di milioni di posti di lavoro, mentre i governi e le imprese rimanevano indifferenti.

    Al posto dei canoni tradizionali di efficienza e ottimizzazione dei costi, i cittadini volevano una distribuzione più equa dei benefici della globalizzazione e una maggiore attenzione alla sicurezza economica. Per ottenere questi risultati, ci si aspettava un uso più attivo dello “statecraft” (l’arte di governare), che si trattasse di politiche commerciali assertive, protezionismo o redistribuzione.

    Una serie di eventi ha poi rafforzato questa tendenza. In primo luogo, la pandemia ha sottolineato i rischi di catene di approvvigionamento globali estese per beni essenziali come farmaci e semiconduttori. Questa consapevolezza ha portato al cambiamento di molte economie occidentali verso il re-shoring delle industrie strategiche e l’avvicinamento delle catene di fornitura critiche.La guerra di aggressione in Ucraina ci ha poi indotto a riesaminare non solo dove acquistiamo i beni, ma anche da chi. Ha messo in luce i pericoli di un’eccessiva dipendenza da partner commerciali grandi e inaffidabili che minacciano i nostri valori. Ora, ovunque vediamo che la sicurezza degli approvvigionamenti – di energia, terre rare e metalli – sta salendo nell’agenda politica. Questo cambiamento si riflette nell’emergere di blocchi di nazioni che sono in gran parte definiti dai loro valori comuni e sta già portando a cambiamenti significativi nei modelli di commercio e investimento globali. Dall’invasione dell’Ucraina, ad esempio, il commercio tra alleati geopolitici è cresciuto del 4-6% in più rispetto a quello con gli avversari geopolitici. Anche la quota di IDE che si svolge tra Paesi geopoliticamente allineati è in aumento.

    E, nel frattempo, è aumentata l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico. Raggiungere lo zero netto in tempi sempre più brevi richiede approcci politici radicali in cui il significato di commercio sostenibile viene ridefinito. L’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti e, in prospettiva, il Carbon Border Adjustment Mechanism dell’UE danno entrambi la priorità agli obiettivi di sicurezza climatica rispetto a quelli che in precedenza erano considerati effetti distorsivi sul commercio.

    Questo periodo di profondi cambiamenti nell’ordine economico globale comporta sfide altrettanto profonde per la politica economica. In primo luogo, cambierà la natura degli shock a cui sono esposte le nostre economie. Negli ultimi trent’anni, le principali fonti di disturbo della crescita sono state gli shock della domanda, spesso sotto forma di cicli del credito. La globalizzazione ha causato un flusso continuo di shock positivi dell’offerta, in particolare aggiungendo ogni anno decine di milioni di lavoratori al settore commerciale delle economie emergenti. Ma questi cambiamenti sono stati per lo più fluidi e continui.

    Ora, con l’avanzamento della Cina nella catena del valore, non sarà sostituita da un altro esportatore di rallentamento del mercato del lavoro globale. Al contrario, è probabile che si verifichino shock negativi dell’offerta più frequenti, più gravi e anche più consistenti, mentre le nostre economie si adattano a questo nuovo contesto.

    È probabile che questi shock dell’offerta derivino non solo da nuovi attriti nell’economia globale, come conflitti geopolitici o disastri naturali, ma ancor più dalla nostra risposta politica per mitigare tali attriti. Per ristrutturare le catene di approvvigionamento e decarbonizzare le nostre economie, dobbiamo investire un’enorme quantità di denaro in un orizzonte temporale relativamente breve, con il rischio che il capitale venga distrutto più velocemente di quanto possa essere sostituito.

    In molti casi, stiamo investendo non tanto per aumentare lo stock di capitale, quanto per sostituire il capitale che viene reso obsoleto da un mondo in continua evoluzione. Per illustrare questo punto, si pensi ai terminali di GNL costruiti in Europa negli ultimi due anni per alleviare l’eccessiva dipendenza dal gas russo. Non si tratta di investimenti destinati ad aumentare il flusso di energia nell’economia, ma piuttosto a mantenerlo.

    Gli investimenti nella decarbonizzazione e nelle catene di approvvigionamento dovrebbero aumentare la produttività nel lungo periodo, soprattutto se comportano una maggiore adozione della tecnologia. Tuttavia, ciò implica una temporanea riduzione dell’offerta aggregata mentre le risorse vengono rimescolate all’interno dell’economia.Il secondo cambiamento chiave nel panorama macroeconomico è che la politica fiscale sarà chiamata a svolgere un ruolo maggiore, il che significa – mi aspetto – deficit pubblici persistentemente più elevati. Il ruolo della politica fiscale è classicamente suddiviso in allocazione, distribuzione e stabilizzazione, e su tutti e tre i fronti è probabile che le richieste di spesa pubblica aumentino.

    La politica fiscale sarà chiamata a incrementare gli investimenti pubblici per soddisfare le nuove esigenze di investimento. I governi dovranno affrontare le disuguaglianze di ricchezza e di reddito. Inoltre, in un mondo di shock dell’offerta, la politica fiscale dovrà probabilmente svolgere anche un ruolo di stabilizzazione maggiore, un ruolo che in precedenza avevamo assegnato principalmente alla politica monetaria.

    Abbiamo assegnato questo ruolo alla politica monetaria proprio perché ci trovavamo di fronte a shock della domanda che le banche centrali sono in grado di gestire. Ma un mondo di shock dell’offerta rende più difficile la stabilizzazione monetaria. I ritardi della politica monetaria sono in genere troppo lunghi per frenare l’inflazione indotta dall’offerta o per compensare la contrazione economica che ne deriva, il che significa che la politica monetaria può al massimo concentrarsi sulla limitazione degli effetti di secondo impatto.

    Pertanto, la politica fiscale sarà naturalmente chiamata a svolgere un ruolo maggiore nella stabilizzazione dell’economia, in quanto le politiche fiscali possono attenuare gli effetti degli shock dell’offerta sul PIL con un ritardo di trasmissione più breve. Lo abbiamo già visto durante lo shock energetico in Europa, dove i sussidi hanno compensato le famiglie per circa un terzo della loro perdita di benessere – e in alcuni Paesi dell’UE, come l’Italia, hanno compensato fino al 90% della perdita di potere d’acquisto per le famiglie più povere.

    Nel complesso, questi cambiamenti indicano una crescita potenziale più bassa man mano che si svolgono i processi di aggiustamento e una prospettiva di inflazione più volatile, con nuove pressioni al rialzo derivanti dalle transizioni economiche e dai persistenti deficit fiscali. Inoltre, abbiamo un terzo cambiamento: se stiamo entrando in un’epoca di maggiore rivalità geopolitica e di relazioni economiche internazionali più transazionali, i modelli di business basati su ampi avanzi commerciali potrebbero non essere più politicamente sostenibili. I Paesi che vogliono continuare a esportare beni potrebbero dover essere più disposti a importare altri beni o servizi per guadagnarsi questo diritto, pena l’aumento delle misure di ritorsione.

    Questo cambiamento nelle relazioni internazionali inciderà sull’offerta globale di risparmio, che dovrà essere riallocato verso gli investimenti interni o ridotto da un calo del PIL. In entrambi gli scenari, la pressione al ribasso sui tassi reali globali che ha caratterizzato gran parte dell’era della globalizzazione dovrebbe invertirsi.

    Questi cambiamenti comportano conseguenze ancora molto incerte per le nostre economie. Un’area di probabile cambiamento sarà la nostra architettura di politica macroeconomica.

    Per stabilizzare il potenziale di crescita e ridurre la volatilità dell’inflazione, avremo bisogno di un cambiamento nella strategia politica generale, che si concentri sia sul completamento delle transizioni in corso dal lato dell’offerta, sia sullo stimolo alla crescita della produttività, dove l’adozione estesa dell’IA (intelligenza artificiale) potrebbe essere d’aiuto.

    Ma per fare tutto questo in fretta sarà necessario un mix di politiche appropriato: un costo del capitale sufficientemente basso per stimolare la spesa per gli investimenti, una regolamentazione finanziaria che sostenga la riallocazione del capitale e l’innovazione, e una politica della concorrenza che faciliti gli aiuti di Stato quando sono giustificati.

    Una delle implicazioni di questa strategia è che la politica fiscale diventerà probabilmente più interconnessa alla politica monetaria. A breve termine, se la politica fiscale avrà uno spazio sufficiente per raggiungere i suoi vari obiettivi dipenderà dalle funzioni di reazione delle banche centrali. In prospettiva, se la crescita potenziale rimarrà bassa e il debito pubblico ai massimi storici, la dinamica del debito sarà meccanicamente influenzata dal livello più elevato dei tassi reali.

    Ciò significa che probabilmente aumenterà la richiesta di coordinamento delle politiche economiche, cosa non implicita nell’attuale architettura di politica macroeconomica. In effetti, questa architettura ha volutamente assegnato diverse importanti funzioni politiche ad agenzie indipendenti, che operano a distanza dai governi, in modo da essere isolate dalle pressioni politiche – e questo ha senza dubbio contribuito alla stabilità macroeconomica a lungo termine. Tuttavia, è importante ricordare che indipendenza non significa necessariamente separazione e che le diverse autorità possono unire le forze per aumentare lo spazio politico senza compromettere i propri mandati. Lo abbiamo visto durante la pandemia, quando le autorità monetarie, fiscali e di vigilanza bancaria hanno unito le forze per limitare i danni economici dei blocchi e prevenire un crollo deflazionistico. Questo mix di politiche ha permesso a entrambe le autorità di raggiungere i propri obiettivi in modo più efficace.

    Allo stesso modo, nelle condizioni attuali una strategia politica coerente dovrebbe avere almeno due elementi.

    In primo luogo, deve esserci un percorso fiscale chiaro e credibile che si concentri sugli investimenti e che, nel nostro caso, preservi i valori sociali europei. Ciò darebbe maggiore fiducia alle banche centrali che la spesa pubblica corrente, aumentando la capacità di offerta, porterà a una minore inflazione domani.

    In Europa, dove le politiche fiscali sono decentralizzate, possiamo anche fare un passo avanti finanziando più investimenti collettivamente a livello dell’Unione. L’emissione di debito comune per finanziare gli investimenti amplierebbe lo spazio fiscale collettivo a nostra disposizione, alleggerendo alcune pressioni sui bilanci nazionali. Allo stesso tempo, dato che la spesa dell’UE è più programmatica – spesso si estende su un orizzonte di più anni – la realizzazione di investimenti a questo livello garantirebbe un impegno più forte affinché la politica fiscale sia in ultima analisi non inflazionistica, cosa che le banche centrali potrebbero riflettere nelle loro prospettive di inflazione a medio termine.In secondo luogo, se le autorità fiscali dovessero definire percorsi di bilancio credibili in questo modo, le banche centrali dovrebbero assicurarsi che l’obiettivo principale delle loro decisioni siano le aspettative di inflazione. Nei prossimi anni la politica monetaria si troverà ad affrontare un contesto difficile, in cui dovrà più che mai distinguere tra inflazione temporanea e permanente, tra spinte alla crescita salariale e spirali che si autoavverano, e tra le conseguenze inflazionistiche di una spesa pubblica buona o cattiva.

    In questo contesto, una misurazione accurata e un’attenzione meticolosa alle aspettative di inflazione sono il modo migliore per garantire che le banche centrali possano contribuire a una strategia politica globale senza compromettere la stabilità dei prezzi o la propria indipendenza. Questo obiettivo permette di distinguere con precisione gli shock temporanei al rialzo dei prezzi, come gli spostamenti dei prezzi relativi tra settori o l’aumento dei prezzi delle materie prime legato a maggiori investimenti, dai rischi di inflazione persistente. Abbiamo bisogno di spazio politico per investire nelle transizioni e aumentare la crescita della produttività. Le politiche economiche devono essere coerenti con una strategia e un insieme di obiettivi comuni. Ma trovare la strada per questo allineamento politico non sarà facile. Le transizioni che le nostre società stanno intraprendendo, siano esse dettate dalla nostra scelta di proteggere il clima o dalle minacce di autocrati nostalgici, o dalla nostra indifferenza alle conseguenze sociali della globalizzazione, sono profonde. E le differenze tra i possibili risultati non sono mai state così marcate.

    Ma i cittadini conoscono bene il valore della nostra democrazia e ciò che ci ha dato negli ultimi ottant’anni. Vogliono preservarla. Vogliono essere inclusi e valorizzati al suo interno. Spetta ai leader e ai politici ascoltare, capire e agire insieme per progettare il nostro futuro comune.

  • Noam Chomsky manipolazione della democrazia.

    Noam Chomsky manipolazione della democrazia.

    Dedicate 5 minuti e non ve ne pentirete.

    Non foss’altro per ampliare le proprie conoscenze.

    • 1-La strategia della distrazione

    L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.

    La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza.

    Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

    • 2- Creare problemi e poi offrire le soluzioni.

    Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

    • 3- La strategia della gradualità.

    Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni ‘80 e ‘90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.

    • 4- La strategia del differire.

    Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.

    • 5- Rivolgersi al pubblico come ai bambini.

    La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).

    • 6- Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.

    Sfruttate l’emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un’analisi razionale e, infine, il senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti.

    • 7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.

    Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù.

    “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori”.

    • 8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.

    Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti …

    • 9- Rafforzare l’auto-colpevolezza.

    Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!

    • 10- Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono.

    Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.

    Noam Chomsky, uno dei piu’ importanti intellettuali oggi in Vita, ha elaborato la lista delle 10 strategie della manipolazione attraverso i mass media.

    https://democraziamanipolazionetrasparenza.quora.com/https-viaggiareconlentezza-quora-com-Noam-Chomsky-uno-dei-piu-importanti-intellettuali-oggi-in-Vita-ha-elaborato-la-li?ch=18&oid=111193508&share=0f6a055d&srid=vNXkr&target_type=post

  • 8 consigli per una campagna elettorale efficace tratti da “I segreti dell’urna”

    8 consigli per una campagna elettorale efficace tratti da “I segreti dell’urna”

    La campagna elettorale può essere vista come una vera e propria campagna militare. Nulla deve essere affidato al caso: analisi, strategia, comandanti, squadra, spirito. Senza questi, le conquiste di Alessandro Magno, Giulio Cesare o Napoleone Bonaparte non sarebbero esistite. 

    Ecco 8 consigli su come svolgere una campagna elettorale al meglio, tratti dal libro “I segreti dell’urna” di Giovanni Diamanti.

    1. Conosci te stesso, il tuo avversario e il contesto

    Bisogna conoscere alla perfezione l’attacco e la difesa degli avversari per poterli colpire. Ricorda però che prima devi conoscere te stesso: le tue qualità, i tuoi difetti, i punti di forza da valorizzare e i punti deboli da arginare sui quali faranno leva gli avversari. 

    Una volta che hai acquisito coscienza di chi sei e di chi è il tuo avversario, analizza attentamente il campo da gioco, ossia il contesto

    Nel 2008 Obama spiazzò gli avversari investendo fortemente negli stati repubblicani. Questa mossa nacque da un’attenta analisi che prese in considerazione l’evoluzione demografica dei territori in questione. Emerse che nello Stato chiave della Virginia la componente afroamericana era sempre più numerosa. Per chi avrebbero votato se non per un giovane candidato che probabilmente sarebbe diventato il primo afroamericano Presidente degli Stati Uniti d’America?

    2. Abbassa le aspettative per sorprendere

    Aspettative, sorprese, delusioni: come utilizzarle? 

    Nel 2004 lo staff di Bush dipinse l’avversario John Kerry come un oratore imbattibile, innalzando così le aspettative intorno alla sua figura. Così facendo, pose le basi per provocare, in caso di sconfitta di Kerry nel dibattito tra candidati, un forte sgomento tra i suoi sostenitori. Fu ciò che avvenne. 

    Non sempre però si ottengono i risultati sperati: talvolta abbassare troppo le aspettative sul proprio conto genera un senso di impotenza e sconfitta preannunciata, regalando così la vittoria all’avversario. Fondamentale è il ruolo dei media: gran parte della popolazione non segue i dibattiti veri e propri ma si fa un’idea sulla base della narrazione mediatica. Questo spiega perché alcune vittorie sono considerate “mutilate” e alcune sconfitte “gloriose”. Per esempio, se sei un candidato di destra e perdi di poco in un “terra rossa” (o, viceversa, se sei di sinistra e vinci in un territorio storicamente di destra) punta l’attenzione sull’ottimo risultato che avete ottenuto tu e la tua lista: la sconfitta verrà percepita come “gloriosa” e porrà le basi per una futura candidatura. Vincere non è sempre l’obiettivo: a volte bisogna puntare sul lungo termine, sulle sfide future.

    3. Vinci senza combattere

    In alcune circostanze si può portare a casa il risultato senza sporcarsi le mani. Come? 

    Parti in anticipo, scendi in campo prima degli altri

    Se sei un personaggio noto nel tuo territorio, i possibili competitor saranno scoraggiati nel vedere che dovranno competere con te, quindi non si candideranno o si ritireranno in corsa. 

    In ogni caso, uno strumento che può venirti incontro è il sondaggio: dimostrando che sei in vantaggio rispetto agli altri, instillerà timori ed incertezze tra gli avversari.

    Appena nei hai la possibilità, organizza eventi e coinvolgi più persone possibili: i bagni di folla spaventeranno gli altri candidati.

    4. Scegli il campo di battaglia

    Sun Tzu, generale e filosofo cinese, diceva che il generale esperto non va, ma fa venire l’avversario. Così si sceglie il terreno dello scontro. 

    Una tecnica formidabile è il framing: l’interpretazione che si impone ai media quando si parla di un determinato argomento. Ne ha parlato George Lakoff nell’opera “Non pensare all’elefante” (consigliato da noi in questo articolo, insieme ad altri libri e alcuni film sulla comunicazione politica). 

    Un esempio è il tema “immigrazione”: in base allo schieramento politico e ideologico, ogni personaggio politico cerca di imporre la propria visione che può essere “pericolo per la sicurezza”, “opportunità per nuova forza lavoro” oppure “questione di umanità e moralità”. 

    Anche qui conta la tempistica: se sei il primo a parlare di un argomento, impostando preventivamente la tua visione, avrai più successo nel dibattito. Meglio se sei tu a sollevare una questione, così da avere il dominio sul campo da gioco. Sempre riguardo al tema immigrazione, la Lega è stato il primo partito a parlarne con un messaggio forte e chiaro, precedendo gli altri partiti, i quali hanno dovuto spesso rincorrerla su questo tema. Se assumi determinate posizioni e noti che quelle del tuo avversario sono più premiate dall’opinione pubblica, non cambiare idea per copiare le sue, rimani coerente e alla lunga potrai essere premiato. La gente preferisce l’originale all’imitazione

    5. Valorizza i tuoi punti di forza

    Una strategia di marketing efficace prevede di incentrare le campagne pubblicitarie su un’unica ragione di vendita da comunicare in maniera quasi compulsiva.

    Il contenuto del messaggio, come diceva James Carville (consulente di Bill Clinton), deve avere tre requisiti: semplicitàrilevanza e reiterazione. Avrai sicuramente notato come gli esponenti politici rilancino le stesse proposte e gli stessi slogan sempre e ovunque. Pochi messaggi chiari e di impatto, questa è la regola. 

    Il motivo è che le persone sono spesso disinteressate ed il livello dell’attenzione è sempre più basso. I messaggi che lanci devono dunque suscitare interesse ed essere compresi nel minor tempo possibile. Anche in questo caso la tempistica è fondamentale: definisciti prima che ti definiscano gli altri! Prendi subito posizione e ritaglia il tuo profilo politico con caratteristiche positive, puntando sui pregi. Se lo fai tu, puoi giocare in vantaggio. Se lo fanno gli altri, punteranno sui tuoi difetti.

    6. Non trascurare i punti di debolezza

    Fare un bilancio dei tuoi punti di forza e di debolezza è una pratica indispensabile. Mettiti nei panni dell’avversario: ti permette di immaginare su cosa andranno a parare i suoi attacchi verso di te. Prevedere questo permette di preparare una strategia di difesa efficace

    Talvolta si riesce persino a ribaltare gli attacchi, trasformando i punti di debolezza in punti di forza. Per esempio, se un tuo avversario ti etichetta come “mister nessuno” puoi giocare la carta del “cittadino comune” che si candida per dar voce ai normali cittadini e risolverne i problemi, così da far trasparire il tuo lato umano agli occhi degli elettori.

    7. Ordine e disciplina

    Il comitato elettorale è un organo fondamentale a tutti i livelli, sia che tu ambisca a diventare sindaco, sia che tu voglia essere il futuro Presidente del Consiglio. L’anarchia è il male assoluto: organizza i volontari in base alle competenze ed ingaggia professionistidel settore come il manager della campagna, l’esperto social, il sondaggista e così via.

    Il tutto deve essere fortemente gerarchizzato e centralizzato con una figura di fiducia del candidato a cui spetta l’ultima parola. Seguendo questo schema, potrai lavorare serenamente ed efficientemente. In caso contrario, annegherai nel caos delle faide tra collaboratori, come è avvenuto nello staff di Hillary Clinton durante la campagna elettorale del 2016 negli USA. Tieni bene a mente: un pessimo clima tra i tuoi più stretti collaboratori influenza negativamente l’intera campagna

    8. Mai sottovalutare l’avversario

    Un leone utilizza la sua intera forza anche per uccidere un coniglio. Ricorda di utilizzare tutto l’arsenale disponibile per giungere alla vittoria, anche se parti come favorito. La campagna elettorale di Pier Luigi Bersani nel 2013, nonostante i sondaggi lo dessero in largo vantaggio, portò ad una “non vittoria”.

    Ciò avvenne perché il Partito Democratico non investì adeguatamente nella campagna, senza chiamare all’azione in modo efficace attivisti, volontari ed elettori. I sondaggi davano Bersani come vincitore, motivo per cui il partito e gli elettori si erano adagiati sugli allori, credendo di avere già la vittoria in pugno. Questo portò la coalizione di centro-destra ad un passo dalla vittoria e permise al Movimento 5 Stelle di ottenere un risultato altissimo rispetto alle aspettative.

    ***

    Con questi accorgimenti avrai una marcia in più rispetto ai molti che improvvisano. Ricorda però che la progettazione della campagna e l’arruolamento di figure competenti ti permettono di puntare al massimo risultato. Affidati ad agenzie di comunicazione politica per strutturare al meglio la tua campagna. Se non ne conosci, noi possiamo aiutarti.

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  • FASCISMO MAINSTREAM

    FASCISMO MAINSTREAM

    «Un nuovo fascismo sarà la forma di governo che ci accompagnerà dal nostro presente fino alla catastrofe ecologica?». Se lo chiede Valerio Renzi nel suo ultimo libro “Fascismo Mainstream”. E considerando le risposte reazionarie dei governi globali a crisi sociale e catastrofe climatica, la domanda appare lecita.

    «Un nuovo fascismo sarà la forma di governo che ci accompagnerà dal nostro presente fino alla catastrofe ecologica?». Se lo chiede Valerio Renzi nel suo ultimo libro, Fascismo Mainstream (Fandango Libri 2021). E la domanda non sembra affatto campata in aria, soprattutto a ben vedere le deboli e vacue risposte dei governi globali al dramma dell’emergenza climatica, e le crudeli e disumane risposte degli stessi a quei fenomeni migratori di massa che spesso e volentieri nascono proprio dai disastri ecologici.

    La stessa domanda se l’era posta qualche anno fa Peter Frase nel suo Quattro modelli di futuro (Treccani 2019) in cui combinando automazione e crisi climatica l’autore individuava quattro possibili sistemi sociali ed economici a venire: il comunismo (abbondanza e uguaglianza), il renditismo (abbondanza e gerarchia), il socialismo (scarsità e uguaglianza) e lo sterminismo (gerarchia e scarsità).

    Per evitare che sia l’ultimo a prendere il sopravvento, come molti indicatori sembrano prefigurare, è quindi necessario individuare la dottrina alla base dello stadio più avanzato dello sviluppo capitalista: quello che Valerio Renzi chiama “Fascismo Mainstream”. «Un orizzonte possibile nel nostro futuro» scrive l’autore, «perché i valori, l’organizzazione sociale e la ratio profonda dei rapporti sociali espressi da questo nuovo pensiero reazionario, non solo sono perfettamente compatibili con il capitalismo neoliberista, ma ne rafforzano alcuni elementi diventando una possibile via di fuga dentro la crisi».

    Se come avvertiva Mark Fisher non siamo più in grado d’immaginare mondi diversi e possibili – perché abbiamo introiettato che dal presente neoliberale non c’è alcuna via di fuga, il famigerato «there is no alternative» sentenziato dalla “Iron Lady” –, ecco che il (nuovo) fascismo trova il suo fertile terreno.

    L’ideologia migliore per sopravvivere in un sistema fondato sul continuo replicarsi e acuirsi delle diseguaglianze (di classe, genere, etnia…) alla ricerca di un biglietto della lotteria che non capiterà mai, è quella fascista: una dottrina sapientemente ibrida e confusa, terrorizzante e salvifica, che ci permette di trovare sempre qualcuno sotto di noi su cui scaricare le nostre frustrazioni.

    «Il funzionamento di questo universo discorsivo» scrive Renzi, «non sarebbe stato possibile senza una salda egemonia neoliberista sulle società occidentali, senza la disgregazione della solidarietà di classe, l’abbassamento della conflittualità sindacale e sociale, l’allenamento all’individualismo proprietario e alla competizione.»

    A questo punto, se la catastrofe ecologica sembra inevitabile, forse possiamo ancora fare qualcosa per evitare che sia accompagnata da un sistema sociale e politico fondato sullo “sterminismo” di cui parla Frase. Il compito è quindi duplice: innanzitutto capire come e perché siamo arrivati fino a qui; in secondo luogo, dotarci degli strumenti per riconoscere il Fascismo Mainstream non solo nelle sue plastiche rappresentazioni – come possono esserlo i vari Trump, Salvini e Bolsonaro – ma anche e soprattutto nella sue forme più infide e nascoste.

    Per intraprendere la prima parte del percorso Valerio Renzi, giornalista e attivista che da anni si occupa dei fenomeni dell’estrema destra, ci accompagna lungo un doppio binario. Non solo l’evoluzione del pensiero fascista-reazionario, da Julius Evola alla nouvelle droite di Alan De Benoist, il cosiddetto gramscismo di destra che ha avuto l’abilità di teorizzare per primo alcune degli elementi oggi al cuore del Fascismo Mainstream, ma anche e soprattutto gli errori della sinistra.

    Da una parte quella che l’autore, aumentando il concetto di sacralizzazione della memoria della Shoah teorizzato dalla ricercatrice Valentina Pisanty, chiama “Religione Antifascista di Stato”. Una fossilizzazione del pensiero che «si è trovata a difendere il mondo così come lo conosciamo. È diventata un’ideologia conservatrice, utile a confermare la realtà così com’è, una foglia di fico morale per l’inconsistenza della democrazia liberale, per l’impotenza di un sistema politico ormai esautorato dal capitalismo finanziario».

    Dall’altra l’adesione totale e totalizzante della sinistra occidentale ai precetti non tanto del libero mercato, cui già era iscritta, quanto della sua variante austriaca con il portato della sua nefasta ideologia. Per di più tradotta in ordinamento giuridico come hanno spiegato benissimo Pierre Dardot e Christian Laval in La nuova ragione del mondo (DeriveApprodi 2013). Un percorso cominciato negli anni ‘90 con i vari Clinton e Blair che hanno portato la sinistra occidentale a essere incapace di reagire alle varie crisi del capitale del 2008 e del 2011.

    E siamo alla seconda questione: come riconoscere il Fascismo Mainstream – cioè il nuovo e spaventoso fascismo che imperversa in modo apparentemente innocuo nei programmi televisivi in prima serata e nei post su Facebook dello zio sorrentiniano – oltre le sue rappresentazioni più plastiche ed evidenti, ovvero nelle sue forme di governo e nel proliferare di attentati di estremisti di destra per nulla solitari e sempre più connessi e organizzati?

    Valerio Renzi individua le fondamenta della dottrina del Fascismo Mainstream in due capisaldi, o come acutamente rilevava lo storico Furio Jesi per il fascismo, in due “miti”: il differenzialismo e il politicamente corretto. Due termini d’uso talmente comuni da sembrare ormai neutri, ma che racchiudono invece una molteplicità di ideologie tossiche, pericolose e aberranti.

    Il differenzialismo è un razzismo all’apparenza non biologico ma culturale, introdotto dalla nouvelle droite, che al mito del “sangue” sostituisce quello del “suolo”. Non ci sono più, o non ci sono solo, o ci sono ma non lo si dice, razze inferiori biologicamente, più stupide o più cattive, con le quali non ci si deve mischiare. Ma ci sono razze diverse, con bisogni e desideri diversi, che non dobbiamo assimilare ma che dobbiamo “aiutare a casa loro”. Inutile approfondire come sia il “noi” privilegiato della parte di mondo che detiene il 99% della ricchezza globale, dopo averla estratta e depredata all’altra parte, a decidere come sia meglio che gli “altri” restino lì dove sono.

    Il politicamente corretto è invece quella foglia di fico, quella mistificazione della realtà dietro cui si nasconde, come spiega molto bene la giurista Kimberlé Crenshaw, l’attacco dei privilegiati all’intersezionalità, ovvero la rivendicazione dell’impossibilità di scindere le oppressioni di classe, genere e razza. Ecco che il maschio bianco, nei secoli proprietario dei mezzi di produzione, della terra, delle donne e degli schiavi – perché ogni fascismo nasce sempre e solo per difendere la proprietà e il sistema sociale ed economico che la garantisce – sentendosi minacciato accusa l’esistenza di una fantomatica dittatura, quella del “politicamente corretto”.

    Ribaltando completamente il senso comune, negando decenni di conquista di diritti attraverso le lotte, secondo i proprietari che si sentono minacciati vivremmo oggi in tempi bui, in cui non si possono più insultare le minoranze, infierire contro chi è più debole di noi, altrimenti si erigerebbe una terribile censura orchestrata da fantomatiche lobby di femministe, di non bianchi, di omosessuali. Inutile approfondire, anche qui, come dietro queste fantomatiche lobby che impediscono ai fascisti di essere tali si celi sempre l’antica e innominabile idea che a governare il mondo ci siano loro: gli ebrei.

    Avendo accolto il concetto di “Fascismo Mainstream” proposto dall’autore come cassetta degli attrezzi per comprendere il presente, e avendo stabilito come questo sia la forma di governo più semplice e facilmente attuabile per governare la catastrofe, agli essere umani dotati ancora di un minimo di buona volontà resta un solo compito: individuare le manifestazioni di questo inedito pensiero reazionario non tanto nelle sue rappresentazioni più becere ma in quelle apparentemente più innocue, in chi professandosi liberale attacca la fantomatica dittatura del politicamente corretto, in chi da sinistra blatera di “esercito industriale di riserva” per giustificare il suo odio nei confronti dei migranti e ricacciarli indietro. E sarebbe il caso di riconoscere queste persone per quelle che sono: i nuovi fascisti.

  • “Volevano il fascismo in Russia e l’hanno ottenuto” (di Oleg Orlov)

    “Volevano il fascismo in Russia e l’hanno ottenuto” (di Oleg Orlov)

    Le forze oscure che, dopo il crollo dell’impero sovietico, sognavano una rivincita totale e a poco a poco si impadronivano della Russia negli ultimi mesi hanno festeggiato la propria vittoria. Questa guerra ha consegnato l’intero paese nelle loro mani

    24 Dicembre 2022 alle 11:36


    Memorial Italia pubblica il seguente testo di Oleg Orlov,
     copresidente del Centro per i diritti umani Memorial, vincitore nel 2022 del Nobel per la pace. Il testo originale è stato pubblicato dal blog Mediapart che ringraziamo per la concessione dei diritti. La traduzione è di Luisa Doplicher. Scritto un mese prima che Memorial ricevesse il Nobel per la pace, da Mosca Oleg Orlov, dissidente russo e copresidente del Centro dei diritti umani Memorial, descrive in questo testo una Russia in cui le persone sono ridotte a zombie e dove la propaganda di stato, negando l’esistenza stessa del popolo ucraino e della sua cultura, presenta i chiari sintomi del fascismo. Questo testo è il primo di una serie nata dalla collaborazione tra il Club de Mediapart e una rete di dissidenti della Russia attuale.

    La guerra sanguinosa scatenata in Ucraina dal regime di Putin non si limita a perpetrare l’assassinio di massa degli abitanti e la distruzione delle infrastrutture, dell’economia e della cultura di quel paese meraviglioso. E nemmeno si tratta soltanto della violazione delle basi stesse del diritto internazionale.

    È anche un duro colpo al futuro della Russia.

    Le forze oscure che, dopo il crollo dell’impero sovietico, sognavano una rivincita totale e a poco a poco si impadronivano della Russia – quelle che mai si stancavano di soffocare la libertà di espressione, di reprimere la società civile e di annientare un sistema giudiziario indipendente – negli ultimi mesi hanno festeggiato la propria vittoria.

    Vi potreste chiedere: ma quale vittoria? Dopotutto, sui fronti dell’Ucraina le cose non vanno affatto bene per le truppe russe. È vero, ma all’interno della Russia quelle stesse forze hanno vinto definitivamente.

    Questa guerra ha consegnato l’intero paese nelle loro mani. Da molto tempo volevano scrollarsi di dosso ogni freno. Non auspicano il ritorno del sistema comunista, benché qualcuno di loro si dichiari favorevole. Apprezzano il sistema ibrido che si è instaurato in Russia negli ultimi vent’anni: per metà feudalesimo e per metà capitalismo di stato corrotto fino al midollo. Eppure, mancava ancora qualcosa…

    Che cosa? L’impressione che il sistema fosse concluso. Adesso lo è. Adesso possono proclamare apertamente e senza vergogna: “Un popolo, un impero, un capo!”. Senza la minima vergogna.

    In breve, volevano il fascismo e l’hanno ottenuto.

    Il paese che trent’anni fa aveva preso le distanze dal totalitarismo comunista è ripiombato in un altro totalitarismo, quello ormai fascista.

    Molte persone non sono d’accordo con me: “Ma dove lo vedi, il fascismo?”. Dov’è il partito di massa che ha fondato il sistema ed è superiore allo stato stesso? Ti sembra che Russia Unita (il partito di Putin, N.d.R.), una banda di burocrati, possa somigliargli? E dove sono le organizzazioni di massa che inquadrano tutti i giovani?

    Per prima cosa, le iniziative per ridurre i giovani a zombie e creare organizzazioni che li inquadrino ideologicamente non battono sicuramente la fiacca. Inoltre, il fascismo non è soltanto l’Italia di Mussolini o la Germania nazista (tra l’altro, oggi in Russia è prassi comune contrapporre il fascismo «buono» al nazismo «cattivo»); ci furono anche l’Austria prima dell’Anschluss, la Spagna di Franco e il Portogallo di Salazar. Ogni regime fascista aveva caratteristiche diverse e specifiche. E la Russia degli ultimi anni di Putin sarà di certo inclusa in questo elenco. 

    Esistono varie definizioni di fascismo. Nel 1995, su richiesta del presidente Boris El’cin, l’Accademia delle scienze russa ha elaborato la seguente: “Il fascismo è un’ideologia e una pratica che affermano l’esclusiva superiorità di una data razza o nazione e proclamano l’odio interetnico, giustificano la discriminazione contro i membri di altri popoli, negano la democrazia, affermano il culto del capo, utilizzano la violenza e il terrore contro gli oppositori politici e ogni tipo di dissidenza, e giustificano la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali”.

    Secondo me, ciò che avviene in Russia corrisponde in tutto e per tutto a questa definizione. Si contrappone la Russia al presente, al passato e al futuro degli stati circostanti (soprattutto di quelli europei); si afferma la superiorità della cultura russa (dove l’aggettivo non va inteso in senso etnico, ma imperiale); si nega l’esistenza stessa del popolo, della lingua e della cultura dell’Ucraina… tutto ciò è ormai la base della propaganda di stato. Quanto a negare la democrazia, affermare il culto del capo e sopprimere la dissidenza, non c’è niente da dimostrare, è una cosa che salta agli occhi…

    Di chi è la colpa se la Russia è diventata fascista? La risposta più semplice sarebbe: di Putin. Non si può negare che la sua responsabilità sia notevole; ci sono però molte altre persone che, magari senza volerlo, gli hanno spianato la strada.

    Le masse aspiravano all’impero, all’uomo forte, al mito di Stalin. Opinioni rintracciabili sia “in vetta”, fra le élite che dirigono il paese (dipendenti pubblici, forze di sicurezza, deputati, dirigenti di aziende pubbliche e oligarchi) sia “in fondo”, tra i più poveri. Tra quelli che hanno Mercedes, yacht e castelli, e tra chi non ha neanche il bagno in casa. A tutti, però, il sistema autocratico di Putin nega qualunque diritto.

    Ai primi non interessava combattere l’arbitrarietà di questo sistema; con un governo diverso non avrebbero mai avuto i vantaggi materiali di cui godono. Ma per compensare questa deplorevole mancanza di diritti, ci voleva qualcosa in cambio: l’impressione di avere un potere assoluto sui loro “nemici”, di poter sfuggire, almeno in questo ambito, a qualsiasi controllo… fatto salvo quello del Capo. Volevano considerarsi una classe di nuovi aristocratici, eletti dalla Storia e dalla Provvidenza a guidare il paese. Ma si sono ritrovati qualche bastone tra le ruote: i miseri resti della libertà di espressione, il giornalismo investigativo nelle sue varie declinazioni, i militanti per i diritti umani e i guastafeste che riuscivano a far scendere la gente in piazza ogni tanto. E anche alcuni membri delle élite che la pensavano diversamente e volevano conservare qualche parvenza di legalità liberale nell’amministrazione del paese.

    Il secondo gruppo, le persone “in fondo” alla gerarchia, non credevano affatto alla possibilità di avere la meglio in un eventuale scontro: a confermarglielo bastava la loro stessa vita, durissima, e cos’era successo ai loro genitori e nonni.

    Chi ha beneficiato della breve parentesi di relativa democrazia negli anni ’90 ne è rimasto scottato: intorno tutto cambiava, le scelte andavano fatte in prima persona e in circostanze difficili, cosa insolita e spiazzante. Queste persone hanno trasmesso ai figli i loro timori: i cambiamenti sono sempre in peggio. Bisogna sempre contare sulle autorità, sui superiori. Al massimo si possono scrivere petizioni e reclami da inoltrare ai dirigenti.

    Queste persone non saranno forse la maggioranza, ma costituiscono un gruppo significativo; la società civile russa si è rivelata incapace di fornire loro spazi e strumenti necessari a lottare per i propri diritti. Credo, inoltre, che gli stessi attivisti per i diritti umani abbiano a volte assunto un atteggiamento paternalista… Quando qualcuno si rivolgeva a noi, non lo trattavamo come un compagno di lotta, ma come “cliente”; cercavamo di aiutarlo, ma era raro che ci mettessimo a spiegargli quali fossero gli obiettivi di quella lotta.

    Di conseguenza, i “clienti” ricevevano un aiuto gratuito, tornavano a fare la loro vita, e alle elezioni seguenti votavano di nuovo le persone indicate dai superiori. Compensavano privazioni e mancanza di diritti sentendosi parte di qualcosa di grande, un ingranaggio dell’enorme macchinario di un impero che si stava ricostituendo. 

    Il regime di Putin soddisfaceva alcuni bisogni simili, ma non ancora del tutto.

    La guerra è stata quindi un grande obiettivo unificatore. Dopo tanti anni, è rinato un vecchio slogan: “Tutto per il fronte, tutto per la vittoria!”. L’opposizione è stata spazzata via, la poca libertà che restava è stata eliminata, pronunciare in pubblico termini come liberalismo e democrazia senza aggiungere una parolaccia presenta i suoi rischi. La “vetta” e il “fondo” della gerarchia si sono riuniti in un’estasi di patriottismo e di… odio per l’Ucraina indipendente.

    Certo, l’estasi non coinvolge la maggioranza dei russi, tutt’altro, ma vi si riconoscono in parecchi.

    Fino a poco tempo fa, però, per istinto di autoconservazione, la maggioranza preferiva semplicemente chiudere gli occhi su ciò che succedeva. “Protestare è pericoloso, non si può cambiare niente, e blaterare sugli eccessi compiuti dai nostri in Ucraina riuscirà soltanto a tenerci svegli la notte e a deprimerci”. È meglio far finta di credere a ciò che dicono in tv e, anzi, provare a crederci sul serio.

    Un comportamento che, probabilmente, è il più diffuso in qualsiasi regime fascista.

    Una minoranza minuscola cerca di reagire. Un movimento che si oppone alla guerra e ha i suoi prigionieri politici, i suoi eroi.

    Gli attivisti continuano a difendere i diritti umani quasi in clandestinità: forniscono mezzi legali per evitare la mobilitazione e il reclutamento, stilano elenchi di prigionieri politici, procurano loro gli avvocati, forniscono assistenza giuridica e umanitaria ai rifugiati provenienti dall’Ucraina e fanno in modo che possano arrivare in Europa.

    È però inevitabile che la difesa dei diritti umani venga stravolta, in un paese in cui la legalità non esiste più. Oggi i russi che se ne occupano si trovano nella stessa posizione dei dissidenti d’epoca sovietica, loro predecessori. Cercare di farsi conoscere al pubblico russo ed estero diventa un obiettivo primario. Il dissidente russo Sergej Kovalëv, grande difensore dei diritti umani che ha trascorso dieci anni nei gulag, aveva questo motto: “Fai ciò che devi e vada come vada”; oggi è più vero che mai.

    Quanto durerà, tutto questo, in Russia?

    Chi può dirlo…

    Il futuro del nostro paese si decide nei campi dell’Ucraina.

    Se le truppe russe vinceranno, il fascismo si radicherà definitivamente in Russia. E viceversa…

    Nel mese scorso, l’”estasi” di cui sopra ha iniziato piano piano a sfumare nello smarrimento generale: com’è possibile che il nostro esercito, grande e invincibile, venga battuto su tutti i fronti?

    I postumi della sbornia sono sempre pesanti. E possono essere gravi.

    Molto dipende dai paesi dell’Europa centrale e occidentale. È naturale che ogni persona sana di mente preferisca la pace alla guerra. Ma la pace a qualsiasi prezzo? L’Europa ha già cercato di mantenere la pace tentando di rabbonire un aggressore. Conosciamo tutti il risultato catastrofico di quei tentativi. 

    Per di più, una Russia fascista vittoriosa diventerà inevitabilmente una seria minaccia per la sicurezza dei suoi vicini e di tutta l’Europa.

  • Il popolo di nessuno

    Il popolo di nessuno

    A) Sul piano politico interno, in Italia più che altrove accade la messinscena della teatrocrazia con la specifica che c’è un doppio potere del teatro. C’è il potere del teatro che viene inscenato rappresentando i dati di realtà e il potere che si esprime direttamente nella realtà intesa come teatro della vita. A ciascuno è dato di esprimersi nell’una o nell’altra forma.

    B) La politica non vive nella realtà del teatro. Aleggia la sua vanagloria nel teatro della realtà, in quel teatro di autoreferenzialità che prende a pugni la realtà delle cose, simulandola maldestramente, e dove nessun attore conta qualcosa fuori dalla scena.

    La politica nell’era del suo sfinimento non è più in grado di sussulti eroici. Non dipende dall’incapacità degli attori. Dipende dalla realtà della scena della democrazia contemporanea. In essa il potere del popolo si esercita tanto più quanto il rappresentante esercita solo un metapotere di facciata.

    C) Un tempo c’era il popolo democristiano o fascista o comunista.

    Ora c’è solo il popolo di nessuno. Il popolo di nessuno coincide con la popolazione.

    La politica gli è indifferente e questa indifferenza

    non esprime un assenza di desiderio di libertà, ma al contrario una ricerca affannosa di essa. Il popolo di nessuno desidera essere libero ma vive la sua libertà al di fuori della sfera politica.

    L’indifferenza verso il potere politico non è percepita dal popolo di nessuno come una limitazione della propria libertà; è viceversa percepita come la forma superiore di libertà nelle democrazie contemporanee.

    D) Le libertà sono vieppiù scisse dal potere politico. Non è più il potere politico a decidere quali forme di libertà può tollerare, ma sono le libertà diffuse della popolazione che decidono quali forme di potere politico tollerare. Il potere è avvertito come ostile appena supera la sua soglia di indifferenza verso le libertà della popolazione. E) Ciò che conta ai popoli di nessuno non è quello che avviene nelle sfere dei diritti politici, ma in quelle dei diritti civili. I diritti politici sono un semplice

    passpartout per garantirsi, quando occorre, i diritti civili.

    F) I diritti civili sono la forma superiore di protagonismo delle masse contemporanee che partecipano così alla vita collettiva nonostante l’indifferenza verso il resto della sfera politica.

    G) Chi, con le vicende del covid o del climate change, teme un collasso della democrazia prende

    un abbaglio. Nella sospensione di alcune regole democratiche della politica contemporanea non c’è nessuno stato d’eccezione da reincarnare come uno stolido infinito avatar di Karl Schmidt. In quel presunto collasso c’è l’orgasmo della democrazia.

    H) Il potere del popolo di nessuno – sempre orrifico, come qualsiasi potere di qualcuno – muta le forme della democrazia, ne mette in mora alcune e ne esalta altre onde adattarsi allo stato della diffusione spazio temporale dei poteri.

    I) La democrazia – quel potere che permette i privilegi di parte con il formale consenso di tutti – è viva proprio perché alcuni suoi istituti appaiono morti.

    L) I partiti, per esempio. Chi ne ha nostalgia? Come dice il loro nome, fanno gli interessi di una parte, ma le parti della contemporaneità sono troppo fluide per essere rappresentate stabilmente. Infatti, i partiti trionfano e collassano in tempi rapidissimi. Il loro trionfo è già nella caduta.

    M) Fin quando sopravvivono, per sopravvivere, i partiti residui fanno ciò che devono fare. Non essendo in grado di decidere, sono costretti a fare ciò che la realtà delle cose ha già deciso. Prendono decisioni non conformi alle idee, che mancano o sono sempre emendabili, ma alla possibilità di racimolare qualche, per quanto fatuo, consenso. Sono attratti da quel consenso che li ossigena e subito dopo li fa

    morire.

    N) Chi non ha problemi di consenso, Draghi e i suoi avatari, esercita un ruolo efficace fintanto che, e solo se, è in grado di porsi anziché come ostaggio delle parti, al di là e al di sopra di esse.

    O) Draghi e i suoi avatari non esistono in rappresentanza dei partiti ma come espressione delle istituzioni.

    P) Draghi e i suoi avatari riflettono il primato in questa fase storica delle istituzioni rispetto alla politica e ai politici.

    Q) Ciò che sta profondamente cambiando è il regime politico che chiamiamo democrazia. Diversamente da altri periodi storici, il potere tanto più si esercita diffusamente tanto meno necessita che questo esercizio venga rappresentato dalla mediazione politica classica. Dal primo lato, dall’esercizio del potere diffuso, i regimi attuali, in particolare in Europa, sono iperdemocratici. Dal secondo lato, appaiono sempre più ipodemocratici. Il funzionamento del regime politico più diffuso nella contemporaneità – che per comodità si chiama ancora democrazia – esige nel contempo massima diffusione del potere e massima concentrazione della decisione formale a condizione che l’uno e l’altra non vadano in corto circuito.

    R) C’è un gran peana sulla crisi della democrazia

    che si riflette nella perdita di ruolo dei votati e dei partiti. I partiti sono divenuti un simulacro della democrazia. Il simulacro dei partiti esigerebbe che la democrazia esistesse perché ci sono e fintanto che i partiti esistono. Occorre invece registrare che la democrazia vige nonostante i partiti. Le istituzioni anziché collassare ricevono linfa dalla necrosi dei partiti.

    S) I legislatori fanno meno le leggi di quanto le leggi fanno i legislatori. L’Italia rimane una repubblica parlamentare nonostante il Parlamento abbia un ruolo sempre più marginale e il Parlamento approvi decisioni prese in buona parte altrove.

    T) Un altro simulacro della democrazia è diventato il voto. Siccome si vota si è in un regime di democrazia. Questo è il pensiero comune. E a un superiore numero di votanti corrisponde un maggiore gradiente di democrazia. Questo è il corollario.

    Eppure, la realtà dice altro. Dice che senza alcun bisogno di votare, si conoscono in ogni momento le opinioni del popolo di nessuno. Si vota per necessità e per ritualità.

    Ma non è nelle forme più o meno massive in cui si esprime il voto che si possono intuire benessere e malessere delle democrazie.

    V) Quando votano tutti vuol dire che c’è paura di qualcuno, quando votano in pochi vuol dire che c’è

    indifferenza verso l’esito delle elezioni, indifferenza che significa

    assenza di paura. Nell’astensione dal voto il popolo di nessuno dice: non ho paura.

    Tutto sommato, nell’astensione politica non c’è una crisi di fiducia, ma al contrario la consapevolezza che, comunque vadano le cose, chiunque sia eletto, i semafori continueranno a funzionare, la macchina istituzionale governerà la sua inerzia.

    Z) L’indifferenza verso la politica è una forma di libertà, un lusso, che le società democratiche avanzate si possono permettere.

    ZZ) Il voto è diventata una forma di consumo. Si vota se se ne sente la necessità e fino a quando quel voto viene ritenuto abile a qualcosa.

    ZZ..) Il voto usa e getta esprime una sensibilità diffusa al consumismo della politica.

    Il voto oltre il consumismo è una forma di dipendenza. Il voto come forma di dovere, come feticcio, che il popolo di nessuno avverte sempre meno.

    ZZ.. ) Un tempo, ciascuno aveva bisogno del voto per sentirsi, almeno un po’, sovrano. Ora, è il sovrano che ha bisogno del voto, per sentirsi, ancora un po’, re.

  • Teatrocrazia della Repubblica

    Teatrocrazia della Repubblica

    In Italia nasce la diarchia dell’uno. Contro ogni principio giuridico, i due poteri su cui si è appoggiata l’architrave della democrazia degli ultimi lustri rimangono formalmente differenti ma vengono unificati nello stesso nome.

    La contemporaneità irride i canoni consunti del diritto e della politica. Le regole costituite, i protocolli del diritto e della politica prevedono che il Presidente del Consiglio non possa ricoprire anche la carica di Presidente della Repubblica.

    Nella matematica della realtà l’uno non può diventare due così come il due non diviene uno.

    Nella realtà formale l’Italia non ha ciò che è già nella realtà delle cose.

    Il fatto è che, comunque vada, il Presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica sono Mario Draghi.

    La realtà formale si srotola secondo la Teatrocrazia di platonica memoria. La realtà delle cose invece accade su un piano parallelo, quello di una matematica virtuale in cui si contempla la possibilità che al di là di divenire formalmente l’uno o l’altro –

    Presidente del Consiglio o Presidente della Repubblica – Mario Draghi sia già l’uno e l’altro, uno e bino – Presidente del Consiglio e Presidente della

    Repubblica.

    Per ricoprire le due cariche è indifferente che egli venga eletto Presidente della Repubblica o rimanga alla Presidenza del Consiglio. Chiunque eletto formalmente nella carica non ricoperta da Draghi è un suo avataro.2

    Se anche le due cariche non risultano formalmente ricoperte da lui, sono comunque suoi avatari. L’avataro di Draghi, sia ben inteso, non risponde al suo comando. Non è né un suo clone né un suo ologramma. Draghi, egli medesimo, infatti, è un avataro di Draghi. L’avataro di Draghi ha poco a che fare con le identità posticce dove proliferano improbabili credenze, regni soporiferi e supereroi della frustrazione.

    L’avataro di Draghi nasce dalla realtà dinamica della storia contemporanea la cui vivescenza brilla proprio dove più appare sfinita.

    Il due dell’uno non è l’uno reincarnato. È l’uno che appare anche in forma di due o di tre. In questo caso, è Draghi sia se si chiama come lui, sia se assume altro corpo e nome.

    È ridicolo quando a una singola persona vengono attribuiti i meriti o le infamie di un’intera comunità. Lei, quella persona, a meno dei deliri egoici sempre partoribili, sa bene di essere un avataro di ciò che è inscritto nel suo nome, dell’azione storica che interpreta

    più o meno degnamente. In lei si esprime ciò che intere comunità balbettano sul palcoscenico della storia. Lei, quella persona, pur balbettando e 2 Chiamiamo avataro l’ubiquitaria forma di chi mantiene i suoi caratteri essenziali anche quando muta corpo o nome. L’avataro non è uguale all’originale sia perché l’originale esso stesso di continuo muta sia perché pur nell’ubiquità due cose uguali non esistono.

    incespicando come ha fatto il 17 febbraio 2021 Draghi da Presidente del consiglio chiedendo la fiducia – ricordate? “… in questo momento due milioni sono ricoverati in terapia intensiva” – deve semplicemente risultare, nonostante i propri spasmi e le proprie meschinità, all’altezza di quella storia inscenata davanti ai suoi occhi.

    Draghi e i suoi avatari assumono le forme di un accadere storico che li prescinde incarnandoli. Il vero avataro di Draghi, ciò che lo muove in ogni istante, ha un nome: Italia mundi. L’Italia che non appartiene solo a se stessa ma al mondo intero.3

    La realtà è teatro. Il teatro della realtà non può prescindere dalla realtà, ma è costretto a stargli sempre o troppo avanti o troppo indietro. Vi sono le retroguardie e le avanguardie. La politica sta in retroguardia, asfittica e impotente. Le cose stanno in avanguardia.

    In avanguardia ci sono le Istituzioni, c’è Draghi Presidente del Consiglio e Draghi Presidente della Repubblica. In retroguardia ci sono i politici, i partiti, e il parlamento.

    Nessuno vuole Draghi alla Presidenza della Repubblica, ma siccome nessuno è in grado di decidere chi altro eleggere si finisce per votarlo o si vota un suo avataro.

    Nel caso di un moto improprio, dell’elezione di un partigiano non avataro di Draghi, l’eletto si adegua presto a lui o va a schiantarsi tra Scilla e Cariddi dell’Europa.

    Non è semplice pusillanimità italica. La politica in ogni parte del pianeta è incapace di agire. Reagisce tardi e a fatica solo sul baratro.

    Draghi e i suoi avatari non prenderebbero forma se nella realtà del teatro politico contemporaneo non fossero accadute grandi trasformazioni. In particolare, sul piano internazionale:

    1) Dopo l’uscita del Regno Unito, l’Italia suo malgrado svolge un ruolo centrale nell’UE.

    2) L’austerità, anche grazie al generale Covid, non intossica più l’aria europea.

    3 Per questo concetto si rimanda a Europa Mundi, rilasciato da pianetica.org nel settembre 2021

    3) Per effetto di una perdurante inadeguatezza, gli Usa non sono in grado di tenere un profilo d’equilibrio nella situazione internazionale. Il caso Ucraina è eclatante. Eppure, in quel contesto l’avataro di Draghi avrebbe già una proposta: è inutile che l’Ucraina entri nel moribondo involucro della Nato –

    la Russia ha un buon pretesto a chiedere che non vi entri – a condizione che l’Ucraina possa, quando lo vorrà e quando ne avrà i presupposti, entrare nella UE. Nei territori contesi, il modello Alto Adige – riconoscimento delle specificità lingustiche, privilegi anziché discriminazioni nell’appartenere a un Paese d’altra lingua – è pronto ad assicurare pace e prosperità della frontiera.

    4) Tutti gli attori geopolitici che disgraziatamente ancora sgomitano per avere un peso maggiore nelle gerarchie mondiali necessitano di un punto oblativo di contatto e di mediazione. Questo punto oblativo sempre più chiaramente si chiamerà: Europa. Ne hanno bisogno la Russia, la Cina, gli Usa, il mondo intero.

    5) Le crisi planetarie devastanti e ricorrenti non possono essere affrontate secondo gli interessi delle singole parti. Emerge sempre più chiaramente che nessun interesse particolare può essere coltivato prima e contro l’interesse planetario.

    6) Sugli aspetti fondamentali, gli interessi dell’Europa, dunque dell’Italia, coincidono con gli interessi planetari. Europa mundi è Italia mundi.

    7) Ne consegue che all’Italia tocca giocare in Europa lo stesso ruolo che compete all’UE nel resto del pianeta.

    8) In questo momento storico allo spazio geografico chiamato Italia tocca un ruolo mai avuto dai tempi della massima unità di Augusto o della massima frammentazione dei Comuni. Un essere per il mondo al di là della particolarità dell’essere. Ecco la singolarità d’avanguardia – personale, spaziale, temporale

    – ai tempi della Pianetica4.

    Per il concetto di Pianetica si rimanda al libro in uscita: Pianetica, di Pino Tripodi e Giuseppe Genna, Milano 2022

  • Prima dello gnomologio tanatologico.

    Prima dello gnomologio tanatologico.

    Una di noi è penetrato con difficoltà, almeno pari alla lucidità, per non dire al coraggio, e quindi alla paura e all’amore che la rinfocola, quasi la paura ne fosse la carnagione – una di noi è penetrato in territori estremi, dove la mortevita è vitamorte, laddove l’ossigeno sembrerebbe troppo puro e saturante, cosicché a quelle latitudini il respiro si fa quasi impossibile. Come avremmo desiderato essere innervati in polmoni più capaci!, o comunque di fattezze altre, per riuscire a innescare il fiato più ampio, per corroborarci all’aria ultrafina, che rende le nostre

    bisacce più macre e inadatte alle lontananze dei cosmi, in cui avremmo in animo di adattarci. . Terre di gas nobilissimi e impossibili, crotti nei massicci asperrimi. Climi estremi in radure estreme. Asperità geometriche, come quarzi scuri, barbagli di un sole che fatica a penetrare e risplendere, così come fatica a penetrare e risplendere chi di noi è giunto là, dove lo spazio della mortevita e della vitamorte barbaglia e inghiotte. Pare un fuoco freddo e fatuo ciò che ci prende, noi grigie stole nella corona gelida dei territori mutili di tutto, privi di bandiera, poiché nessuno Stato ha qui reclamato la proprietà di lande e monti, di abissi. La Scizia del respiro. Dietro quelle altissime alture squadrate e quei crepacci e orridi non si pensa cosa c’è, lo si conosce soltanto. Ogni Prometeo incatenato, sarà costretto a scatenarsi, prima o poi.

    L’altra di noi, spaventato e riottoso, ha provato l’impresa, ma le forze lo hanno abbandonato. Crede di avere esplorato quei territori, sorvolandoli con le ali del pensiero, parole sibilline gli sono state sussurrate all’orecchio e le mastica e le rimastica negli anni e negli annali, prima di intraprendere il percorso diaccio, la formula delle decreazioni lo atterrisce e la esalta. Tutto è incerto: significa forse che non c’è controllo? Urla, scalpita, punta i talloni, non va dove è andato l’altro, ama

    forse non trascorrere verso il clima geometrico e duro dall’aria tepida in cui è stato finora e che ha il

    calore della guancia e dalla primavera che arrugginisce.

    Il cambiamento climatico.

    L’una di noi, penetrato in quelle terre di follia, torna indietro a riprendere l’altra di noi. Così fanno i compagni di viaggio. Sono fratelli e sorelle, sono padri e madri, sono figlie e figli e tutto ciò assieme, sconvolta ogni forma, esclusa la confusione, che regna sovrana.

    La confusione è sovrana.

    Ricongiuntisi, l’una di noi e l’una di noi annottano in una tenda, male in arnese, attorno al fornello chimico che un minimo di calore garantisce loro, di stare su una porziuncola di terra, di bere un poco di acqua scaldata al fuocherello, di inspirare l’aria non raddensata dal gelo finale.

    Discutono della morte, della vita, della morte della morte, della vita della vita.

    Discordano. S’agitano. Tentano ipotesi, le vedono sbricolarsi come cartigli egizi, lacerti di cartapecora vergati dal popolo emblematico, che ha elaborato per sempre e per mai il proprio universale libro dei morti.

    Si accapigliano, sembrano divorarsi l’un l’altra. Il crepitio delle loro parole incrina l’atmosfera? No.

    Perché, come se fossero vivi, vestiamo i morti?

    Quanto più casta e giusta è la nudità dei corpi, che li avvicina al loro finalmente disincarnarsi. .

    Ma l’una di noi e l’una di noi confliggono, non credono all’altro e credono a se stessi.

    Questa è la filìa. E’ stare attenti, nella confusione che genera l’accordo e il disaccordo, forme generali che si partoriscono da sé nella filìa. Essere amici della sapienza è anzitutto essere amici. Così come la vita della vita, che è la morte della morte, si illustra nelle forme della vita e negli esiti della morte, anche la filìa, che è sapienza della sapienza e ignoranza dell’ignoranza, si definisce, transitoria e priva di supplica, nelle forme dell’accordo e del disaccordo.

    Siamo in disaccordo nella filìa.

    Un attimo stiamo parlando.

    Della morte diremo, della morte della morte, forse, qualche sillaba in più.

    Stiamo, stanno, estendendo il loro Gnomologio Tanatologico.

    Sono sentenze oscure, sbagliate, sballate, balbettano, sono barbare.

    Qualche sentenza, smozzicata dal viverla, la sentenza, arriverà.

    Non c’è discorso sul cosmo che non contempli la fine del cosmo. Loro sono a quel punto, loro che

    siamo noi.

    Abbiamo detto qualcosa. Abbiamo detto il qualcosa.

  • Res Ponso Abili

    Res Ponso Abili

    Il tema della responsabilità nella questione eutanasica è cruciale. Chi è abile a ponderare le cose ha generalmente l’onere della responsabilità, della risposta con un atto all’evenienza delle cose.

    Il rimpallo delle responsabilità è gioco ottuso nelle moderne selve dell’amministrazione democratica. La decisionalità e l’adecisionalità sono compagne assai frequenti dell’irresponsabilità per cui di norma accade che tutto venga agito nella più grande libertà senza che nessuno risulti responsabile. L’opacità della responsabilità è il frutto conseguente del guazzabbuglio delle regole. La libertà si presenta vieppiù come azione priva di responsabilità. Chi desidera essere libero desidera ancor di più sottrarsi alle responsabilità. Ogni conquista di libertà avviene con più che proporzionale delega della responsabilità.

    Se altrove si percepisce ormai con sufficiente chiarezza, sulla questione eutanasica –

    e in generale nel merito dei rapporti tra individui e Stato – il rapporto tra crescita delle libertà e delega delle responsabilità è eclatante.

    Forse così si assolve il gravoso compito di comprendere come mai, prima ancora di aver sottratto allo Stato il diritto di comminare una forma della

    morte, la società dei buoni scalpita per attribuirgli, con l’eutanasia, di nuovo, il potere di uccidere.

    La società, per sentirsi libera, chiede allo Stato di assumersi l’onere delle responsabilità che i singoli non vogliono più avere.

    Sono tanti i settori nei quali lo Stato è un surrogatore di prestazioni che tolgono ai singoli e alle loro tanto decantate famiglie le responsabilità sociali da cui intendono sottrarsi a tutti i costi.

    Il rapporto tra crescita delle libertà e ipertrofia delle deleghe di responsabilità dello Stato ha una lunga gestazione.

    La solidarietà sociale tra lavoratori per esempio inizia come mutuo soccorso e viene presto delegata e ingabbiata nello Stato e dallo Stato.

    È allo Stato che viene delegata ormai quasi completamente la responsabilità della cura.

    C’è una forma della libertà alla quale viene prestato scarso interesse. È la libertà dalla responsabilità e dalla cura. Si desidera essere liberi di non pulire la casa, di non cucinare, di non accudire i bambini, di non curare i genitori anziani. Si desidera essere liberi da ogni responsabilità. L’emancipazione dalle responsabilità di cura avviene o in forma di pecunia se se ne ha la possibilità o delegando allo stato tutto ciò che è possibile delegare.

    In quella delega ci si svincola dalle responsabilità, inoltre si rimane titolari a pieno titolo del privilegio alla critica, alla lamentela, alla pretesa di ottenere di più, sempre di più non per il servizio in sé, ma per sottrarsi alle responsabilità che moralmente permane come basso continuo di frustrazione e di indicibilità.

    È così che il più assatanato antistatalista non si avvede né della contraddizione né dell’ignominia di pretendere uno Stato ipertrofico.

    Lo Stato è condannato perciò a divenire responsabile delle irresponsabilità dei suoi abitanti. Più liberi pretendono di essere, più lo stato deve cumulare poteri. Ecco il potere di delegare i poteri. In questo Stato ricettacolo della irresponsabilità, ciascuno desidera di essere libero di fare ciò che vuole delegando lo Stato a fare tutto ciò che ciascuno non desidera fare e che non riesce, non vuole o non può pagarsi.

    È nelle corde di ogni libertario. Predicare la morte dello Stato ma renderlo immortale. Desiderare la morte e renderla immortale. Desiderare la vita è considerarla mortale. Volere uno Stato debole, ma nel contempo ipertrofico.

    Così si è liberi dallo Stato solo se si è liberi nello Stato.

    Liberi dalla responsabilità, tronfi nel diritto.

    Vuoti di responsabilità pieni di diritti.

    La deresponsabilità dei singoli accresce la responsabilità dello Stato. E ne nutre l’irresponsabilità e l’orrore.

  • Suicidio eutanasia

    Suicidio eutanasia

    Morte di Stato

    Attivisti d’ogni campo credono disputarsi la morte. Pretendono sapere quando la morte è buona, eutanasia, e quando invece è cattiva, distanosia o cacatonasia.

    Quando è dolorosa, algotanasia, e quando non lo è, analgotanasia.

    Si disputano la morte intuendo la vitalità capitale della partita. In quel sacco terminale, di fatti, si spenge e si illumina ogni anelito di vita.

    In verità si disputano l’aggettivazione della morte, buona-dolce-amara-cattiva, senza porsi il problema

    di definire il sostantivo.

    Che cosa è la morte. Qualcuno se lo domanda più? Domandarselo è forse inutile per la specie che tocca di propria mente il miraggio dell’immortalità. Ma se non si ha un’idea precisa di cosa sia la morte disputarsi quando sarebbe buona e quando invece è cattiva è sterilità pura.

    Tanto più che il tribunale del tempo giudica buono ciò che un tempo non lo era.

    Eutanasia in origine vuol dire buona morte. Ma il termine ha subìto nel tempo un poderoso slittamento semantico.

    Nella Grecia antica per eutanasia si intendeva per lo più la morte naturale, priva di dolore, accettata con animo sereno, perfetto compimento della perfetta vita. La buona morte dell’antichità avveniva per cause naturali, ma accadeva anche come atto volontario o come esito di una vicenda eroica. Il suicida o l’eroe che muore in battaglia non erano esenti da eutanasia. La buona morte li comprendeva.

    Il presupposto etico e teorico dell’eutanasia classica è che il volto della morte assuma le medesime forme della vita. Chi vive nella saggezza è sereno in vita e in morte.

    Affronta con tranquillità ogni evento della vita, anche quello ultimo e definitivo con cui la vita finisce di compiersi. Nell’accadere della morte, il compimento

    della vita deve essere coerente con lo svolgimento dell’intera vita.

    Il presupposto più cogente dell’eutanasia antica è che vi può essere buona morte solo se c’è stata buona vita.

    Purtroppo per il pensiero antico, per fortuna per le società d’ogni tempo, questo presupposto è privo di fondamento. Che i meritevoli in vita meritino una buona morte magari è auspicabile ma non è affatto dato. La fenomenologia della morte può essere coerente con la fenomenologia della vita, e qualche volta lo è, ma solo per caso. I filosofi dell’antichità hanno forzato il caos del caso trasformandolo in una necessità morale. Hanno preteso di costringere l’accadere in griglie etiche e causali destituite d’ogni fondamento.

    Ecco la cornice paradigmatica dell’eutanasia antica:

    Ciò che è deve combaciare con ciò che deve essere.

    Chi ha condotto buona vita è giusto che abbia buona morte e senz’altro l’avrà.

    L’eutanasia è l’atto finale dell’euzoia, della buona vita.

    Chi merita è giusto che consegua il bene in ogni campo, chi demerita invece no.

    Tale cornice paradigmatica – soprattutto nei lati estremi, che impregnano ogni altro sapere – era e rimane una delle dannazioni principali della filosofia.

    Diversamente da quei presupposti, la vita ci dice che, anche secondo i canoni della classicità, vi può essere buona vita e cattiva morte e viceversa non è raro rilevare che a vita cattiva corrisponda una buona morte.

    L’idea che l’eutanasia costituisca un giusto premio per chi ha vissuto nella giustizia e nella bontà è avvelenata dalla premialità.

    Il premio è un riconoscimento del merito solo per chi non ha mai davvero meritato.

    Chi per davvero merita nel premio scruta il trucco, la corruzione, l’ipocrisia. Il premio di chi per davvero merita non è la medaglia al valore o la gratifica. Il premio si compie e si esaurisce nell’atto meritevole, nelle pulsazioni che l’atto meritevole compie per colonizzare i non meritevoli i quali altrimenti continueranno a pretendere premi come risarcimento narcisistico per il congenito demerito del loro agire.

    Dallo stato di morte alla morte di Stato

    Il concetto di buona morte dell’antichità nulla ha a che fare con la contemporaneità.

    In epoca moderna per eutanasia si intende l’atto caritatevole compiuto per porre fine a sofferenze inenarrabili

    e ad atroci agonie.

    Se nell’antichità la buona morte è lo specchio della buona vita, nella contemporaneità l’eutanasia è un espediente per evitare la sofferenza e contrarre verso lo zero il tempo dell’agonia.

    La buona morte della contemporaneità non ha alcun legame con la buona vita.

    Indipendentemente da come ha condotto la propria esistenza, chiunque lo voglia –

    se vive in uno dei paesi che la contempla – ha diritto all’eutanasia. La buona morte non è assegnata solo ai meritevoli, ma è indicato come diritto universale.

    Lo Stato della morte

    Ma la differenza che più interessa il filosofare è: chi è il soggetto comminatore dell’eutanasia.

    Nell’antichità l’eutanasia era propinata dalla natura – vecchiaia – o dalla propria natura

    – suicidio o eroismo.

    Nella contemporaneità l’eutanasia non si ha né per diritto di natura né per inclinazione alla propria natura, ma per diritto eventualmente sancito dallo Stato.

    Ed è lo Stato eventualmente a garantirla, a regolarla e a comminarla.

    In questo acrobatico passaggio – dalla sfera naturale o singolare alla sfera statale – i movimenti eutanasici non ci vedono nulla di male. Non lo ritengono un problema.

    Questo problema – il fatto cioè che l’eutanasia comminata dallo Stato non sia visto come un problema – rischia di essere più importante del problema in sé dell’eutanasia. Come mai e perché non ci si avvede del pericolo tombale che a comminare la morte possa e debba essere lo Stato? Quel medesimo recalcitrante Stato a cui con immensa fatica, e con risultati non ancora del tutto universali, in una

    battaglia che dura millenni, si tenta di sottrarre il potere di comminare la morte a seguito di una condanna.

    La contrarietà verso la condanna a morte deriva da un principio etico immarcescibile: qualunque sia la colpa, chiunque sia il colpevole, nessuno, tanto meno lo Stato, ha diritto di uccidere perché uccidendo si macchierebbe di una colpa superiore. La colpa di esponenziare il torto anziché di ripararlo. La colpa di divenire aguzzino ingrassando il circolo dell’abominio. Gli aguzzini assurti a vittime e le vittime smaniose di passare nel campo dell’aguzzinio.

    Vietandogli la condanna a morte si nega allo Stato il diritto di uccidere. Quel medesimo diritto di uccidere contemporaneamente lo si chiede a gran voce con l’eutanasia non per eseguire una condanna

    ma per evitare una pena non giuridica, il dolore dell’agonia o i morsi inguaribili della malattia. Prima ancora di aver definitivamente sottratto allo Stato il suo potere di uccidere, si pretende che lo Stato sia ripristinato nel suo potere di comminare la morte. Questa iperbolica contraddizione si può giustificare solo con la solita giustificazione che ignora il giusto: il fin di bene giustifica il male. Ciò che risulta deplorevole – la condanna a morte comminata dallo Stato – risulta augurabile se agita a fin di bene. Ma chi decide qual è il bene? E chi decide qual è il fin di bene.

    Il bene e il buono hanno slittamenti semantici repentini. Si trovano a volte con disinvoltura in compagnia dei peggiori dei mali. Ciò non avviene solo per marcata ingenuità. Accade perché il male è mimetico. Niente, nessuno è capace di mimetizzarsi come il male.

    L’eutanasia nel secolo scorso si è ben sposata con l’eugenetica. Eugenetica ed eutanasia rischiano di tornare coppia vincente adesso che la specie ha imparato a dare la caccia a ogni malformazione genetica. Forse avremo geni perfetti, magari diverremo immortali ma per continuare a pretendere l’euzoia, la buona vita, non sarebbe il caso di non assegnare mai più, per nessun altro fine, allo Stato il diritto di uccidere?

    La morte di Stato, per qualunque fine venga comminata,

    è sempre un abominio.

    Salvarsi da quell’abominio è fondamentale se si vuole per davvero alleviare qualsiasi pena, pur anche quella della morte.

    Esiste la buona morte?

    Ma: esiste la buona morte?

    La morte è la morte. Catalogarla come buona o cattiva è errore filosofico di notevoli proporzioni. Meglio fermarsi all’obiettivo ultimo del significato che il termine eutanasia, forzando l’etimologia, ha assunto nella contemporaneità: la morte indolore, privata dalla prolungata sofferenza con cui spesso accade. La placida mors dei latini.

    Se la buona morte non esiste, se esiste la morte (di cui nulla si sa e nulla si può sapere, soltanto si è in grado di percepire essere qualcosa di differente dalla esperienza della comune vita; sulla quale sospendere il giudizio non per pigrizia etica, ma in quanto la morte si sottrae a qualsiasi giudizio) l’eutanasia antica come quella contemporanea è un’aberrazione. Aberrazione che si moltiplica per almeno altre cinque aberrazioni su cui urgerebbe discussione pubblica priva di contesa sulla cittadella dei supposti, nonché fatui, poteri.

    1) Con l’eutanasia si giudica la buona dalla cattiva morte giocando con l’assurdo.

    2) Con l’eutanasia si propina la morte di Stato e a

    comminarla è lo stesso Stato.

    3) Con quale coerenza lo Stato, privato nella gran parte dei paesi dalla pena di morte, propina la morte di sua propria mano?

    4) Se chi viene in nome dello Stato delegato a propinare la morte si rifiuta, diviene, per convinzione o per pretesto, obiettore di coscienza, si potrà lasciarlo libero di obiettare o la sua libertà varrà meno della libertà di praticare l’eutanasia?

    5) Quale libertà vale più di altre libertà?

    Suicidio assistito e analgotanasia

    Anche se l’eutanasia non è affatto buona come si pretende, rimane, tutto intero, il problema di evitare la sofferenza superflua in dipartita.

    Fino a che punto è lecito che un individuo sopporti livelli intollerabili di sofferenza.

    Quando a ciascuno è data la possibilità, se è data, di finire di soffrire?

    Sul final campo meglio evitare di sguazzare nell’ovvio.

    Anche nella sofferenza l’uguaglianza non esiste. Il gradiente di sopportazione della sofferenza è estremamente differenziato. Vi sono persone che non sopportano neanche l’idea di soffrire. Vi sono persone che vivono male nella sofferenza. Vi sono persone che nella sofferenza esprimono il meglio di sé. Vi sono persone che amano soffrire. Non c’è scandalo. Ciascuno ha diritto di vivere al suo livello di sopportazione.

    Chi può sapere veramente se quanto e come si soffre nella dipartita.

    Ciascuno ha diritto di pensare ciò che vuole della vita e della morte, quando inizia la vita e quando comincia la morte, cosa c’è prima della vita e cosa dopo della morte.

    Sul fatal caso, ciascuno ha diritto di tenersi i propri pensieri le proprie idee e le proprie credenze.

    Solo con la forza di tali premesse le parole acquistano senso. Anziché parlare di buona morte meglio parlare dunque di morte indolore, di analgotanasia, posto ma non assodato che il dolore o la sua assenza al momento della dipartita siano comparabili con quelli esperiti nella restante vita.

    Se l’eutanasia è aberrazione meglio optare per il suicidio assistito a condizione che non sia lo Stato a comminare la morte del suicida assistito.

    La differenza tra suicidio e suicidio assistito è

    abissale. Con il suicidio ciascuno può di propria mano infliggersi la morte indipendentemente dalle condizioni di salute.

    Ogni condanna di tal gesto è inutile e presuntuosa, in ogni caso tardiva. Si può

    affrontare il problema del suicidio in chiave pedagogica e sociale, ma qualsiasi singulto moralistico è fuori luogo. Dividersi tra stoici, favorevoli, ed epicurei, contrari, ha scarso senso.

    Il suicidio assistito invece riguarda quei casi nei quali, vista l’intollerabilità della sofferenza, assodata l’assenza di speranza, viene prestato suicidio aiuto senza passare per gli spesso tristi sentieri del suicidio.

    Il suicidio assistito può avvenire in due forme. La prima prevede che il medesimo suicida compia l’atto finale somministrandosi un farmaco o ordinando la fine dell’accanimento terapeutico.

    La seconda, laddove l’atto autonomo risulti impossibile, prevede che altri somministrino il farmaco o ordinino la fine dell’accanimento terapeutico in vece del suicida.

    In quest’ultimo caso: chi deve prestare materialmente aiuto? Chi deve somministrare il farmaco o ordinare la fine dell’accanimento terapeutico? Chi è giusto che si assuma questa responsabilità? A chi

    deve essere richiesta responsabilità così delicata? A un ente estraneo e terzo o a una persona di prossimità? A qualcuno a cui freddamente viene demandata una tecnicalità o a qualcun altro in grado di compiere un gesto caldo e amorevole.

    Non si dovrebbero nutrire dubbi in proposito, ma coltivare certezze. La responsabilità e l’atto del suicidio assistito dovrebbero tangere esclusivamente le persone di maggiore prossimità. Coniugi, figli, parenti, amici indicati preventivamente in testamento biologico e preventivamente d’accordo. Solo in assenza di persone di prossimità andrebbe ricercato un aiuto terzo, di volontari, ma mai dello Stato per mano di suoi funzionari.

    Lo Stato, le strutture mediche, devono solo predisporre che le cose avvengano in modo chiaro e congruo onde evitare confusione e abusi.

    Così tra l’altro si ovvierebbe ai casi, si presume numerosi, di obiezione di coscienza.

    Lo Stato deve essere sottratto con ogni forza al ruolo di comminatore della morte.

    Lo Stato può e deve permettere che il suicidio assistito avvenga. Lo Stato può e deve regolarlo, senza mai comminarlo in proprio.

    Il suicidio assistito è già praticato ma andrebbe diffuso universalmente sottraendolo al privilegio, agli abusi e al lucro.

  • Europa mundi – Pianetica

    Europa mundi – Pianetica

    Europa non è europea. Lo dice il mito.

    L’Europa non è solo europea. Lo chiarisce la storia.

    La geografia lo mostra: Europa è pregna di sconfini che rendono ardui e mutevoli i tentativi di definirla in una sua fisicità. E i mari e l’Atlantico, a suon di flutti, ora la dividono ora la uniscono al suo restante mondo.

    L’Europa è uno spazio alquanto indefinito che smargina il tempo e sopporta le sue slabbrature.

    In summa, l’Europa, che è anche europea, ha nei suoi geni i caratteri di Europa mundi.

    L’Europa esiste solo in quanto è Europa mundi. L’Europa del mondo.

    L’esplodere della crisi afghana ha reso baliosi e incontinenti i lamenti sull’inconsistenza militare dell’Europa, sulla necessità che essa crei un esercito proprio, rafforzi in armi la sua difesa, si metta al pari delle altre grandi potenze per giocare un ruolo analogo nei destini del mondo contemporaneo. Tali posizioni, prive di contraddittorio, nuocciono non solo all’Europa ma al mondo intero e mettono seriamente in pericolo i suoi abitanti.

    Per offrire una diversa chiave al problema, è utile chiedersi:

    Cos’è l’Europa?

    Qual è la sua forza?

    Dove inizia, dove finisce, quando e come si definisce? È uno spazio politico o è una politica dello spazio?

    La politica vive nell’imperituro imbarazzo di misurare l’Europa. Quanto è grande?

    Quanto è piccina?

    L’ossessione per la precisione tiene l’errore in agguato.

    Eppure, è possibile, forse anche conveniente, prendere le misure dell’Europa in modo non autistico, concependole come espressioni di relazione tra l’Europa e il suo mondo che è Europa solo se è l’intero mondo.

    Le misure dell’Europa come unità di relazione anziché come identità assoluta permettono di concepirla grande in grazia della sua piccolezza militare e piccina quando manifesta pruriti di grandezza.

    Al contrario di ciò che il canone politico ritiene, la forza dell’Europa sta nella sua debolezza militare, la sua consistenza strategica è direttamente proporzionale all’inconsistenza dei suoi armamenti, il suo benessere non è limitato dalla sua scarsa forza bellica ma è seriamente messo in pericolo dalla sua,

    per ora solo accennata, volontà di potenza.

    Inoltre, se l’Europa provasse a superare il gap militare con le altre grandi potenze, quanto tempo impiegherebbe? Con quali costi? E nella corsa agli armamenti, non finirebbe dissanguata come l’URSS?

    Ogni soggetto politico ritiene sempre valida l’equazione potere militare=forza economica.

    Ogni soggetto politico desidera aumentare la sua sfera d’influenza ritenendo così di

    ottenere enormi vantaggi competitivi.

    Le sfere d’influenza un tempo cristallizzavano le gerarchie di potere planetario. Ora sono ingiallite mummie dell’impotenza globale.

    Ma l’Europa non è un soggetto politico pari agli altri. L’Europa unita – una prima, larvale espressione dell’Europa a venire – deve il suo potere alla sua flebile potenza bellica. L’Europa unita non nasce da una grande vittoria militare, ma dall’infamia della più grande sconfitta.

    L’Europa unita è resa possibile solo dall’abbraccio tra nemici inceneriti dalle proprie guerre dopo secoli di contesa del medesimo spazio.

    La politica è tarda di memoria. Eppure chiunque, nell’ultimo tempo, abbia puntato sull’intervento militare, ha ricevuto solo reiterate umiliazioni sul campo,

    ottenendo in più solo svantaggi in termini di penetrazione economica e di controllo delle aree geografiche interessate. Di contro, i paesi al riparo dalla competizione militare e dai suoi immensi costi di protezione, hanno avuto ritmi di sviluppo prodigiosi.

    Le macerie sono il mercato ideale per le armi ma il mercato delle armi da almeno un secolo è un’infinitesima parte del mercato totale.

    I mercanti di armi non sono solo stolti assassini, sono anche dei pessimi mercanti.

    Anche l’Europa ha i suoi Afghanistan: tra gli altri, la Siria e la Libia dove più paesi che si pretendono europei hanno pensato stoltamente di inzupparsi nel torbido sicuri di ottenere notevoli vantaggi.

    Dal Vietnam alla Libia, passando per l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, gli attori politici del mondo intero si comportano come vivessero ancora ai tempi di Machiavelli. Ma le regole della guerra sono nel frattempo completamente mutate.

    Le vere guerre del presente non si vincono con le armi, anzi si perdono con esse.

    Per vincere davvero una guerra nello spazio terrestre bisogna evitare accuratamente di usare le armi. Solo chi ci riesce può ritenersi vittorioso.

    I contendenti di una guerra a base d’armi sono

    sconfitti già prima di iniziare a combattere indipendentemente dall’esito militare del conflitto.

    Le armi sono solo zavorra di cui liberarsi se si vuole volare.

    È in ambiente extraterrestre lo spazio prediletto delle guerre prossime venture.

    Nello spazio extraterrestre e nel giuoco. Il rapporto tra giuoco e guerra si è invertito.

    Un tempo il giuoco simulava la guerra. Ora è la guerra a simulare il giuoco. Non è più il giuoco a preparare gli umani alla guerra, ma al contrario, la guerra a preparare gli umani al giuoco.

    Per l’economia globale l’esercizio delle armi ha un effetto molto più inibitorio che benefico.

    Per esportare la qualsiasi cosa non servono le armi. Le informazioni in forma di idee, di spettacolo, di bit, di denaro e di relazioni bastano e avanzano.

    Il multipolarismo, il bipolarismo o l’impero non funzionano più. Resistono come antichi retaggi di una storia consunta. Sconfitta irrimediabilmente dalle sue stesse armi.

    L’Europa non è condannata a rimanere un soggetto politico, ma a divenire un vettore pianetico.

    L’Europa vettore pianetico. Cosa vuol dire? Vuol dire che, proprio in virtù della sua inconsistenza militare, l’Europa è costretta a guardare il pianeta da

    altra prospettiva.

    Non come parte in ansia di conquistare il tutto, ma come parte di un tutto interamente da definire e da condividere, oggi, domani e sempre.

    Il carattere dell’Europa è oblativo. Il suo disinteresse è nell’interesse del mondo intero.

    L’Europa per riconoscersi ha bisogno di specchiarsi nel pianeta.

    Ogni altro luogo non può che guardare all’Europa se l’Europa si sottrae allo sguardo proprietario.

    Il Pianeta è uno spazio aperto in cui chiunque è in grado di giocare la sua parte a condizione che tutti possano giocare senza carte truccate dalle armi.

    Non ha senso tentare di esportare la democrazia o di imporre i propri valori. Essi, se hanno sensibilità, affetti e forza diffusiva, si impongono da sé senza bisogno di agenti autoritari e armati a esportarli.

    I valori dell’Europa, ammesso che qualcuno riesca con precisione a definirli, non sono migliori o peggiori di altri. Ciascuno li vede tali solo se indossa gli occhiali dell’identità che rendono ciechi anche i falchi.

    Non c’è bisogno di modelli. Il pianeta si modella secondo le sue volontà che sono

    molteplici, come i suoi valori, e sempre in discussione poiché in perenne gestazione.

    Riconoscersi peggiori o migliori è l’atto principiale del disastro.

    L’Europa non aspira a nessun primato.

    L’Europa è prima in ogni cosa come ogni altra cosa.

    Prima tra tutti i primi resi tali solo se si abbandona la folle voglia di diventare primi degli ultimi o primi fra gli ultimi.

    Non avere alcun primato da salvaguardare o da rivendicare è la condizione fondamentale per divenire primi anche tra non pari. Per divenire prima in tal guisa l’Europa non può che abdicare alla forza militare rendendo così più forte il pianeta sia nel suo insieme sia in ogni singola parte.

    Ciò che si prospetta non è un mero modello pacifista. La pace è la condizione agognata di ogni guerra. Guerra e pace sono gemelli siamesi. Nella contesa chiunque è colpevole tranne i disertori e gli abdicanti.

    La geopolitica dell’Europa fa cilecca.

    La politica, nata in quello spazio definito Europa, qui ha mostrato il suo fallimento.

    Non c’è governo della polis senza governo del pianeta. Ma il governarsi del pianeta non è affare di comandanti militari, di condottieri, di produttori d’armi.

    L’Europa ha bisogno di difendersi. Ma la sua più grande difesa non sono gli eserciti, il nucleare, le armi. La sua difesa massima è l’intelligenza. L’intelligenza che è l’esatto contrario dell’intelligence. Non sono i servizi segreti a tenerla in salvo. Sono invece

    i servizi evidenti.

    Intorno al covid, alle questioni monetarie e al cambiamento climatico Europa mundi ha iniziato molto timidamente a intravedersi.

    Se il pianeta è libero, l’Europa lo sarà. Se il pianeta è salvo, l’Europa non mancherà di godere della sua salvezza. Se il pianeta è ricco, l’Europa non si trastullerà nella miseria.

    L’Europa è la placca dell’idea di mondo necessaria per bloccare la deriva politica di questo come di ogni altro spazio incontinente.

    Europa mundi è terra, oceano, cielo. Europa mundi è in Asia, è Africa. Europa mundi è sponda del mondo intero. È il mondo nuovo di ogni mondo. Ed è il mondo di ogni nuovo mondo.

  • Il comunismo

    Il comunismo

    Il comunismo é il tempo dedicato alla dimensione comune e sociale.

    Pratichi concretamente il comunismo ogni volta che fai sport o ti dedichi alla tua crescita personale e alla crescita degli altri, quando fai volontariato, quando ti dedichi ai tuoi cari quando viaggi per svago e fai il turista, quando cioè puoi dedicarti, oltre che al lavoro necessario per produrre il reddito che ti consente di vivere, anche al tempo extra, al tempo condiviso, solidale, comunitario.

    Questa è l’unica definizione rigorosa, fondata, filologica, del comunismo secondo Karl Marx.

    Nel corso di due secoli, specie in Europa, c’è stato molto comunismo realizzato.

    Questa affermazione é evidentemente fondata solo che si consideri che questo stile di vita, quando Marx era in vita era appannaggio solo delle persone molto ricche. Tutti gli altri, cioè i trisavoli della quasi totalità delle persone che stanno leggendo, per mangiare doveva lavorare dall’età di sette -otto anni per sei sette giorni a settimana, per 10–12 ore al giorno, finché non moriva di malattie e di stenti. Marx voleva liberare le persone dal lavoro salariato, da quel lavoro salariato confidando nella capacità del sistema produttivo industriale implementato dalla borghesia grazie al capitalismo (si, proprio dalla classe borghese e dal capitalismo di cui Marx era un estimatore), il comunismo é ottenuto mediante la proprietà comune dei mezzi di produzione. La proprietà comune non è la proprietà di Stato.

    • ‘Nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, cosí come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico‘.

    K. Marx-F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1972, pag. 24

  • Vassalli o liberi dagli americani?

    Vassalli o liberi dagli americani?

    Abbiamo dichiarato guerra agli Stati Uniti nel 1941. Dopo avergli spedito milioni di emigranti italiani e senza che gli USA ci avessero torto un capello. E pure a tradimento gliel’abbiamo dichiarata, poche ore dopo che avevano subito la coltellata alla schiena dell’attacco a Pearl Harbor.

    E abbiamo perso la guerra.

    Sono arrivati, ci hanno cacciato dall’Africa, ci hanno invaso e alla fine ci hanno sconfitto. E non contenti, ci siamo divisi in due e una metà dell’Italia ha continuato a combattere contro gli americani.

    Chiunque altro ci avrebbe massacrati, triturati nel macinino da caffè e utilizzato la polvere come concime, trasformando l’Italia nel 51° stato dell’unione.

    Invece, non solo non ci hanno massacrati, né hanno massacrato i nostri emigrati. Ci hanno dato una mano a liberarci dai nazisti, ci hanno finanziato la ricostruzione e oggi siamo del tutto liberi di fare domande come questa e di scrivere una marea di risposte e commenti antiamericani che una marea di imbecilli non tarderà a postare.

    Direi che possiamo considerarci alleati. E fortunati.

    Dall’altra parte, sono stati invasi, conquistati, massacrati e occupati. E se qualcuno si azzardava a dire una parola contro i sovietici, finiva per concimare i licheni in Siberia. Non a spargere concime. Proprio lui diventava concime. E oggi con la Russia è lo stesso: se ti va bene finisci in galera, se ti va male ti entrano in casa con i carri armati, dopo una spruzzata di razzi e bombe come aperitivo.

    Direi che quelli erano (e qualcuno lo è ancora) vassalli.

  • Cause guerra Ucraina

    Cause guerra Ucraina

    Lo storico greco Polibio diceva che le guerre hanno tre cause:

    1. La profasis: la scusa raccontata al popolo per giustificare il conflitto e il sacrificio.
    2. L’aitia: la causa effettiva della guerra, riscontrabile spesso in un interesse economico.
    3. L’arché: l’evento o la scusa che porta, in concreto, all’inizio della guerra

    Tali aspetti si possono riscontrare in tutti i conflitti, basti pensare alla prima guerra mondiale. In essa, l’arché (la scusa), è stato l’omicidio dell’arciduca Ferdinando d’Austria e della moglie ad opera di uno studente serbo. L’aitia, cioè il vero motivo, era il controllo dei Balcani.

    Nella guerra di secessione americana, il motivo apparente (profasis) era la liberazione degli schiavi dal sud del paese, ma la vera ragione era che il nord non riusciva a competere contro i prezzi troppo bassi del sud dovuti alla manodopera gratuita. Inoltre, al nord servivano operai per le industrie e gli schiavi potevano essere una soluzione. L’arché è stata la dichiarazione di indipendenza di alcuni stati meridionali.

    Nell’Unità d’Italia la profasis è stata l’unificazione nazionale, ma l’aitia è stata la paura dell’Inghilterra nei confronti dell’espansione francese verso sud e l’economia sempre più crescente dei Borboni.

    Ora, ritornando all’Ucraina.

    La profasis è la scusa russa di “denazificare” l’Ucraina. Una paura ancora viva in Russia. Una parte dell’Ucraina orientale aveva chiesto l’indipendenza i quanto si sente vicina all’identità russa. Vi furono delle repressioni assai sanguinose con dei crimini contro l’umanità compiuti da Kiev e riconosciuti nel 2016 dall’ONU. Alcuni battaglioni ucraini erano famosi per essere spalleggiati da estremisti di destra. Il presidente Zelensky non ha mai preso le distanze da questi eventi e ciò ha incrementato la profasis.

    L’aitia, il vero motivo, è riscontrabile sul fronte economico. La Russia ha investito molto nella parte orientale dell’Ucraina. Essa è anche la zona più ricca di risorse, come il grano e giacimenti minerali. Possiede i più grandi giacimenti di litio: metallo sempre più richiesto per la realizzazione di batterie. Vi sono anche tante centrali nucleari e parecchia manodopera. Inoltre, vi è il passaggio dei gasdotti, per cui gli ucraini volevano rivendicare il diritti di passaggio.

  • Il dramma di Meloni

    Il dramma di Meloni

    Per chi crede ancora nelle ragioni della buona politica, il Riformista fa un regalo prezioso: le riflessioni di uno degli ultimi “Grandi vecchi” della politica italiana: il senatore Rino Formica.

    In molti hanno parlato e scritto di quelle del 25 settembre come di elezioni “storiche”. Lei che la storia politica italiana l’ha vissuta per decenni da protagonista, come la vede?
    In questo Paese diventa storico il suono della sveglia. Quel voto è una sveglia. Il Paese era nell’area della tranquillità, della serenità. Nella politica italiana vi sono due periodi fondamentali: uno fino al ’92 e poi quello dal ’92-’94 e seguenti. Sino al ’92 questa tranquillità di fondo veniva data da un forte rapporto fiduciario tra il cittadino e la democrazia organizzata. Era quasi un rapporto di carattere religioso. È come la fede nella religione. Anche la religione ha un problema di rapporto tra fede e ragione. Nella fase di sviluppo naturale della democrazia in Italia, nei primi 40-50 anni di vita repubblicana, essa era in parte legata alla ragione delle classi dirigenti e in parte alla fede di massa. Il legame tra fede di massa e ragione delle classi dirigenti portava ad una sintesi tra fede e ragione. Questo si è rotto all’inizio degli anni ’90.

    Perché senatore Formica?
    Perché è venuto meno il sistema di rete della democrazia organizzata. Questa mancanza di rete della democrazia organizzata è stata interpretata dalle classi dirigenti, che si sono immediatamente adeguate al nuovo corso dimostrando così tutta la natura profonda dell’opportunismo e del trasformismo di cui erano intrise ma che era coperto da una condizione che era propria della democrazia organizzata, e così abbiamo avuto un progressivo distacco tra masse popolari e non solo la democrazia organizzata nell’interno del sistema ma un distacco con le istituzioni. Questo distacco dalle istituzioni non modificava le condizioni di diseguaglianza di carattere economico, sociale, civile e territoriale del Paese. Quelle restavano tutte in piedi e questo in un mondo che stava cambiando con la globalizzazione. E la globalizzazione portava a un nuovo e diverso livello le conoscenze di massa in sede globale. L’elemento della coscienza per via di conoscenze da parte delle masse nel mondo, non aveva però un elemento coagulante e unificante su scala globale. Perché su scala globale restava unificante la forza impetuosa del capitalismo che sganciato dai compromessi nazionali diventava sempre di più una forza di un imperial capitalismo. Questo imperial capitalismo era sbilanciato. Perché da una parte era l’imperial capitalismo tutelato da minoranze detentrici del potere dell’ineguaglianza nella società e dall’altra parte vi erano le grandi masse che prendevano coscienza che non era sufficiente la presenza ma il protagonismo per cambiare le condizioni andando al cuore del capitalismo imperiale. Tutto questo poneva un problema…

    Quale?
    Il problema che quello che era stato detto e gabellato e cioè che la società evolvendo, il progresso di carattere economico e la diffusione del benessere nel mondo sia pure in parti ineguali, spegneva la lotta di classe. La lotta di classe c’è. Sicuramente è più complicato poterla interpretare e poterla guidare perché le classi non sono più regolabili in un conflitto sociale su base nazionale ma su base universale dove le lotte di classe sono differenziate, ineguali e diverse tra di loro. E qui nasce il problema.

    Di che problema si tratta?
    Se si osserva bene, si coglie il fatto che le uniche forze che hanno un elemento di unificazione a livello sovranazionale sono le grandi religioni. Le grandi religioni hanno percepito questo elemento di inquietudine generale. Il mondo è inquieto. Cosa vuol significare il Papa quando dice che bisogna cambiare il modello di sviluppo? Questo era il linguaggio che negli anni ’70 era degli extraparlamentari. Cambiare il modello di sviluppo. Cioè si pone il problema della inadeguatezza dell’imperial capitalismo. Ma le religioni non sono in condizioni di condurre una lotta politica perché per condurre una lotta politica le religioni devono perdere il loro carattere universale e diventare nazionali. Come lo è diventata improvvisamente la Chiesa ortodossa russa che ha dovuto perdere il carattere universale e ha dovuto affermare, per diventare nazionale, che c’è una sanatoria dei peccati se vai a combattere in Ucraina. Resta il fatto, enorme, che le religioni universali pongono il problema non solo dell’inadeguatezza ma della ingiustizia intrinseca, strutturale, di quei processi politici, economici e sociali che non soltanto non hanno attenuato le condizioni dell’ineguaglianza ma che hanno esasperato le vecchie ineguaglianze e creato delle nuove. Qui sta la crisi della politica e delle sue forme organizzate. Il non essere all’altezza di questa sfida del cambiamento globale e globalizzato. D’altro canto la storia del Novecento sta lì a ricordare che il capitalismo quando si è trovato in difficoltà è diventato repressivo e guerrafondaio. E questo può accadere anche con l’imperial capitalismo che, messo alle strette o comunque in difficoltà, trova la soluzione della guerra. Noi ci troviamo di fronte al rischio che la riflessione di carattere politico generale della nuova globalizzazione delle conoscenze, che potrebbe spingere l’umanità a creare delle forze internazionaliste di organizzazione delle condizioni umane differenziate che ci sono nella società, i deboli con i deboli contro i forti che sono una minoranza non solo nelle realtà nazionali ma sempre più minoranze nell’assetto globale, si possa bloccare questo processo di riflessione attraverso una espansione del conflitto oggi in Europa e domani chissà dove.

    Quelle che lei ha fin qui sviluppato sono riflessioni di portata epocale. Ma venendo alla politica italiana, lei non ritiene che una sinistra o comunque una forza progressista, il Pd, per provare a ritrovare ragione di sé proprio su queste grandi tematiche dovrebbe cimentarsi e non avvitarsi nella spirale mortifera di una resa dei conti sul nuovo segretario?
    Ma porta su di sé il peso enorme di trent’anni in cui ha sposato la linea dello svuotamento del sistema politico. La sinistra è stata artefice dello svuotamento politico del sistema. E qui sta il suicidio politico. Perché lo svuotamento politico del sistema colpiva innanzitutto la sinistra.

    Perché, senatore Formica?
    Vede, i conservatori hanno una politica oggettiva che cammina da sé. Conservare l’esistente. A sinistra la politica è intrecciata indissolubilmente al cambiamento. E quando questa politica viene meno all’interno del sistema, viene meno l’esigenza del cambiamento e con essa la sinistra stessa. Ciò che ci si dovrebbe chiedere, l’interrogativo attorno al quale provare a sviluppare una riflessione collettiva dalla quale dipende l’esistenza stessa futura della sinistra, è perché la sinistra è andata progressivamente perdendo consenso, entusiasmo, passione, capacità di essere forza creativa nella società, capace di modificare, di innovare, di riformare. Perché?

    Una domanda “esistenziale”. Qual è la sua di risposta?
    Perché si è lasciata guidare dalla destra. Il minimalismo sociale è una scelta ideologica. Il minimalismo sociale non può non produrre che il populismo massimalista. L’indifferenza istituzionale non può non provocare che l’abbandono della via democratica alla costruzione del proprio sistema di vita e all’ingresso di forze dominanti che finiscono per diventare prima reazionarie e poi repressive. Ecco perché hanno ragione coloro che dicono che la responsabilità non è del gruppo dirigente in carica nel momento dell’ultima clamorosa sconfitta della sinistra. La responsabilità è di tutta quanta la classe dirigente, il ceto politico dominante della sinistra da trent’anni a questa parte, accumulando una serie impressionante di errori. Alcuni dei quali sono partiti non con la consapevolezza dell’errore ma come una furbizia per mimetizzare la propria determinazione di rovesciare il tavolo senza che nessuno se ne accorgesse, spacciando una presunta furbizia per machiavellica capacità tattica. Ma alla fine la legge bronzea della quotidianità del vivere ha fatto sì che il trasformismo delle classi dirigenti sia diventato un trasformismo per adeguamento e per rassegnazione delle masse popolari. Ma di questo non possono godere neanche i vincitori di queste elezioni, cioè Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni. Vuol sapere qual è il vero dramma della Meloni?

    Sono tutto orecchie, senatore Formica.
    Lei avrebbe avuto tanto, ed era attrezzata per poterlo fare, un gran desiderio di poter essere l’Evita Peron della socialità di massa populista in Italia. Ma sarà condannata dalla forza delle cose ad essere una burbera Thatcher senza neanche avere l’autonomia della guida. Perché la guida spetta ad altri. Su sede sovranazionale. Ne vuole la prova?

    Certo che sì.
    Questa maggioranza si riunirà il 13 ottobre. Con la maggioranza che ha, con il tempo che ha avuto per ristabilire l’ordine al proprio interno, per avere la certezza di una maggioranza di governo, in tre giorni Meloni avrebbe potuto definire gli organismi dirigenti interni, eleggere i suoi organi di rappresentanza in Parlamento, avere l’incarico dal Presidente della Repubblica e presentare in ventiquattr’ore il nuovo Governo. Sarebbe stato un gesto corrispondente al superamento di una legge elettorale balorda. Almeno si poteva dire di lei che in tre-quattro giorni aveva saputo eleggere gli organi per l’efficienza del Parlamento e gli organi di Governo del Paese. Invece no. Il “lord protettore” le ha detto che il 20 di ottobre alla riunione dei capi di Governo dell’Unione Europea va lui. E che la campanella passerà di mano alla fine di ottobre. E la Meloni non ha risposto con l’orgoglio di una maggioranza indicata dal voto popolare, sia pure con una legge balorda, e insediata in Parlamento, col dire: no il 20 ci sarà probabilmente il nuovo Governo e a quella riunione ci sarò io che di quel Governo sarò la premier.

    Quando fa riferimento al “lord protettore” della premier in pectore, il suo nome e cognome è Mario Draghi.
    Mario Draghi adesso ma chi per lui domani. Un “lord protettore” che guiderà la destra italiana a stare nel solco del conservatorismo parassitario europeo ci sarà comunque. È la funzione che conta non il nome di chi sarà chiamato ad esercitarla. Noi siamo sotto protettorato. Oggi il “lord protettore” più credibile sul piano internazionale e più disponibile per il momento è Draghi. E probabilmente lo sarà. Sicuramente per il primo semestre di questo Governo.

  • La dettatura europea

    La dettatura europea

    Sovente viene evocata a sproposito la nozione di dittatura: dittatura sanitaria, dittatura di Bruxelles…

    La dittatura evocata esprime il timore pallido – non la convinzione granitica – che il potere politico si concentri in un solo organo o in una sola persona.

    Al timore agito enfaticamente e demagogicamente su ogni genere di media si accompagna tutto un lamento inscenato e insensato sul bisogno di politica e sui guasti dell’antipolitica. La politica viene richiesta a gran voce come nobile rimedio per ogni situazione mentre è essa, la politica, la causa di tanti problemi. Il motivo è semplice: la politica è organicamente incapace di far fronte alle questioni preminenti della contemporaneità i quali necessitano di uno sguardo largo e cooperativo, pianetico, non dello sguardo miope e proprietario tipico della politica. [1]

    La politica non è una leva di progresso, ma solo una componente macchinale e consunta dell’organizzazione sociale.

    La nozione di dittatura poco serve a visualizzare l’immagine dei poteri politici presenti, non solo in Europa.

    Più utile potrebbe risultare la nozione di dettatura.

    Per quanto abbiano delle affinità linguistiche e musicali, la dettatura è ben diversa dalla dittatura ma non è di minore importanza.

    Differentemente dalla dittatura, la dettatura indica una situazione nella quale le decisioni da prendere sono storicamente segnate. La dettatura è indifferente agli organi o alle persone, si enuncia con le cose in divenire, con le cose da realizzare indipendentemente dalle persone che la interpretano.

    La dittatura nasce da uno stato incerto e dalla speranza che la forza ( di una persona o di un partito) sia in grado di risolvere i problemi.

    La dettatura nasce invece dallo stato di certezza e dalla sicurezza che la strada intrapresa sia in grado, se non proprio di risolvere i problemi, di affrontarli al meglio secondo i canoni costituiti.

    La dittatura concentra il potere e lo personalizza.

    La dettatura al contrario rende possibile la massima diffusione del potere e ne istituzionalizza la parte macchinica, politica.

    La dittatura annulla la democrazia distruggendo tutti i suoi riti. 

    La dettatura è una più alta forma di democrazia perché mantiene intatti i suoi riti e rende possibile il massimo potere diffuso del demos sottraendogli ed evitandogli la responsabilità e la noia della decisione della macchina politica.

    La dittatura arriva dove la democrazia perisce.

    La dettatura dove la democrazia mantiene i suoi riti anestetizzandone gli spasmi.

    La dettatura non si fonda sul primato degli uomini, ma su quello delle cose.

    La dettatura è amnio e alveo entro cui si decidono e si producono le cose quando il cammino è ben segnato.

    La dettatura non è un limite della macchina politica o il canto del cigno della democrazia, ne è invece il  rituale compimento.

    L’indifferenza alla politica sotto il regime della dettatura non marca la generale insensibilità, anzi può avvenire in presenza di una sensibilità sociale diffusa capace di esprimersi in tutti gli altri campi della vita vivente.

    Nell’epoca della dettatura, la politica si muove entro binari definiti. Finché questi binari assicurano l’esercizio del potere diffuso, il potere rituale del popolo – i rappresentanti, le elezioni, le istituzioni – è salvo.

    La dettatura è dunque la forma che il potere politico assume quando la direzione è certa. In Italia e in Europa, in questo momento, l’orizzonte è chiaro.

    Ciò che occorre fare, ciò che si può fare, è già interiorizzato dalla macchina istituzionale che è avviata nella sua direzione.

    L’Italia è sotto dettatura. Comunque vadano le cose, per chiunque si voglia votare, il regime della dettatura comporta che le cose proseguano il loro corso nell’alveo già fissato da almeno 6 anni.

    L’amnio della dettatura è segnato:

    1. dal nuovo corso dell’Unione europea dopo l’uscita del Regno unito;
    2. dal ruolo di leadership che il Paese inevitabilmente deve avere in Europa;
    3. dal ruolo autonomo e pianetico che l’Unione europea inevitabilmente assume;
    4. dalla crisi climatica;
    5. dall’asimmetria demografica.

    Tali priorità rendono fantasmatiche le frontiere e necessiterebbero di una visione pianetica, la quale impone una totale messa in mora dei paradigmi della politica.

    In assenza di una visione pianetica, i governi sono costretti a comportarsi seguendo, magari in modo acefalo e tortuoso, l’onda.  Quando deviano dalla direzione di marcia sono costretti – dopo aver sbattuto contro la realtà delle cose – non da qualcuno ma da quella medesima direzione a riseguitare il cammino. In questo caso, mancando alla politica – per intrinseca deficienza – la capacità d’interpretare la direzione e di seguirla, tocca alle istituzioni dettare le regole, istituzioni generalmente guidate da persone indipendenti dalla politica o che si rendono tali in forza del loro ruolo istituzionale.

    La dettatura diviene il luogo della decisione effettiva al di là di ciò che deciderebbe la politica e in forza della sua impotenza.

    In regime di dettatura, alla politica tocca solo l’indispensabile ruolo di confermare tramite tutti i rituali del voto le decisioni già dettate dalle forza delle cose.

    L’Italia vive da tempo sotto la dettatura di Mattarella e di Draghi, ma anche in loro assenza la dettatura rimarrebbe in vigore. Solo in caso di rivolgimento regressivo e funesto della situazione la dettatura verrebbe meno.

    In caso di shock – uscita dall’UE e dall’Euro, indifferenza ai problemi climatici, distruzione dei diritti civili, guerra ai migranti -, quando si rischia che il cammino prestabilito venga disarcionato, allora si comincerebbe a sentire il lezzo della dittatura.

    Dettatura, democrazia e libertà

    L’Italia e l’Europa sono sotto dittatura? Ha ancora senso che ci siano le elezioni? Qualcuno pensa ancora di votare veramente? Se sì, per chi? Per che cosa? Gli eletti hanno voce in capitolo?

    E il parlamento, è in grado di decidere qualcosa?

    Tutte legittime domande poste ogni qualvolta in Europa si replica l’indispensabile benché esausto rito delle elezioni.

    Esausto perché privo di pathos, privo di passione, incapace di elevare anche il meno nobile impeto dell’animo umano, capace solo di intercettare qualche profanissimo interesse della mediocrità generale. Rito stancamente riprodotto su scene calcate da attori stinti, improvvisate passerelle di transeuntissimi protagonisti dell’ultima chiacchiera di cortile, pessimi presunti salvatori di patrie ormai estinte.

    Tutto questo orrifico circo della politica prolifera tra annoiati commentari ma anche tra estese voci che ostentano indignazione mentre piluccano nella consunzione generale.

    La storia quando è esausta non abbandona facilmente i riti. Spesso li conserva anche quando risultano botulinosi.

    Non è sragione la sua, anzi è raziocinio puro. I riti della politica infatti tanto sono esausti tanto risultano essere ancora indispensabili.

    La domanda alla quale occorre rispondere è proprio questa: perché ciò che esausto anziché perire in fretta prolunga all’infinito la sua agonia?

    La sfinitudine della politica si esprima con la massima impotenza nel rito elettorale.

    Nel rito elettorale non c’è la festa, non c’è l’attesa. L’entusiasmo non è di casa illo tempore.

    Per ridare un po’ di carica fibrillatoria alla noia elettorale ci sarebbe bisogno di qualche pallida o effettiva paura (il fascismo alle porte, l’aborto cancellato, l’invasione dei migranti).

    In effetti, in Francia, in Italia, in Svezia o altrove si è vista qualche minimale paura all’opera, ma poi inevitabilmente la paura sfuma in fretta. Chi ha vinto, chi ha perso e chi ha pareggiato nelle ultime elezioni, dopo qualche spasmo digitale, si rimette in carreggiata. La marcia della democrazia riprende a macinare i suoi felpati passi lungo il cammino della dettatura.

    Tutto sembra inutile, eppure tutto rimane così indispensabile. Perché?

    Perché, per quanto decerebrato, è nel rito elettorale che si coglie il carattere indispensabile della democrazia.

    Senza libere elezioni non c’è democrazia. Senza democrazia niente libere elezioni.

    La democrazia è nota per essere il peggiore regime politico esclusi tutti gli altri.

    Nonostante tutti i suoi limiti, non c’è regime politico migliore della democrazia. La democrazia è la più alta forma di politica. Lo è perché tutti i suoi ciclopici limiti intrinseci anziché assassinarla la rafforzano.

    La democrazia è il regime politico che rende possibile sentirsi universalmente liberi. Sentirsi liberi equivale a essere effettivamente liberi? Ovviamente no.

    È il sentirsi liberi al di là dell’esserlo effettivamente.

    Nella democrazia tutto può essere deciso finché le masse pensano di deciderlo tramite il voto.

    Il voto, questo esausto rito, è lì a dimostrare che la libertà è data proprio nel momento in cui essa viene meno.

    La democrazia è il regime della facoltà. La facoltà, in questo regime, conta più dell’effettività. La facoltà di votare, per esempio, conta più del voto. In effetti, una parte considerevole della popolazione non esercita il suo diritto.

    Nella facoltà si esprime l’intima connessione tra la simulazione e la realtà, tra la rappresentazione e l’espressione.

    La rappresentazione elettorale simula l’espressione sociale senza mai poterla realmente compiere.

    Tanto più la simulazione si tiene in vita tanto più l’espressione sociale è attiva.

    La simulazione – per quanto marginale –  è parte costitutiva della realtà. 

    La libertà ha a che fare con la facoltà. Essa si esprime nel suo esercizio, ma si esalta quando l’esercizio viene sospeso da chi lo possiede. La libertà non si esprime quando si ha l’obbligo di esercitarla ma quando è  facoltà che può non essere esercitata. Non c’è musica senza silenzio.

    La facoltà di votare fa sentire liberi, ma il non esercizio del voto – volontario, autonomo da ogni prescrizione – non è contrario della libertà, né la limita, tutt’altro. Ne è semmai intima espressione, privilegio afferente a chi presume che l’inesercizio del voto non metta in alcun modo a rischio il resto delle facoltà.

    L’indifferenza verso la politica nella contemporaneità, anziché marcare, come i più ritengono, l’insensibilità generale della popolazione, esprime questo privilegio. Simile privilegio si manifesta – soprattutto tra la popolazione giovane – riguardo alle attività e al tempo di lavoro.  Anche la scelta tra lavorare e non lavorare, tra attività autogestite o eterodirette, con tempi di lavoro limitati o espansi a tutta la giornata biologica va a marcare il tempo presente.

    La libertà esiste se c’è possibilità di scelta. La prima opzione – votare o non votare – non inibisce la libertà, anzi la esalta.

    Chi non vota perché non desidera esercitare la facoltà non è detto che si senta meno libero di chi si comporta in modo avverso, anzi.

    L’indifferenza verso il voto e verso la politica – anche se è espressione di variegatissime situazioni – indica comunque una diversa concezione della libertà.

    Tale concezione può esprimersi con due metafore, dei semafori e dei pompieri.

    Ciò che interessa alle persone comuni – ciò che le fa sentire libere, ciò che permette loro di essere libere – è che i semafori funzionino e che i pompieri intervengano celermente in caso d’incendio.

    Una volta tranquilla sui semafori e sui pompieri, chiunque può concentrarsi sui suoi interessi, sulla sua vita, indifferente al chiacchiericcio politico.

    Ma questo sentirsi liberi ha davvero a che fare con la libertà?

    Chi si sente libero non è detto  che non lo sia.

    Si sente libero chi crede di sviluppare i propri interessi, le proprie attitudini senza subire pregiudiziali limitazioni esterne.

    Chi si sente libero certamente lo è, ma ben al di sotto di quanto presume, ben meno delle reali possibilità. È libero fino ai limiti imposti dalla situazione. Se oltrepassa i limiti, se li vìola, se li sfida, la sua libertà se ne va a ramengo.

    La politica è un limite alla libertà o è una sua leva?

    La democrazia è il regime peggiore, esclusi gli altri, perché il potere del demos – che ufficialmente viene esercitato per suo conto dai rappresentanti o si esercita in modo diretto – rimane in buona parte al demos. Quel demos che delega volentieri la parte politica del potere come escamotage per trattenere tutto il resto.

    La democrazia permette che l’esercizio del potere diffuso marginalizzi nella società e nell’esperienza della vita singolare il ruolo della politica.

    Quel demos indistinto che ha interessi, passioni, gusti attitudini, attributi, comportamenti estremamente variegati. Più questa variegazione è in grado di esprimersi, meno è importante il potere sul demos. La politica si sgonfia in misura proporzionale alla crescita di questa variegazione.

    Tutto questo insieme esprime il vero status del potere contemporaneo. Intenderlo ancora come attributo unico o preponderante della politica è anticaglia priva di qualsiasi valore.

    Il potere diffuso è il miglior antidoto contro il potere politico.

    Alla politica rimane di governare a fatica soltanto la sua incapacità di governare. 

    La dittatura è l’espressione più nefasta della politica.

    La dettatura è un bagno di luce sul suo tramonto.

    Il tramonto della politica annuncia la necessità della pianetica.

    La dettatura è la fase necessaria e transitoria tra la politica e la pianetica.


    [1] Per approfondire la differenza tra la nozione di Politica e quella di Pianetica, vedasi Lettera al Presidente Putin, maggio 2022, rilasciata dalla news letter di Pianetica, e Pino Tripodi – Giuseppe Genna, Pianetica, febbraio 2022, libro autoprodotto disponibile al link https://milieuedizioni.it/product/pianetica/

  • Cosa vuole ottenere la Russia dalla guerra in Ucraina: l’eterno obiettivo del Cremlino

    Cosa vuole ottenere la Russia dalla guerra in Ucraina: l’eterno obiettivo del Cremlino

    Paolo Guzzanti — 10 Giugno 2022

    Non è mai esistita una dura (ma cavalleresca) Guerra Fredda fra due ideologie, il Capitalismo e il Socialismo, a causa delle quali due mondi si sono fronteggiati per mezzo secolo con le armi al piede finché una delle due è implosa– la Russia sovietica – lasciando l’altra, l’America vincitrice unica e padrona del campo. Mai. Ci abbiamo creduto quasi tutti. Ma Enrico Berlinguer, che però non seppe sfruttare in modo vincente la sua intuizione, lo capì al volo. Fu quando gli americani fecero al Cile – in modo traumatizzante ma meno cruento – quel che la Russia oggi fa all’Ucraina.

    La situazione allora era simile a quella che seguì la fine delle guerre di religione in Europa. Se sei il Cile, devi stare in campo americano e se sei Ucraina (o Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia) devi stare in campo russo, zitto e Mosca. Berlinguer vide che fine aveva fatto Salvador Allende, analoga a quella di Imre Nagy in Ungheria o di Dubcek a Praga, o dell’angosciato Gomulka a Varsavia, e scrisse una serie di articoloni su Rinascita in cui diceva più o meno così: cari democristiani, noi comunisti sappiamo che voi vorreste fare un governo con noi comunisti lasciando a secco quei maledetti socialisti che abbiamo sempre odiato. Ma gli americani non vogliono comunisti in alcun governo in cui si condividano segreti militari per la sempre imminente guerra con la Russia, e allora io ho avuto un’idea: cerchiamo di aggiustarci fra di noi dando garanzie militari al nostro referente egemonico per evitare che quello, in preda a una crisi di nervi, ci faccia fuori. All’altro referente egemonico, quello di noi comunisti, ci penso io: farò una manovra di lento distacco ideologico ma senza fratture e che dio ce la mandi buona. Lo chiameremo “compromesso storico”.

    La fine è nota. Il punto è: fra il 1946 e oggi abbiamo sempre vissuto un’unica lunga guerra di preludio a una possibile, imminente e mai scongiurata Terza guerra mondiale, quella che se mai scoppierà si giocherà con missili intercontinentali nucleari. Controprova: lo stesso Berlinguer – fallito il grande disegno di escamotage politico con la micidiale liquidazione del partner Aldo Moro (che per conto degli Occidentali avrebbe dovuto fare da garante dal Quirinale, da cui fu sloggiato il Presidente della Repubblica Giovanni Leone con una campagna di stampa condotta in perfetto stile di “disinformatzija” sovietica – riallineato sul fronte strettamente militare della guerra fra Occidente e Russia, scelse la Russia, che aveva schierato contro l’Europa batterie di missili a medio raggio SS20. E lo fece mobilitando tutte le forze politiche di obbedienza moscovita a fare il diavolo a quattro affinché non fossero schierati, in risposta ai missili russi, i missili americani Pershing e Cruise adatti a riequilibrare il gap strategico.

    In Italia vinsero gli euromissili grazie allo schieramento dei socialisti di Craxi e i repubblicani di Spadolini e questo evento politico si trasformò in un atto di guerra politica violentissima di cui abbiamo perso memoria. E qui siamo al dunque: chiunque abbia la curiosità e la pazienza di leggersi i verbali di tutte – tutte – le riunioni annuali dei membri del Patto Di Varsavia – l’Anti-Nato dell’Est – troverà che l’esercitazione era sempre la stessa: “Di fronte ad un vile e proditorio attacco degli eserciti al comando degli Stati Uniti contro le democrazie popolari e dell’Unione Sovietica, le forze del Patto di Varsavia respingono l’attacco e rispondono con una controffensiva che ricaccia gli invasori fino all’Atlantico e li getta in mare”. Tutta la storia della Guerra Fredda è stata un contenuto preludio ad una sempre possibile guerra calda perseguita dal Cremlino, chiunque ci fosse dentro, in vista di una strategia molto semplice che fu studiata ed attuata con particolare cura da Yuri Andropov, il più perfido e geniale capo del Kgb poi diventato segretario del Pcus e sponsor di Michail Gorbaciov. L’operazione era questa: portare l’Europa occidentale in Russia e la Russia in Europa.

    Però la Russia sovietica commise l’errore di svenarsi inoltre i limiti della sua possibilità per ottenere la potenza militare utile per una operazione come quelle descritte nei verbali del Patto di Varsavia e quando il Presidente Donald Reagan dette a bere ai russi di poter varare un costosissimo piano di guerre stellari, l’ex pupillo di Andropov, l’allora giovane Michail Gorbaciov si sottomise con un piano di resa che prevedeva lo sganciamento dei Paesi satelliti che costituivano un peso insostenibile e l’accesso a un enorme prestito per salvare l’economia russa. Fu lì che avvenne il baratto fra i confini della Nato e i prestiti occidentali. Sono stato per cinque anni membro della delegazione parlamentare nella Nato e non ho sentito parlare altro a Washington che della inutilità della Nato che gli americani volevano chiudere perché oltre che inutile era ed è molto costosa, mentre gli europei insistevano perché i paesi che come la Polonia avevano assaggiato le delizie di una dominazione sovietica, volevano assolutamente una protezione americana in Europa alla quale i repubblicani – lo abbiamo ben visto con Donald Trump e la sua politica di America First – non volevano aderire.

    La politica di Trump verso l’Europa era esplicita: fottetevi, cari europei. Pagatevi i vostri eserciti e difendetevi. I russi vi vogliono mangiare? E fanno bene, perché siete una massa di codardi che si arricchiscono mentre noi paghiamo per la vostra sicurezza e indipendenza. Caro Putin, per quanto mi riguarda, ti puoi prendere quell’Europa di parassiti, Noi americani non spenderemo né un dollaro né una goccia di sangue per loro. Non così la pensano i democratici che, come gli inglesi, hanno un conto eternamente aperto con la Russia per tutte le sue spericolate astuzie fin dai tempi dell’infame alleanza fra Stalin e Hitler a spese dell’Europa e degli Stati Uniti. E qui arriviamo al punto di questi giorni: i putiniani. Chi sono, se ci sono. Molto semplicemente i putiniani, per la mia esperienza giornalistica e politica, “i putiniani” sono semplicemente tutti gli anti-americani ideologici e spesso religiosi – l’America la nuova Mammona adoratrice dello sterco del demonio – che in Italia sono forse la maggioranza. Il signor Kolosov che guidò la “residentura” del Kgb a Roma per molti anni, interrogato dalla Commissione di cui ero presidente disse.

    “Tutti gli antiamericani venivano a bussare alla nostra porta e chiedevano di aiutarci contro di loro e di proteggerci, persino, contro di loro. Non erano neppure i comunisti, ma specialmente i democristiani. Parlando a Tripoli con il ministro degli Esteri di Gheddafi, il signor Trekki che si esprimeva in un eloquente francese, costui disse alla delegazione della Commissione Esteri: “Il giorno in cui fu annunciata la fine dell’Unione Sovietica era qui il vostro più grande uomo politico, Giulio Andreotti, il quale pianse e disse: da oggi il mondo è cambiato in peggio: gli americani hanno vinto e saranno padroni del mondo, ci mancherà l’Unione Sovietica”.

    Parole non diverse da quelle pronunciate dallo stesso Vladimir Putin quando dice che la più grande calamità della sua vita è stata la dissoluzione dell’Unione Sovietica, cui peraltro si sta laboriosamente dando da fare per poter rimediare il danno fatto, rincollandone i pezzi col ferro e col fuoco e col sangue. Basta accendere il televisore dopo le venti e trenta per trovare sciami di sapienti che di fronte all’invasione armata di un Paese europeo da parte della Russia gridano che è certamente colpa degli americani ed è molto più di un riflesso condizionato: è – questa è la mia opinione – la coincidenza immediata con il puntinismo, che dichiara apertamente la sua vocazione all’imperialismo nazionalista russo, che non ammette giri di valzer, non consente differenze culturali ma ha bisogno di fedeltà pronta cieca e assoluta al Cremlino, come è sempre stato e come sarà per sempre.

  • Complotto continuo

    Complotto continuo

    Mattia Feltri La Stampa 2 giugno 2022

    Urca, sta arrivando un altro diabolico complotto ordito dalle élite globaliste ai danni del povero, indifeso popolo italiano. Oddio, indifeso non so. Infatti a scorgere il luciferino è stata Giorgia Meloni alla lettura di un report di Goldman Sachs, banca d’affari americana, ovvero zoccoli biforcuti e artigli da usuraio. Che ha detto il comitato di aguzzini? Ha detto che, con la salita dei tassi di interesse, e la possibile vittoria alle elezioni di Lega e F.lli d’Italia, sempre molto ringhiosi verso l’Ue, ci potrebbero essere preoccupazioni sulla sostenibilità del debito. Del resto – aggiungiamo qui – il debito italiano è arrivato a duemila e 786 miliardi di euro (provate a scriverla questa cifra…). Ma a Giorgia non la si fa: i poteri forti ci attaccano perché sono preoccupati e fanno bene a esserlo, ha risposto. Ecco, mettetevi nei panni non dico di un potere forte, anche di un potere medio, o medio piccolo, o un creditore qualsiasi: la risposta di Meloni vi tranquillizzerebbe? Cioè, arriva una che considera la globalizzazione un castello di sabbia di menzogne e, con quella montagna di debito sparsa nei mercati globali, dice che se i mercati globali si preoccupano fanno bene a preoccuparsi. Già la presenza di Matteo Salvini, uno che esulta per un atto di pirateria scambiandolo per una pacifica iniziativa mercantile, non sembrerebbe pienamente rassicurante. Aggiungiamo una leader in pectore la quale, a chi gli ha prestato i soldi, e si spaventa all’idea di non averli indietro, dice ok bello, spaventati pure. Il punto non è se ci siano complotti o no, il punto è che con la destra italiana non ce n’è nemmeno bisogno.

  • La religione è l’oppio dei popoli

    La religione è l’oppio dei popoli

    Peccato che Marx non abbia mai detto così.
    La frase originale era questa, parte di un ragionamento molto più profondo e poetico:
    La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo.

  • Siamo esseri umani, tutto il resto è secondario.

    Siamo esseri umani, tutto il resto è secondario.

    Siamo esseri umani, tutto il resto è

    Michele Serra, nell’Amaca di stamattina, inquadra con rara precisione non tanto uno dei guasti del ddl Zan, ma uno dei guasti provocati della sensibilità contemporanea in fatto di diritti. Serra riparte dagli interventi in cui Gianni Cuperlo e Luigi Manconi parlano dell’eccesso definitorio della legge respinta al Senato, e Serra commenta l’eccesso definitorio proponendo una definizione sintetica con cui si può essere in disaccordo soltanto se si è alle prese con seri problemi di convivenza civile: “Nessun essere umano deve essere offeso o discriminato a causa delle proprie scelte sessuali”. Serra corre un serio pericolo a ridurre la questione alle scelte sessuali, ed è un rischio che vorrei correre con lui, perché poi c’è l’aspetto del genere, e si potrebbe aggiungere “e di genere”, ma preferisco correre questo pericolo piuttosto di correre quello di deviare la sua mira da cecchino.

    Qualche giorno fa un amico mi ha scritto una lunga mail per chiedermi conto, lui favorevole, delle mie perplessità sul ddl Zan (l’occasione mi sembra troppo ghiotta e non me la lascio scappare: siccome mi si rimprovera di riempirmi tanto la bocca con la filastrocca dei diritti, ma di non spendere una sillaba per il diritto degli omosessuali all’adozione e a un matrimonio pienamente parificato, ecco, l’ho scritto su Huffpost, sulla Stampa, l’ho detto in almeno uno dei miei interventi settimanali a Radio Capital, l’ho detto in piazza a Bologna a Repubblica delle Idee e lo ripeto volentieri, ditemi dove si deve firmare per il diritto degli omosessuali all’adozione e a un matrimonio pienamente parificato, e io firmo ratto come la folgore). Torno al mio amico. Siccome gli avevo risposto, fra l’altro, che quando la legge penale e più vastamente i codici non parlano di esseri umani ma di ebrei, gay, transessuali, donne e così via, si stabilisce una gerarchia di valori che frantuma il concetto di essere umano (ecco perché sono così felice che Serra abbia recuperato l’espressione, essere umano). Il mio amico ha ulteriormente obiettato che quando sente parlare di esseri umani si allarma più di un po’ perché Adolf Hitler progettò la Shoah rifiutando agli ebrei l’appartenenza al genere umano e sterminandoli proprio per la loro particolare qualifica di ebrei. Ecco, anche il mio amico aveva centrato il punto ma, secondo me, aveva commesso l’errore di ribaltarlo.

    Alla fine della Seconda guerra mondiale, l’Organizzazione delle nazioni unite, davanti al disastro di due guerre mondiali, di due bombe atomiche, della sistematica violazione della Convenzione di Ginevra, soprattutto davanti all’orrido mattatoio della Shoah, promosse la riscrittura della Dichiarazione universale dei diritti umani, da cui i Paesi aderenti avrebbero fatto discendere le loro legislazioni. Dico riscrittura perché si partì dal Bill of Rights inglese (1689), dalla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti (1776) e dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789) redatta in Francia all’alba della Rivoluzione. Il testo dell’Onu (1948) si riprometteva di precisare, di sottolineare, di meglio dettagliare i diritti umani rasi al suolo nel precedente trentennio, una sciagura di cui Auschwitz era la cattedrale. Andate a prendervi quel testo: la parola “ebrei” non c’è. L’articolo uno dice che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”; l’articolo due aggiunge che “a ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”.

    Perché, tre anni dopo la Shoah, non c’è un passaggio sugli ebrei? Mi pare evidente, per il totale rifiuto del modo di ragionare di Hitler: mettere un accento sugli ebrei avrebbe significato sottrarli di nuovo alla loro umanità per racchiuderli dentro una qualifica, o dentro un ghetto: ebrei. Quei due articoli sono di una perfezione inemendabile: se faccio del male a un essere umano commetto un crimine, se faccio del male a un essere umano perché è di un altro colore, di un’altra religione, di altra condizione, di altro sesso, commetto un crimine più grave e come tale sarà trattato. Essere umano: soltanto questo è il grande insieme, il resto è riduzione della nostra umanità a qualcosa di secondario.

  • Sull’esportazione della democrazia

    Sull’esportazione della democrazia

    Il precipizio della sinistra che nega l’esportabilità della democrazia (msn.com)

    Dacia Maraini: «Cosa ci insegna il coraggio degli afghani in quelle piazze colme di giovani e di donne»- Corriere.it

    Sì, la democrazia si esporta, ma non sempre, non ovunque | L’HuffPost (huffingtonpost.it)

    di Mattia Feltri

    Il problema dell’Afghanistan è che preferisce la legge di Dio a quella degli uomini

    18 Agosto 2021 alle 11:22

    Il 10 luglio qui su Huffpost ci chiedevamo con plateale scetticismo se la democrazia fosse un bene esportabile come scarpe Nike o pollo del Kentucky. Lo spunto arrivava da Kabul, dove il ritiro delle forze militari dei Volenterosi induceva a pronosticare il ritorno dei talebani nella capitale entro fine anno. È invece bastato poco più di un mese, e una decina di giorni di marcia senza sparare un colpo. Non lo si sottolinea per darci un tono: eravamo già in ritardo anche noi. Ma vale la pena sottolinearlo per restituire il giusto apprezzamento a una politica capace di cogliere la portata del disimpegno in Afghanistan fuori tempo massimo, guardando al Var le immagini disperanti dell’aeroporto e commentandole in stile rubicondo, perché prima, secondo recente e ubertosa tradizione, era troppo impegnata a spremere in quotidiane frivolezze le sue migliori energie. Questo abbiamo, perché è quanto sappiamo produrre: leadership che non sapevamo guardare oltre il domani, poi solo all’oggi e adesso dedite allo ieri. Bell’affare.

    Scrivevamo, allora, che la democrazia non è un bene esportabile, riferendoci all’Afghanistan e in parte al malsicuro Iraq, perché la democrazia non è soltanto un insieme di regole ma soprattutto una disposizione mentale e culturale (Robert Conquest) nata in Europa due millenni e mezzo fa nell’Atene di Pericle, passata dalla Magna Carta, da Oliver Cromwell e poi dalla Gloriosa rivoluzione in Inghilterra, dalla Guerra d’Indipendenza americana (caso interessante di importazione della democrazia con uso di armi), dalla Rivoluzione francese, dalle svariate dichiarazioni dei diritti dell’uomo, insomma un lunghissimo, dibattutissimo, sanguinoso percorso in fondo al quale le democrazie occidentali oggi non sono una soluzione finale ma un esperimento in cammino, talvolta in evoluzione altre in involuzione, e messo a faticosa prova dagli accidenti della vita, come ora il virus. 

  • Michele Serra

    Michele Serra

    DI TUTTO DI PIU SENZA PELI SULLA LINGUA E SENZA FAKE.

    Nuovi tempi, vecchi errori in forma nuova.Non sono nè un giornalista, nè un cronista, sono un cittadino ITALIANO che scrive come la vede. Che esprime semplicemente il suo punto di vista, che non siete obbligati a condividere. Libero io e liberi tutti, il pensiero non è un canarino.

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    Caro Michele Serra …

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    Caro Michele,
    debbo riportare verbatim le parole che hai appena pubblicato sulla tua posta del Venerdì:
    “Venendo a Draghi: io mi sentivo un elettore del governo giallo-rosso, con tutti i limiti del caso, e non mi sento un elettore di questo governo, che è frutto di una lecita alchimia istituzionale (ha i voti in Parlamento), non certo di un risultato elettorale. Ma non posso non vedere e non sentire che il prestigio di Draghi poggia su solide basi. Quando parla, di solito poco, è preciso e semplice, il contrario del politicante. È un uomo di centro, laico anche se credente. È un uomo di mercato, eccome, ma anche un uomo di Welfare. Un democratico legalitario. Un forte e credibile europeista. Una specie di Prodi conservatore, ammesso che i conservatori se ne accorgano.
    E dunque penso che sarebbe il leader ideale di un centro-destra finalmente civilizzato.”

    Non ho saltato neanche una virgola.
    E resto di sasso …

    Perché mi sento improvvisamente diverso, estraneo, tagliato fuori da una storia che credevo comune, che mi pareva comune, e che invece ora, alle soglie dei miei (e anche tuoi, tra un po’…) settant’anni, mi proietta violentemente da un’altra parte. E non so più quale!

    Io credevo di avere una storia ed anche una pratica di sinistra (tessera del PCI di Berlinguer, voto sempre, disciplinatamente, alla filiera PCI/PDS/DS/PD in ogni tipo di elezione e referendum, fondazione e militanza nel PD, il partito lungamente atteso, desiderato, mai compiuto, strapazzato dalle sue infinite traversie, infine grato a Matteo Renzi per quanto ha fatto e fa ancora…).
    Ahi! Qui si apre la prima faglia: infatti oggi io sostengo l’azione di Italia Viva e sono riconoscente a Renzi per avere indirizzato abilmente ed efficacemente la politica di questo Paese, fino a Mario Draghi, in un frangente molto complesso e delicato.

    Ma a parte questo “grave difetto”, mai mi ha nemmeno sfiorato l’idea di poter sostenere un qualsiasi centrodestra, fosse anche “finalmente civilizzato”, e per un fatto quasi antropologico, sul qual adesso non serve che mi dilunghi. Credimi, è così e tanto basta.
    Ora scopro che uno come te, una specie di fratello coetaneo culturale e politico, con un percorso ideale non dissimile dal mio, ed in più dotato di mezzi intellettuali nonché di successo e popolarità incommensurabili ai miei, si sente elettore del Governo Conte2 (tu lo chiami gentilmente giallo-rosso, ma era il Conte2, che veniva dopo il Conte1 con Salvini), ma non del Governo Draghi.
    Cioè, elettore del Governo nato dall’emergenza di fermare le mire agostane del Capitano, guidato da un improbabile “avvocato del popolo”, con Bonafede, Azzolina, Arcuri, il prof. Mimmo “Navigator” Parisi, arrivato dal Mississippi “a miracol mostrare”, con “incapaci” o “miracolati” (Beppe Grillo dixit), e non di quello dell’italiano più apprezzato al mondo da tempi immemorabili, che sta ottenendo risultati strabilianti, e tutti fortemente politici, mica tecnici o emergenziali …, con l’aiuto di un pugno di collaboratori eccellenti del calibro di Colao, Cingolani, Franco, Cartabia, Giovannini, …
    Anzi, tu dichiari, “papale papale”, che Draghi sarebbe ideale per un “centro-destra finalmente civilizzato”.

    E io mi perdo, vado nel pallone.
    Ma allora, chi sarebbe adatto al centrosinistra, Che Guevara, Allende oppure, più prosaicamente, Bertinotti, Bersani, Zingaretti, Bettini, Provenzano, oppure addirittura Giuseppe Conte, improbabile “punto di riferimento del progressismo europeo”?
    Che razza di centrosinistra hai in mente, con quali riferimenti politici e culturali, forse Corbyn, Sanders, Ocasio-Cortez, Elly Schlein? Quale elezione puoi mai pensare di vincere con persone (tutte rispettabilissime, per carità!) così? Quando mai governerai un Paese occidentale negli anni Venti del Terzo Millennio?

    Tu, in sostanza, e scusa se azzardo una interpretazione temeraria, ti auguri che uno come Draghi sia il leader di un centro-destra del tutto teorico, solo perché questo ti permette di coltivare un assurdo sogno utopistico di una sinistra idealista ed inconcludente, che sta all’opposizione, comoda, tranquilla, magari a discettare e far convegni, tanto a scavare nella merda e guidare la baracca ci pensa uno bravo come Mario Draghi, ma con un centrodestra civilizzato!

    Eh, no, Michele, no! Troppo comodo! Direi persino “irresponsabile”.
    Governare, e cambiare un Paese, richiede non “anime belle” ma anime capaci, competenti, altamente professionalizzate, guidate da sani principi democratici e civili. Possibilmente e sperabilmente di sinistra.
    Ma in ogni caso “maggioranze”: altrimenti fai solo opposizione ed a governare ci pensano gli altri. E il Paese così lo cambiano gli altri, e a modo loro.
    Io credo che la sinistra debba avere la capacità di aprirsi, di allargarsi, di diventare maggioranza, includendo anche incerti ed indecisi, od anche pencolanti dell’altro campo; debba sapere accogliere istanze ampie, e non rinchiudersi in una ridotta di utopisti acchiappanuvole. La sfida è quella.
    E uno come Mario Draghi oggi è il più attrezzato per farvi fronte, inutile girarci intorno. Anche se non viene dalle sezioni del PCI o dagli oratori dei gesuiti, ma dalla scuola di Federico Caffè. E scusa se è poco.

    Su Wikipedia c’è ancora scritto che Mario Draghi si è definito un “socialista liberale”.
    E tu vuoi regalarlo alla destra?

    Forse stai scherzando ed io non ho capito niente. Vorrei che fosse così.
    Perché se non così fosse, dovrei constatare “definitivamente” che la sinistra non governerà MAI nulla, nemmeno un condominio, e quella che di tanto in tanto “casualmente” va al Governo, come Obama, Biden, o come fecero Blair, Palme, … Renzi …, è una destra camuffata. Spietati poteri forti, nel loro migliore travestimento, organizzati per imbrogliare i poveri scemi come me che ci cascano come pere cotte.

    Scusa, ma a settant’anni non posso accettarlo.
    Non mi capacito di come possa accettarlo tu…
    Con (un po’ dubbioso) affetto,

  • Brunetta risponde a Cacciari

    https://www.micromega.net/green-pass-e-liberta-lettera-aperta-a-massimo-cacciari/

    Ma quale dispotismo! Il Green pass è libertà. Lettera a Cacciari, con un invito al confronto in pubblico

    “Tenere a distanza chi non vuole vaccinarsi non ha nulla di discriminatorio, è una misura elementare minima di difesa della libertà (e vita) degli altri”. Il direttore di MicroMega replica al testo firmato dal filosofo in coppia con Giorgio Agamben.

    Paolo Flores d’Arcais 27 Luglio 2021

    Caro Massimo,
    perché mai, nel tuo testo (in coppia con Agamben), diramato dall’“Istituto di studi filosofici di Napoli” col titolo “A proposito del decreto sul green pass”, non hai speso una sola parola di indignazione, vituperio, condanna, per la “pratica di discriminazione” che non consente di guidare liberamente un’automobile (ma eventualmente anche un Tir, se aggrada), e impone di passare per le forche caudine di esami orali e scritti, solo al termine dei quali il cittadino (ma non è ormai così ridotto a suddito?) riceve un “green pass” definito “patente di guida”?

    E perché mai non hai stigmatizzato l’insopportabile “regime dispotico” con cui in Italia si pretende un “green pass”, chiamato burocraticamente “porto d’armi”, per il libero cittadino (ridotto con ciò a suddito) che voglia girare con una P38 in tasca, mentre liberamente e gioiosamente un cittadino statunitense può acquistare al negozio d’angolo anche una Beretta pmx, una Skorpion Vz 61, una Thompson, e altri gingilli di libera autodifesa?

    E perché non hai ricordato che queste nefaste pratiche discriminatorie hanno il loro antefatto nell’odiosa volontà (Legge 11 novembre 1975, n. 584, poi Legge 16 gennaio 2003, n 3, rafforzata dieci anni dopo con la “legge Sirchia”) di “purgare” i fumatori, discriminandoli col divieto d’ingresso nei cinema, teatri, ristoranti, caffè, treni, aeroporti, uffici, ghettizzandoli sui marciapiedi e in molti paesi cacciandoli infine anche dai luoghi aperti?

    A me queste leggi antifumo sono sempre sembrate invece civilissime, e anzi libertarie. Perché mai dovrei essere costretto a inalare nicotina e catrame se voglio frequentare un luogo pubblico chiuso (o devo lavorare in uno spazio comune)? Ma in un luogo pubblico chiuso il fiato di un contagiato Covid è molto ma molto più dannoso degli sbuffi delle più micidiali Marlboro rosse o Gitanes papier mais.

    Che senso ha trincerarsi dietro un generico “il dibattito scientifico è del tutto aperto”? Va da sé: il dibattito scientifico è sempre aperto, per definizione. Ma i dati delle ultime settimane sono costanti e inoppugnabili: contagi, ricoveri (e morti) dei non vaccinati sono, in proporzione al loro numero, dieci volte superiori a quelle dei vaccinati. La “libertà” di impestare il prossimo non è ancora stata introdotta tra i diritti umani e civili inalienabili, riforma costituzionale che il tuo testo solfeggia in filigrana, continua anzi a costituire una forma insopportabile non già di libertà ma di violenza, prepotenza, sopruso.

    Le democrazie nascono impegnandosi a garantire l’endiadi “vita e libertà” dei cittadini, ma che vita e che libertà sono garantite a cittadini costretti a rischiare, in ogni luogo pubblico chiuso o all’aperto ma molto affollato, l’alito impestato di chi per privata prepotenza non vuole prendere l’unica misura che abbatte tale rischio: il vaccino? In realtà vi è, come noto (da secoli) un’altra misura: il distanziamento. Tenere a distanza chi non vuole vaccinarsi non ha perciò nulla di discriminatorio, è una misura elementare minima di difesa della libertà (e vita) degli altri. Ai governi (il nostro compreso) si può e deve imputare – semmai – di non averla difesa e non difenderla abbastanza, questa comune libertà.

    Che il “green pass” costringa a essere controllati e “tracciati” è infine pura menzogna. Vieni “tracciato” se lo usi sul telefonino con localizzatore, ma se te lo stampi (ci vuole un “clic”, appena più del teologico “fiat”), lo presenti dove è richiesto e nessuno ti “traccia”.

    Infine, non è solo davvero fuori misura, ha piuttosto qualcosa di indecente e ingiurioso, evocare il passaporto interno di staliniana e brezneviana memoria o le misure di controllo del maoturbocapitalismo di Xi Jinping. Un’offesa sanguinosa ai milioni e milioni di vite umane che il totalitarismo comunista lo hanno subito davvero, carne e ossa, gulag e sangue. Spero che le righe in proposito siano uscite dalla penna del tuo sodale Agamben, che suona questo mostruoso refrain da anni, e tu le abbia accolte solo per momentanea debolezza.

    Un abbraccio
    Paolo

    p.s.

    Caro Massimo, vedo che in una intervista a “La Stampa”, ripresa da Huffington Post e Dagospia, insisti, con argomentazioni che mi sembra restino più che mai claudicanti e infondate. Dato l’interesse del tema per tutti i cittadini, ti propongo di discuterne in pubblico e col pubblico, in una delle tante occasioni di controversie che stanno riprendendo “in presenza” (Convegni, Festival, Saloni, ecc.). Sono certo che, convinto come sei della forza delle ragioni che hai addotto, non ti sottrarrai al confronto.

    Un abbraccio
    Paolo

  • Riforme: ecco chi rema contro

    6 Aprile 2021, 8:10 | di Franco Locatelli | 0

    Perché in Italia è tanto difficile fare le riforme e modernizzare il Paese? Perché c’è un blocco conservatore, non solo politico, che ostacola il cambiamento – Sul banco degli imputati, l’illustre giurista Sabino Cassese mette quattro forze, indicate per nome e cognome: ecco quali

    Ma perché in Italia è tanto difficile fare le riforme e modernizzare il Paese? Colpa di Salvini o colpa dei Cinque Stelle e dei loro pregiudizi ideologici? Sì, certamente il conservatorismo di alcune forze politiche – che offrono una lettura surreale dello stato del Paese e che se ne infischiano dell’interesse generale, inseguendo solo il consenso elettorale a breve – conta eccome, ma non è tutto. In realtà, sotto l’avversione al nuovo di alcuni partiti c’è dell’altro: un blocco di interessi che ostacola il cambiamento, come si vide anche in occasione del referendum costituzionale del 2016, salvo ora dover sopportare le litanie tardive e spesso ipocrite di chi lamenta le distorsioni del rapporto tra Stato e Regioni, venute clamorosamente alla luce durante la gestione della pandemia.

    Ma, uscendo dalle denunce generiche e perciò inutili, in un editoriale pubblicato giovedì scorso dal Corriere della Sera, l’illustre giurista e giudice costituzionale emerito Sabino Cassese non è andato tanto per il sottile e ha fatto nomi e cognomi delle forze che bloccano il rinnovamento del Paese. Con tanto di esempi.

    “Elencare i titolari del potere di interdizione, oggi, in Italia, sarebbe lungo”, scrive Cassese, che però non si sottrae all’indicazione delle forze della conservazione. Dello schieramento che blocca il Paese “fanno parte i sindacati, che hanno sviluppato un atteggiamento esclusivamente rivendicazionistico”. E pensare che negli anni Settanta la Cgil di Lama e Trentin, la Cisl di Carniti e la Uil di Benvenuto guidavano la battaglia delle riforme: altri tempi e altri leader.

  • Caro Matteo

    Caro Matteo, figlio mio, chè figlio mi puoi essere, te lo devo dire a cuore aperto. Tu sei ESAGERATO, sei TROPPO esagerato e se tanta gente ti odia ha i suoi buoni motivi! E ti spiego perché. Il tuo difetto principale è che appena ti si presenta un problema ti butti testa e piedi a risolvere il problema. Vedi che questo è un pregio nella considerazione di molti ma queste iniziative inevitabilmente scontentano anche quei pochi che dalle tue soluzioni ricevono un danno. I tuoi nemici, che tali sono, mica avversari, sfruttano proprio il malcontento di quei pochi che hai danneggiato per fartene una colpa. Non sono bravo nella teoria allora ti faccio qualche esempio.
    1) Ti ricordi di quando hai voluto stabilizzare gli insegnanti? Quanti erano? 140 o 150 mila? Bene! Hai fatto un piacere alla maggioranza degli insegnati ma non hai considerato una cosa. Che molti precari lo erano da anche una decina d’anni. Magari nel frattempo si erano sposati, avevano messo su casa. Avevano avuto figli. Con l’altro coniuge che lavorava il loro stipendio serviva ad avere qualcosa in più ed era tutta manna dal cielo. Tu li hai obbligati ad avere una cattedra. Inevitabilmente, esauriti i posti vicino casa, gli altri avrebbero dovuto accettare cattedre sempre più lontane dalla propria residenza. Gli hai creato un problema e ti sei creato dei nemici.
    2) Dopo la tua esperienza come presidente di Provincia hai deciso di eliminare le province. Capisco che lo hai ritenuto un organo burocratico inutile ed un costo aggiunto per la comunità ma dovevi anche esserti accorto che quello è anche uno dei tanti bacini elettorali che i politici utilizzano per “comprare” consenso. Pure tu ti sarai dovuto sedere a quel tavolo prima delle elezioni e decidere come incrementare le assunzioni con: “tanti a me, tanti a te e tanti a quell’altro”. Nel momento in cui le elimini ti sei fatto altri nemici sia da parte dei politici che da quelli che dovevano essere assunti.
    3) Ma come t’è venuto in mente di mettere un tetto agli stipendi dei dipendenti pubblici? Capisco il motivo. Non è giusto che un giudice, per esempio, possa avere uno stipendio superiore a quello del Presidente della Repubblica che è anche il Presidente dell’organo giudiziario. E mica ti sei limitato a quello! Non ti andava giù che i tribunali, con tanti procedimenti arretrati, chiudessero dal 15 luglio fino al 15 settembre. Due mesi di ferie! Ed anche li ti sei fatto dei nemici. Tanti nemici. Perché pensi che non si dovrebbero vendicare?
    4) Hai voluto che tutti pagassero il canone RAI per ridurlo a quelli che lo pagavano anche per i “dritti”. Il canone è stato ridotto ed anche rateizzato ma hai colpito quasi 5 milioni di utenti che nella loro vita mai avevano pagato il canone. Altri nemici.
    5) Hai dato a 10 milioni e 500 mila dipendenti i famosi 80 euro mensili con una drittata pazzesca. Apparentemente allo Stato costa circa 10 miliardi l’anno ma fra IVA in più, consumi in più, assunzioni in più, cassa integrazione e indennità di disoccupazione in meno e contributi INPS in più quei 10 miliardi tornano tutti indietro (ed anche più dei 10 miliardi erogati). Ma come t’è venuto in mente di mettere un limite massimo e, peggio ancora, quello minimo per averne diritto? Lo sai o no quanti lavorano in aziende stagionali per cui assumono per 6 o 7 mesi e poi licenziano (tanto i dipendenti poi prendono la disoccupazione e arrotondano col lavoro in nero). Mettere il limite minimo significa scoprire chi, sia datori che lavoratori, usano questi “escamotage” per scaricare sullo Stato i periodi di inattività. Altri nemici ancora.
    6) E poi il tuo Jobs act! E’ vero che hai raddrizzato un rapporto di lavoro distorto dove il “padrone” o il dipendente (assistito dal sindacato) entravano in conflitto spesso e volentieri e vinceva dove il padrone poteva ricattare (lettere di licenziamento in bianco) o essere ricattato dagli scioperi quando era nel pieno della produzione. Ma così hai scontentato sia i padroni disonesti che i lavoratori, ma soprattutto i sindacati, che si sono visti ridimensionati i poteri di veto e di ricatto. Altri nemici!
    7) L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che in realtà difendeva solo i dipendenti pubblici scorretti. Quando c’era una vertenza nel settore privato le forze contrapposte erano equilibrate. Da una parte i datori e dall’altra i lavoratori con evidenti interessi realmente contrapposti e si arrivava ad una conclusione che accontentava (o scontentava) tutti in maniera equilibrata. Nel settore pubblico invece la vertenza finiva sempre con la vittoria del lavoratore perché a rappresentare l’Azienda c’era un funzionario dello stesso ente che prima di essere tale era un normale subalterno che, spesso, aveva commesso le stesse scorrettezze del dipendente da giudicare. Solo così si sono scoperti i famosi “furbetti del cartellino” che, sottratti alla trattativa (inter nos), dovevano e devono rispondere di “danno erariale” stabilito da un giudice. Una caterva di nemici visto che nel pubblico dove ne servono 10 ce ne stanno 40 che si pestano i piedi l’un l’altro per cui è ovvio che spesso decidano di fare altro fuori dall’ufficio, tanto non se ne accorge nessuno (tranne le telecamere della polizia).
    8) Di errori che hai commesso ce ne sono altri che al momento non mi vengono in mente ma uno è quello fondamentale. Quando hai un problema lo risolvi secondo logica e giudizio mai badando, però, se la soluzione è di destra o di sinistra. Quindi di volta in volta ti accusano di essere o troppo di destra o troppo di sinistra ma non hanno interesse a capire che non sei né l’una né l’altra cosa, l’importante è darti addosso.
    9) Tranquillo, non sto elencandoti un altro errore che mi è venuto in mente. Diciamo che è un tuo difetto che non devi però correggere. Essere “troppo” per cui quelli che sono nella “norma” non hanno spazio per concorrere con o contro di te. Capisco Calenda, tanto per essere chiaro. Come può pensare di essere un leader (di centro) se ci sei già tu? Togli ossigeno a tutti!

  • La borghesia è nuda di fronte a Draghi | Il Foglio

    https://www.ilfoglio.it/politica/2021/02/25/news/la-borghesia-e-nuda-di-fronte-a-draghi-1936471/

    La borghesia è nuda di fronte a Draghi

    Il presidente del Consiglio si trova lì non grazie all’establishment italiano, ma nonostante esso

    CLAUDIO CERASA  25 FEB 2021

    L’ascesa dell’ex capo della Bce è uno schiaffo rifilato ai borghesucci che, con i giornali e le tv, avevano puntato non sul modello Draghi ma sul modello Casta. La classe dirigente e quel reset necessario

    Si è detto spesso in questi giorni che l’arrivo di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio, per la sua storia, per la sua competenza, per il suo percorso, per il suo curriculum, per la sua fama, per la sua rete di relazioni, rappresenta qualcosa di simile a una straordinaria vittoria per l’establishment italiano.

    Ma quest’affermazione, apparentemente lineare e in teoria difficile da contraddire, in realtà corrisponde a una mezza verità, o se volete a una mezza bugia, e se ci si riflette un istante si capirà facilmente che l’ascesa di Draghi, a ben vedere, è uno schiaffo micidiale rifilato a quel pezzo di borghesia che negli ultimi anni, giocando con la cultura anti casta, cavalcando le guerre a favore dell’antipolitica, demonizzando l’uomo solo al comando, aveva scommesso  su un modello di classe dirigente che, se si ha l’onestà di riconoscerlo, si trova agli antipodi rispetto a quello rappresentato dal nuovo presidente del Consiglio.

    Draghi, in questo senso, è il riflesso perfetto di una classe dirigente che oggi, mentre esulta per l’arrivo al potere di un pezzo da novanta della classe dirigente italiana, non può non essersi resa conto di aver fatto il possibile per combattere ciò che oggi rappresenta il nuovo presidente del Consiglio e non può non essersi resa conto di aver fatto in questi anni, con i suoi giornali, le sue case editrici, le sue televisioni, i suoi talk-show, le sue voci, una scommessa precisa: avvicinare l’establishment al popolo non guidando il popolo ma facendosi guidare da esso.

    La borghesia italiana, che oggi si dice entusiasta e commossa per il modello Draghi, è la stessa che negli ultimi anni, per provare a rinnovare le élite, ha puntato con passione sul populismo giudiziario. È la stessa che negli ultimi anni, per non perdere contatto con il famoso paese reale, ha scommesso con tenacia sulla cultura delle manette. È la stessa che negli ultimi anni, per provare ad avere una politica più debole grazie alla quale contare di più, ha scommesso con coerenza sull’agenda dell’anti politica. Ed è la stessa che negli ultimi anni, per provare a far sentire la sua voce più vicina a quella del popolo, ha goduto senza imbarazzo lanciando libri come “La casta” (Rcs), ha fiancheggiato senza imbarazzo ogni possibile campagna giustizialista (Repubblica), ha promosso senza vergogna programmi come “La gabbia” (Cairo), ha chiuso gli occhi di fronte alle deferenti interviste ai guru della medicina alternativa (le Iene di un tempo) e ha sponsorizzato (e spesso editato) senza pudore un ricco mercato di instant book giudiziari (“Sanguisughe”, “Avvoltoi”, “Vampiri”, “Impuniti”, “Nati corrotti”, “Chiamiamoli ladri”, “Se li conosci li eviti”) costruiti appositamente per assecondare l’osceno spirito del tempo.

    Draghi, se proprio dobbiamo dirla tutta, è lo specchio di una borghesia che, in realtà, negli ultimi anni è stata ben poco rappresentata nel paese e non è solo un caso che lo stesso establishment un tempo anti casta che oggi considera Draghi uno di casa dimentichi un dettaglio che forse meriterebbe di essere ricordato: se Draghi è diventato Draghi lo si deve in buona parte anche a una serie di figure storiche che l’establishment che oggi si riconosce in lui nel passato ha fatto di tutto per infilare nel cestino della storia.

        
    Nel 1983 fu il ministro del Tesoro del governo Craxi (dicasi Craxi) a scegliere Draghi come suo consigliere economico (il ministro era Giovanni Goria). Nel 1991 fu il settimo governo Andreotti (dicasi Andreotti) a nominare Draghi come direttore generale del ministero del Tesoro. Nel 2005 fu il governo Berlusconi (dicasi Berlusconi) a scommettere su Draghi come governatore di Bankitalia. Nel 2011 fu ancora il governo Berlusconi (dicasi Berlusconi) a lanciare Draghi come presidente della Bce. Nel 2021 è stato Renzi (dicasi Renzi) a creare le condizioni giuste per far arrivare Draghi dove si trova oggi.

    Tutto questo per dire che Draghi è certamente un pezzo da novanta della nostra classe dirigente ma la verità è che il modello di borghesia che incarna il presidente del Consiglio è un modello che la borghesia italiana negli ultimi venticinque anni ha fatto di tutto per non avere. In altre parole, Draghi si trova lì non grazie all’establishment italiano, ma nonostante esso. E anche per questo la grande stagione del reset, imposta dal nuovo presidente del Consiglio, vale non solo per la politica ma prima di tutto per la borghesia italiana. Che, costretta a guardarsi allo specchio, ha finalmente l’occasione, forse, di uscire dall’epoca della lagna, di farsi in quattro, di cambiare schema, di diventare un esempio e di essere una classe un po’ meno digerente e un po’ più dirigente. Claudio Cerasa

  • Per far scomparire i poveri è bastato riformare l’ISEE – Linkiesta.it

    Per far scomparire i poveri è bastato riformare l’ISEE – Linkiesta.it

    https://www.linkiesta.it/2021/02/francesco-vecchi-scrocconi/

    Miracolo italiano
    Per far scomparire i poveri è bastato riformare l’ISEE.

    Francesco Vecchi

    Come spiega Francesco Vecchi in “Gli scrocconi” (Piemme), a partire dal 2015 lo Stato ha potuto incrociare i dati di chi chiedeva le prestazioni sociali con quelli degli istituti bancari e dell’Agenzia delle Entrate. Risultato? Magicamente i patrimoni sono lievitati e la ricchezza cresciuta.

    Di Jack Pritchett, da Unsplash

    Se sapeste che un Paese è stato capace di far lievitare il conto in banca della sua popolazione più povera da un anno all’altro di quasi 20.000 euro per ciascuna famiglia, ci credereste? Se scopriste che in quel Paese i nuclei famigliari privi di patrimonio sono passati da 4 milioni a soli 360.000 nell’arco di pochi mesi, non gridereste al miracolo economico? Non la definireste la più grande politica di aiuti sociali mai vista nella storia? Non citereste quel Paese come esempio a ogni discussione politica? Non vi piacerebbe visitarlo?

    State comodi, perché quel Paese è l’Italia e il miracolo appena descritto è avvenuto a cavallo tra il 2014 e il 2015. Soltanto che nessuno ne ha parlato ed è facile capire come mai.

    Ovviamente non si tratta di una crescita reale di ricchezza, ma solo della più clamorosa emersione dal nero che sia mai stata misurata. A provocarla: la riforma dell’ISEE.

    ISEE sta per «Indicatore della Situazione Economica Equivalente» ed è uno strumento fondamentale per accedere a un grande numero di aiuti da parte dello Stato: social card, esenzione ticket sanitario, bonus libri, dentista sociale, assegni famigliari, sconti in bolletta, canone Rai ridotto e ora reddito di cittadinanza, solo per citarne alcuni.

    Serve per stabilire quali sono le famiglie che hanno più bisogno di aiuto, misurazione che è tutt’altro che facile. Ha più bisogno di aiuto una famiglia che possiede la casa ma non ha redditi, o una famiglia che ha qualche reddito ma non possiede casa? Oppure è più urgente aiutare una persona sola che guadagna 400 euro al mese o una persona che ne guadagna il doppio ma ha due figli?

    L’ISEE è una formula matematica che mette dentro tutti questi elementi (reddito, patrimonio, figli a carico, disabilità in famiglia ecc…) e sputa fuori un numero. Quanto peso si debba dare ai redditi, al patrimonio, ai figli è naturalmente una scelta arbitraria. D’altronde, qualche tipo di classifica va fatta…

    L’ISEE non è obbligatorio: se lo fa calcolare chi vuole accedere alle prestazioni sociali che lo richiedono. In Italia le famiglie che ce l’hanno sono appena 6 milioni e certamente non ci si può aspettare che siano le più benestanti. Perciò queste 6 milioni di famiglie, che corrispondono a circa 14 milioni di cittadini, rappresentano una mappatura della fascia più fragile della popolazione, o almeno di quella che si dichiara tale.

    Alcune delle cifre che servono per calcolarlo sono il frutto di autocertificazioni: se sotto il materasso tengo 10.000 euro in contanti sarei tenuto a dirlo, ovviamente sulla fiducia, dal momento che nessuno può saperlo.

    Fino al 2014 però era frutto di autodichiarazione anche l’entità del mio conto in banca. Quanti soldi hai nel conto corrente? Scrivi una cifra…

    Il nostro stato era talmente desideroso di farsi fregare che si era addirittura impedito per legge (la privacy!) di andare a controllare in banca se le dichiarazioni fossero veritiere o no. Al primo italiano o straniero residente che bussasse alla sua porta dicendo di non avere soldi da parte, ecco che Pantalone pagava. Asili nido, bonus bebè, bollette, ticket sanitari, tasse universitarie, bonus affitto… una tavola imbandita degna di Aladino.

    Solo che non ci voleva un Genio per capire che in questo modo molte autocertificazioni sarebbero state false: fino al 2014, quasi l’80% delle famiglie con ISEE dichiarava di non avere nemmeno un euro di patrimonio e non c’era modo di controllare se fosse vero.

    Non fa ridere? Tu vieni da me a chiedere l’aiuto di cui hanno diritto i più poveri ma io, per rispetto della tua riservatezza, non posso verificare se lo sei oppure no…

    A partire dal 2015, per fortuna, si è deciso però di dare allo stato almeno la facoltà di incrociare i dati con quelli degli istituti bancari e dell’Agenzia delle Entrate. Risultato? Magicamente i patrimoni sono lievitati e la ricchezza cresciuta. Da un anno all’altro quasi 2 milioni e mezzo di cittadini non si sono fatti più vivi: risolti all’improvviso i loro problemi economici. E i nuclei famigliari con 0 euro di patrimonio sono passate dall’essere la stragrande maggioranza a un misero 6%. Altro che magie e tavole imbandite… i tesoretti delle famiglie sono spuntati come funghi. Da 0 euro, a una media di circa 20.000 euro per ciascuna.

    La riforma dell’ISEE del 2015 è stata meritoria. Eppure ne è stata data molto poca pubblicità: perché? Forse per non raccontare quanto fessi fossimo stati a farci prendere in giro così facilmente? Forse perché se i cittadini onesti scoprissero quanto poco facciamo per beccare gli scrocconi, rischierebbero di arrabbiarsi pure loro? Se lo stato chiude un occhio, anzi due, davanti a delle dichiarazioni palesemente false e lo fa per avere il voto di questi falsari, possiamo parlare di voto di scambio? Di corruzione?

    Il tesoro sul quale si possono mettere le mani è molto più ricco di quello che non si dica. Non è vero infatti che in Italia vengono destinati pochi soldi all’assistenza. Anzi, con l’aggiunta del reddito di cittadinanza, la somma di tutti gli aiuti fa del nostro Paese uno dei più generosi d’Europa: più di noi solo Francia e Danimarca.

    da “Gli scrocconi. Per ogni italiano che lavora dieci vivono sulle sue spalle”, di Francesco Vecchi, Piemme, 2021, pagine 144 euro 17,50

  • Il Power Play di Renzi è un “capolavoro”. Sarà il primo a dirtelo. – Il New York Times

    https://www.nytimes.com/2021/02/09/world/europe/italy-renzi-interview.html

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    Il Power Play di Renzi è un “capolavoro”. Sarà il primo a dirtelo.

    Con una serie di manovre che avrebbero potuto far arrossire Machiavelli, l’ex premier ha dato all’Italia un nuovo governo. Non aspettarti che nessuno lo ringrazi per questo.

    "Questa era la mia strategia", ha detto Matteo Renzi, di centro, che ha fatto cadere il premier Giuseppe Conte e ha aperto la strada all'ex banchiere centrale Mario Draghi per sostituirlo.
    “Questa era la mia strategia”, ha detto Matteo Renzi, di centro, che ha fatto cadere il premier Giuseppe Conte e ha aperto la strada all’ex banchiere centrale Mario Draghi per sostituirlo.Credito…Alessandra Tarantino / Associated Press
    Jason Horowitz

    Di Jason Horowitz

    • 9 febbraio 2021

    ROMA – Quando Matteo Renzi, l’ex primo ministro italiano attualmente con sondaggi intorno al 3 per cento, ha innescato il crollo del governo italiano il mese scorso, è diventato l’obiettivo di uno stupore e di uno smarrimento quasi universali per aver gettato il paese nel caos politico nel bel mezzo di un pandemia.

    Ora sta facendo il giro della vittoria.

    La mossa di Renzi non solo ha causato la caduta di un primo ministro e di un governo che aveva condannato come pericolosamente incompetente. Il risultato è stato anche uno straordinario aggiornamento che ha portato Mario Draghi , un titano d’Europa ampiamente accreditato per aver salvato l’euro, a mettere insieme un ampio governo di unità nazionale, che dovrebbe prendere forma questa settimana .

    In Europa, la fama di Draghi ha immediatamente accresciuto la statura e la credibilità dell’Italia nell’assorbire e spendere un enorme pacchetto di aiuti che potrebbe determinare il futuro sia dell’Italia che dell’Unione Europea. In patria, la gravità dell’arrivo di Draghi ha riorganizzato il panorama politico italiano e minato i nemici populisti di Renzi.

    “Questa era la mia strategia. Ho fatto tutto da solo, con il 3 percento! ” ha detto il signor Renzi, un tempo sindaco di Firenze che non è timido sulla sua capacità di azionare le leve del potere e sconfiggere la concorrenza. “È tutto un gioco di tattiche parlamentari. E diciamo che lavorare per cinque anni nel palazzo dove lavorò Machiavelli ha aiutato un po ‘. “

    Gli ammiratori di Renzi si sono meravigliati del suo trucco magico, con il quale ha in qualche modo creato le condizioni perché il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, tirasse fuori il nome di Draghi dal cappello. Hanno guardato al signor Draghi – che in qualità di presidente della Banca centrale europea ha detto che avrebbe fatto “tutto il necessario” per salvare l’euro – come un salvatore dopo tre anni del primo ministro Giuseppe Conte.

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    “La scelta spetta al presidente Sergio Mattarella, il merito è di Matteo Renzi e di tutto ciò che serve”, ha scritto Christian Rocca, direttore di Linkiesta , testata filoeuropea e anti-populista.

    L'arrivo di Draghi, al centro, ha immediatamente aumentato la statura e la credibilità dell'Italia nell'assorbire e spendere un enorme pacchetto di aiuti europei.
    L’arrivo di Draghi, al centro, ha immediatamente aumentato la statura e la credibilità dell’Italia nell’assorbire e spendere un enorme pacchetto di aiuti europei.Credito…Angelo Carconi / EPA, via Shutterstock

    I tifosi del signor Renzi raccontano come abbia fatto il lavoro sporco, tacitamente voluto da varie forze politiche, per allontanare il signor Conte. Così facendo, dicono, ha almeno temporaneamente abbassato il sipario su un periodo di politica populista, inaugurato dal Movimento Cinque Stelle anti-establishment e dalla Lega nazionalista di Matteo Salvini.

    Ma l’elogio più effusivo del signor Renzi può venire dal signor Renzi.

    “E ‘un capolavoro della politica italiana”, ha detto degli eventi che hanno portato Draghi a Roma.

    Il narcisismo e la nuda ambizione del signor Renzi lo hanno reso insopportabile a molti italiani.

    “Renzi resta il problema”, ha detto Gianfranco Pasquino, professore emerito di scienze politiche all’Università di Bologna. L’insaziabile bisogno di attenzione del signor Renzi era “l’unica costante” nella politica italiana, ha detto.

    Amarlo o odiarlo – e molti ora rientrano in quest’ultima categoria – ciò che è difficile contestare è che Renzi è il principale operatore politico italiano, uno che non si lascia sfuggire un’opportunità politica, un virus impetuoso o nessun virus impetuoso.

    “ Perché adesso? Perché ora? Perché ora?” Il signor Renzi ha detto che persino i suoi amici gliel’hanno chiesto mentre staccava la spina proprio mentre l’Italia iniziava il lancio del vaccino. Ma ha detto che la pandemia ha messo a fuoco terrificante il rischio di rimanere sulla stessa rotta, soprattutto perché il Paese doveva decidere cosa fare con oltre 200 miliardi di euro di fondi di soccorso europei. “Se non l’avessimo fatto durante la pandemia, non l’avremmo mai fatto.”

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    Il signor Renzi ha fatto pratica in questo genere di cose.

    In 2014, he infamously tweeted that the prime minister, from his own party, should “be serene,” and then took his job. The “demolition man” of Italian politics, as he was called, seemed unstoppable.

    But in 2016, Mr. Renzi bet his office and ambitious reform agenda on a referendum to change the Italian Constitution, and all of his enemies aligned against him. He lost, resigned and promised to quit politics. Instead he stayed on as leader of the center-left Democratic Party.

    Italiani contro i cambiamenti costituzionali che celebrano i risultati del referendum di Roma 2016.
    Italians against constitutional changes celebrating the results of the referendum in Rome in 2016.Credit…Filippo Monteforte/Agence France-Presse — Getty Images

    That foothold mattered. In 2018, Five Star had the strongest showing in national elections, but lacked enough support to form a government on its own. It wooed the Democratic Party but Mr. Renzi wouldn’t allow the marriage. Instead, Five Star joined with the nationalists of Mr. Salvini’s League, forming an aggressively anti-European coalition. They chose Mr. Conte as their prime minister.

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    Mr. Renzi seemed yesterday’s news. But in 2019, Mr. Salvini, surging in popularity, jettisoned the coalition, seeking to prompt elections and grab what he called “full powers.” That’s when Mr. Renzi struck. He reversed himself and forged an alliance between his party and Five Star, icing Mr. Salvini out into the opposition.

    To increase his leverage in the new government, Mr. Renzi formed a new party, Italia Viva, which had just enough support to force Mr. Conte to rely on him for the government’s survival. Mr. Renzi hoped his party’s support would grow. It shrank.

    In the meantime, Mr. Conte led Italy through the early months of the pandemic. His popularity skyrocketed and ate into the centrist atmosphere where Mr. Renzi’s future ambitions resided. He took Mr. Renzi’s support for granted. Always a mistake.

    In January, as Covid-19 deaths racked up, curfews fell and economic frustration mounted, Mr. Renzi made a move that many considered unthinkable.

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    But even as many chalked up his felling of the government to a craven attempt to win more cabinet positions and influence, they acknowledged Mr. Renzi had some strong critiques on his side.

    He blamed the government for failing to reform a glacial justice system that scared away outside investment. He criticized the government for a lack of vision in spending hundreds of billions of euros in European relief money. He demanded that Italy apply for up to €36 billion in cheap E.U. loans earmarked for health systems.

    Dopo la sconfitta del referendum, Renzi si è dimesso da primo ministro ma è rimasto un leader del partito.
    After his referendum defeat, Mr. Renzi resigned as prime minister but remained a party leader.Credit…Filippo Monteforte/Agence France-Presse — Getty Images

    It was a poison pill, as populists in Mr. Conte’s base of support in Five Star would never stomach giving Brussels too much power. The government fell, but Mr. Conte seemed confident he could replace Mr. Renzi’s support with other lawmakers. Mr. Renzi told him good luck.

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    Mr. Conte became increasingly desperate and offered Mr. Renzi “a ton” of cabinet posts to join the government again, Mr. Renzi recounted. Instead, he strung Mr. Conte along and then, at the last minute, when he was convinced Mr. Draghi would come in, walked.

    Mr. Renzi said his near rock-bottom popularity “absolutely” gave him the freedom to maneuver because instead of fearing losing support, “I was worried about losing the opportunity.”

    Days later Mr. Mattarella summoned Mr. Draghi.

    That game of chicken played out in public. The question is: Did Mr. Renzi play a role behind closed doors in striking alliances to bring Mr. Draghi in?

    Mr. Renzi said it was always his tacit desire to replace Mr. Conte with Mr. Draghi, whom he said he spoke to often about Italy’s economic situation, including during the crisis. But he insisted that Mr. Draghi “never spoke to me” about getting into the position. Asked whether he, Mr. Renzi, had spoken to Mr. Draghi about such an outcome, Mr. Renzi replied, “Next question.”

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    “I didn’t do anything, it was all Mattarella. Smile emoji,” Mr. Renzi said mischievously, adding that out of all the political maneuvers he had made over his career, “This operation was the hardest.”

    Tellingly, Mr. Renzi’s once adamant call for the loans from Europe has softened.

    Asked whether Italy would take the loan under Mr. Draghi, he said, “Could be. Draghi will decide.”

    L’importante è che il signor Draghi fosse arrivato. Five Star, già in contrazione, rischia l’implosione poiché i suoi populisti irriducibili si rifiutano di unirsi a Draghi mentre altri accorrono a lui. Il signor Salvini, la cui base settentrionale di uomini d’affari è entusiasta del signor Draghi, deve moderare, essenzialmente gettando via anni di demagogia anti-Bruxelles.

    Renzi non avrà la leva per tenere in ostaggio la grande coalizione, e non avrà neanche lontanamente tanti posti di gabinetto quanti gli ha offerto Conte. Invece, ottiene tempo e un nuovo vento favorevole politico che potrebbe farlo volare da qualche parte meglio.

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    Nel frattempo il signor Conte ha tenuto una conferenza stampa la scorsa settimana dietro una scrivania in mezzo a una piazza, come se sollecitasse i passanti a firmare una petizione.

    Il signor Renzi ha detto che il signor Conte, come il signor Salvini prima di lui, aveva superato se stesso.

    “Adesso,” disse. “Game Over.”

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  • Quante scuse ci vorrebbero oggi a Renzi? – Il Fatto Quotidiano

    Quante scuse ci vorrebbero oggi a Renzi?

    POLITICA- 8 FEBBRAIO 2021

    Quante scuse ci vorrebbero oggi a Renzi?

    Ora possiamo dirlo con assoluta certezza. L’unica e ripetuta scusa per cercare di evitare la caduta del Governo Conte, ossia l’emergenza Covid, era una colossale balla. Come direbbe Fantozzi: una cagata pazzesca. Oggi, invece, sono diventati quasi tutti Draghetti ma solo 5 giorni fa il racconto di una buona fetta della stampa e dei fantomatici opinionisti era completamente diverso.

    La frase ossessivamente ripetuta, come inculcata da una setta, era la seguente: “questa crisi di Governo in piena emergenza Covid è incomprensibile”. E di seguito: “Renzi è un irresponsabile”. Su questi due semplici punti Conte, il Pd e il Movimento 5Stelle hanno imperversato sulle tv e sui giornali nel dipingere Renzi e Italia Viva come il nemico pubblico numero uno dell’Italia. Nemico da abbattere in ogni modo.

    Quasi tutti, poi, se costretti ad analizzare i contenuti e gli argomenti affermavano che il Governo Conte era effettivamente in ritardo ma in ogni caso con l’emergenza sanitaria in atto la crisi di Governo non era possibile. Una campagna di odio personale mai vista prima. E mentre Conte con i suoi sodali cercavano “responsabili” in Senato da acquisire, Matteo Renzi continuava in solitario a cercare di spiegare che un Governo migliore era possibile.null

    Ed eccoci ai giorni nostri. La bolla della finzione e del racconto falsato è scoppiata con una velocità che molti ancora non riescono a capacitarsi e a capire. Il Presidente Mattarella lo scorso martedì ha senza indugio e con lucidità riconosciuto che una maggioranza politica non esisteva più e ha dato l’incarico a Mario Draghi. Il Presidente della Repubblica è stato l’antidoto ad un incantesimo del populismo orchestrato da Casalino e sostenuto da una buona fetta di sistema dell’informazione.

    Per il solo fatto che Draghi abbia ricevuto l’incarico, la Borsa ha avuto risultati positivi e lo spread è sceso ai minimi storici. Ma non basta, il nome di Draghi ha obbligato tutti a fari i conti con la realtà. E mentre Casalino e Conte, scioccati dagli avvenimenti, cercavano ancora il modo per rimanere a Palazzo Chigi, ipotizzando la mancata fiducia al governo Draghi, l’Italia si svegliava improvvisamente dal lavaggio collettivo del cervello. E d’incanto Draghi risultava già più gradito e popolare del Conte.null

    Sondaggi, gradimento dei leader: la fiducia in Draghi già al 71%, Conte secondo al 65%, poi Speranza e Gentiloni. L’unico che cala è Renzi
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    Insomma, in soli 5 giorni è cambiato tutto lo scenario politico italiano. Per prima cosa si è capito che la democrazia e le critiche politiche possono essere fatte anche durante l’emergenza sanitaria.
    Chi ha continuamente utilizzato l’argomento Covid per nascondere i veri problemi del Governo dovrebbe chiedere scusa e forse dovrebbe fare meglio il proprio lavoro.null

    Abbiamo assistito a giornalisti diventati solamente tifosi e non raccontatori oggettivi della realtà.
    Tempo utilizzato male e contro i veri interessi della nostra società. Pian piano che i giorni stanno passando, l’effetto Draghi e di liberazione sta prendendo plasticamente forma. In un solo colpo il populismo anche quello giornalistico sta diventando comprensibile a molti. E ancor oggi il Pd, i Grillini e Conte non hanno capito quello che è successo e che Mattarella ha detto. Troppo impegnati ad odiare Renzi non si stanno accorgendo che il mondo è completamente cambiato.null

    Draghi ha ottenuto un incarico per formare un Governo di alto profilo istituzionale senza colori politici. Invece, i grillini e il Pd hanno detto tutto e il contrario di tutto. Irrituale e secondo me un grave sgarbo istituzionale lo ha commesso Conte qualche giorno fa. Una conferenza stampa ridicola anche nei modi, dove un premier dimissionario ha chiesto che il nuovo Governo Draghi sia un governo politico. Il tutto a consultazioni aperte. Una degna scena finale del Governo Conte.

    L’Italia si sta accorgendo sempre di più in che mani eravamo. E leggere le dichiarazioni dei grillini e del Pd in questi giorni fa capire il loro vero interesse, ossia provare in ogni modo a tenere una poltrona. Conte che dice di non voler incarichi di governo, fa ridere solamente così.null

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    Conte ai parlamentari M5s: “Non entrerò nel governo, ma voltare le spalle a Draghi è come voltarle al Paese. Temo la Lega sul Recovery, noi siamo l’ago della bilancia”

    Insomma, ora tutti guardano a Draghi e si rendono conto che la competenza al governo si può avere e pretendere. Lo avevamo detto, il tempo è galantuomo e sta accadendo velocemente. Ma quante scuse ci vorrebbero oggi a Renzi? Quello che voleva poltrone per sé, quello che era irresponsabile, quello che tanto non sarebbe andato mai fino in fondo, quello antipatico e meno popolare. E invece quanti grazie ci vorrebbero per la Bellanova, la Bonetti e per Ivan Scalfarotto? Persone che hanno rinunciato alle loro poltrone per evidenziare i limiti del governo Conte. E quanti grazie ci vorrebbero al gruppo di Italia Viva al Senato e alla Camera? Che hanno tenuto duro agli insulti e al mercato delle vacche.

    La politica quando fatta veramente con passione e ideali questo insegna. La forza delle idee questo regala. Non tutti oggi lo riconosceranno ma anche per questo ci sarà tempo. L’ultima considerazione ai vecchi amici Pd che per seguire il copione di Casalino hanno rinnegato e offeso Renzi. Anche in politica, come diceva Totò, esistono gli uomini, i mezzi uomini e i quaquaraquà. Ad ognuno il suo.

  • Il governo Draghi è un capolavoro di Matteo Renzi, il Re del 2%

    Ha vinto lui

    Il governo Draghi è un capolavoro di Matteo Renzi, il Re del 2%

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    Corre voce che questo giornale sia renziano. Non è vero. È un giornale assolutamente indipendente, liberale, garantista, socialista, anti sovranista, antipopulista – mi fermo qui… -, che crede nella funzione dei partiti ma si tiene ben lontano dai partiti. Ok? È un giornale che spesso ha apprezzato le idee e le proposte di Renzi, e spesso ha criticato le sue oscillazioni su temi cruciali come l’immigrazione (mancata approvazione dello ius soli da parte del suo timido partito) e come il garantismo, terreno sul quale più di una volta gli è capitato di dondolare (a parte il peccato originale, praticamente incancellabile, di avere proposto Nicola Gratteri come ministro della Giustizia…).

    Poi, tra l’altro, noi siamo un giornale pluralista, e qui in redazione ci sono quelli ai quali Renzi piace molto e quelli che lo sopportano poco. Detto tutto questo, oggi come oggi è abbastanza difficile negare che Renzi abbia avuto un successo politico strepitoso. E che, a occhio e croce, nel giro breve di un paio d’anni abbia dimostrato di essere, come leader politico, di qualche anno luce al di sopra dei suoi interlocutori o avversari. Tutti. Proviamo a fare qualche confronto. Renzi e Salvini.

    0:25 / 1:24L’incarico a Draghi, la vittoria di…

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    Salvini ha avuto un successo notevole alle elezioni del 2018, conquistandosi la leadership del centrodestra. È entrato nel governo, è diventato vicepremier e ministro dell’Interno, ha raccolto attorno a se tutte le telecamere d’Italia. Cosa ha ottenuto? Niente: la svolta del Papeete (nella quale, come si dice a Roma, si è ribaltato in parcheggio), la perdita del governo, e poi il cono d’ombra, sebbene i sondaggi dessero il suo partito in costante e clamorosa crescita. Oggi Salvini guida un partito che è accreditato del 25 per cento dei consensi elettorali ed è virtualmente il primo partito: ed è immobilizzato.LEGGI ANCHE

    Renzi invece guida un gruppetto un po’ al di sopra del 2 per cento ed è il capo dell’ultimo partito (persino Calenda, dicono, l’ha scavalcato…). Eppure, con il suo 2 per cento, Renzi fa e disfa governi: dopo aver insediato Conte a Palazzo Chigi con Speranza e Franceschini, ora lo ha mandato a casa senza che lui se ne accorgesse, ha beffato e sbeffeggiato il gradasso Travaglio (padrone di La 7), ha liquidato Bonafede, ha umiliato il Pd e ha sistemato Draghi a Palazzo Chigi, probabilmente permettendo all’Italia di avere finalmente un governo dopo due anni di ribalta dominata da vari dilettanti e figuranti. Beh, sembra un po’ Ronaldo che gioca a pallone con mio cugino… È solo un giocoliere? Un talento assoluto della manovra e basta? È solo fumo?

    Non si può dire così. In primo luogo perché quest’ultima operazione, se andrà in porto, è una operazione politica di grandissimo peso. L’Italia stava correndo a perdifiato, allegra e instupidita, sull’orlo di un burrone. Con la pandemia, il morso feroce della crisi economica, la necessità di gestire un nuovo piano Marshall e la totale assenza di una classe politica e persino di una maggioranza. Si trovava governata da un esecutivo la cui forza si risolveva nella personalità di cartone dell’avvocato Conte. Privo di carisma, di idee, di conoscenze, di esperienza. Il rischio quale era? Di mandare a monte il piano Marshall e di trovarsi staccatissima dalle grandi potenze europee. Incapace di rialzarsi, di reagire.
    Ci sono dei momenti, nella storia delle nazioni, nei quali conta moltissimo il valore della propria classe politica. L’Italia purtroppo non ha più classe politica.

    Era un paese che nel dopoguerra aveva trovato la sua fortuna in una generazione politica formidabile. Che era stata selezionata e rappresentava la parte migliore della sua intellettualità. Espressione di una borghesia robusta e coraggiosa e di una classe operaia potente e compatta. I democristiani, i comunisti, e poi i modelli geniali del Psi e i colti e raffinati repubblicani. Forse pochi paesi dell’Occidente avevano a loro disposizione partiti e leader così preparati e forti. Persino l’opposizione estrema, quella di destra un po’ fascista e quella di sinistra sovversiva e in alcune frange violenta o addirittura sanguinaria, era una opposizione intellettualmente di grande qualità. Nessuno può negare che fosse così. La forza di questa politica era la struttura ed il radicamento dei partiti, che erano fucine di idee, di cultura, di compattezza sociale e anche di capacità di governo.

    Poi, lo sapete, arrivò Mani pulite e sfasciò tutto. Nessuno si aspettava che una struttura politica che aveva resistito alla guerra fredda, alla mafia, al terrorismo, alla crisi economica, finisse sbaragliata da un gruppetto di magistrati. Eppure successe esattamente questo. Il paese che temeva la rivoluzione comunista o il golpe di destra finì nel sacco di un potere che aveva esso stesso costruito al suo interno, ingenuamente e un po’ vigliaccamente. Beh, oggi i partiti non esistono più – lo spettacolo offerto dal Pd in questa crisi, capace solo di sistemarsi in seconda fila alla corte di Conte – è stato spaventoso. E non c’è più classe politica. Né la destra, né la sinistra hanno leader all’altezza. I grillini hanno Grillo e il gruppetto di avvocati che girano intorno a Conte, e poi basta. È in questo deserto che Matteo Renzi, il bullo, l’inaffidabile, il narciso, l’egocentrico, si è rimboccato le maniche, si è messo a tessere la tela. Ha fatto politica e ha trovato una soluzione. Con la stessa spregiudicatezza e capacità di sogno e di avventura che aveva Bettino Craxi.

    Vi piace Renzi? A me mica tanto. Mi ha deluso molte volte. Credo che abbia anche lui delle colpe nell’annientamento dei partiti politici (il modo nel quale ha liquidato il Pd e raso al suolo la vecchia tradizione e sapienza che veniva dalla Dc e soprattutto del Pci, ”ancor mi offende”). Penso anche che almeno in una prima fase abbia seguito la spinta populista e abbia delle responsabilità nel trionfo del grillismo. E però come fai a non rendergli omaggio per l’operazione-Draghi e per come si è dimostrato due o tre o quattro spanne al di sopra di tutti gli altri. È uno statista? Non so. Aspettiamo. Sicuramente, se tra i leader presenti in Parlamento ci fosse uno statista, di sicuro sarebbe lui. Questo vuol dire che Draghi è la salvezza? Non ci scommetterei.

    Draghi è una persona di qualità molto alte e ha più di altri la possibilità di governare. In un clima politico nel quale nessuno è in grado di definire destra e sinistra (destra e sinistra hanno entrambe il problema di ridisegnarsi e di ritrovare le proprie rispettive e distinte anime) non si capisce perché non si dovrebbe dare a lui l’incarico, visto che, a occhio, è il più bravo. I miei amici di sinistra dicono: no, Draghi è la borghesia, è la tecnocrazia, la sinistra è un’altra cosa. Grazie. Ma la sinistra forse ha qualche idea o qualche leader da mettere a disposizione del paese? Vogliamo fare un governo Speranza, un governo Zingaretti, un governo Acerbo? Siamo seri. La sinistra deve rimboccarsi le maniche e provare a rinascere. Pagando pegno per l’orrore che ha fatto mettendosi al servizio di una forza reazionaria come i 5 Stelle. Ci vorrà del tempo.

    E la destra? Uguale. Quando Salvini ha provato a governare ha solo combinato pasticci. Ha dimostrato di non avere visione, progetti, senso dello Stato. Di essere prigioniero della sua propaganda. Noi ora usciamo da un triennio nel quale ha governato, in modo uniforme, un gruppo di dilettanti su posizioni neo-autoritarie. In questo, tra Salvini e Conte non c’è stato un abisso. Si son dimostrati simili. Draghi si propone come governo neutro. Dico meglio: di coalizione. Nel senso vero della parola coalizione. Coalizione tra diversi. Ci sono pochi esempi nel passato. Forse l’unico esempio possibile è il governo Andreotti del 1978. Sostenuto dai comunisti. Sotto il tiro e il fuoco delle brigate rosse. Sfregiato dal rapimento Moro. Con l’inflazione che galoppava e l’America che ci odiava. Anche la Russia. Durò un po’ più di un anno.

    Fece la riforma sanitaria (primo nel mondo ad assicurare la sanità a tutti), la riforma psichiatrica (la più grande legge di rottura dell’autoritarismo, con un valore culturale immenso), introdusse l’aborto, riformò i patti agrari e lo stato di famiglia, istitutì l’equo canone, portò Sandro Pertini alla presidenza della Repubblica. Vi pare poco? È stato forse (senza forse) il governo più riformista della storia della Repubblica. Se Draghi facesse anche solo la metà di quel che fece quell’anno Andreotti

  • Considerazioni

    Considerazioni

    Gente e Innutile negare l’evidenza è vero o non è vero.
    E’ vero o non è vero che grazie ai governi Renzi-Gentiloni non si pagano più l’IMU e la TASI sulla prima casa?
    E’ vero o non è vero che c’è la legge sulle unioni civili?
    E’ vero o non è vero che c’è il bonus cultura per chi ha meno di 18 anni?
    E’ vero o non è vero che c’è la legge sul biotestamento?
    E’ vero o non è vero che ci sono gli 80 euro in più al mese in busta paga per 10 milioni di italiani?
    E’ vero o non è vero che c’è stata la riduzione dell’Ires dal 27,50% al 24% ? E’ vero o non è vero che c’è stata l’eliminazione dell’IMU agricola? E’ vero o non è vero che c’è stata la riduzione del canone RAI da 113 euro a 90 euro e gli over 75 anni che hanno un reddito inferiore agli 8000 euro non lo pagano più?
    E’ vero o non è vero che c’è la legge sul dopo di noi?
    E’ vero o non è vero che c’è la legge sul caporalato?
    E’ vero o non è vero che c’è la legge sull’omicidio stradale?
    E’ vero o non è vero che c’è la legge sull’autismo?
    E’ vero o non è vero che c’è stato il record nel recupero dell’evasione fiscale? E’ vero o non è vero che c’è il divieto di dimissioni in bianco?
    E’ vero o non è vero che c’è il bonus bebè di 960 euro all’anno per 3 anni?
    E’ vero o non è vero che c’è la legge sugli ecoreati?
    E’ vero o non è vero che c’è la legge contro la corruzione?
    E’ vero o non è vero che c’è stata la cancellazione di Equitalia con facilitazione sul pagamento delle cartelle esattoriali?
    E’ vero o non è vero che c’è la legge contro gli sprechi alimentari?
    E’ vero o non è vero che c’è la legge sul cyber bullismo?
    E’ vero o non è vero che c’è la quattordicesima per i pensionati con reddito massimo di 13.049,14 euro ? E’ vero o non è vero che c’è il tetto degli stipendi a 240 mila euro per tutti manager e funzionari statali?
    E’ vero o non è vero che c’è il reato di falso in bilancio?
    E’ vero o non è vero che c’è stato l’aumento dell’occupazione : più di un milione di occupati di cui il 53% a tempo indeterminato? E’ vero o non è vero che c’è il REI Reddito di inclusione?
    Per quanto riguarda, invece, il governo targato Pagliacci a 5 Stelle e Lega Ladrona:
    E’ vero o non è vero che il M5S, prima delle elezioni, aveva promesso la chiusura dell’ILVA? E’ vero o non è vero che il M5S, prima delle elezioni, aveva dichiarato di bloccare il TAP? E’ vero o non è vero che il M5S, prima delle elezioni, era contro i condoni edilizi? E’ vero o non è vero che il M5S, prima delle elezioni, era contro i condoni fiscali? E’ vero o non è vero che il M5S, prima delle elezioni, era contro gli F35? E’ vero o non è vero che il M5S, prima delle elezioni, aveva promesso 780 euro di reddito di cittadinanza per tutti? E’ vero o non è vero che il M5S ha fatto un contratto di governo con Lega Ladrona che prometteva l’eliminazione della legge Fornero, la Flat Tax al 15% per tutti, il rimpatrio immediato di 600 mila immigrati clandestini, l’eliminazione delle accise sui carburanti? Mi fermo qui ma potrei proseguire! Di tutte queste promesse ed impegni mi sapete dire, per favore, quali sono stati mantenuti? Grazie!!!

    È vero o no! , E allora di-cià-mo-lo però che anche la vicenda dal lato di chi ha o pensava “di subire” le grandi riforme e leggi varare da governo Renzi e dal governo Gentiloni, e ci spieghino il perché degli attacchi forsennati e continui contro Matteo Renzi: lo sapete il perché! ha toccato troppi interessi ma soprattutto troppi piccoli e grandi privilegi e rendite parassitarie.Voleva cancellare le inutili province… voleva togliere alle regioni competenze mal gestite e che creavano contenzioso con lo Stato… voleva introdurre la meritocrazia e l’efficienza a scuola e nel pubblico… aveva tagliato le ferie e inserita la responsabilita’ civile dei magistrati… messo il tetto di 240.000 € agli stipendi dei funzionari pubblici inclusi i direttori Rai che gliel’hanno fatta pagare con una informazione faziosa in aggiunta a quella ultrafaziosa di Grullo-Mediaset-La7 etc…fatto pagare il canone a 5 milioni di evasori..recuperato 1 miliardo ai Riva evaso ed esportato illegalmente in Svizzera creando panico tra molti, inclusi i proprietari dei media…voluto fortemente la Commissione Banche…subito stoppata perche’ avrebbe evidenziato decenni di PRIVATIZZAZIONE di utili e PUBBLICIZZAZIONE di perdite di tanti “grandi industriali”che sino a Monti sedevano nei CdA delle Banche..dimezzati i permessi sindacali… realizzata la dichiarazione dei redditi precompilata facendo perdere 20 milioni ai CAF…realizzata la fatturazione elettronica che ha fruttato 4 miliardi in piu, etc..E tutti insieme questi “toccati” gliel’hanno fatta pagare col no al referendum costituzionale e confermando che l’Italia e’ un paese pieno di percettori di piccoli e grandi privilegi a cui nessuno vuole rinunciare … pur criticando i privilegi degli altri. Fino a quando non passeranno tutti questi mal di pancia, sarà dura. Ma noi terremo duro, Matteo Renzi terrà duro.

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  • Tutte le bugie e fake news di Luigi Di Maio da quando è al governo

    Tutte le bugie e fake news di Luigi Di Maio da quando è al governo

    Una lista dei tanti proclami, promesse a affermazioni del leader del Movimento 5 Stelle rivelatesi non vere. Dal no all’alleanza con la Lega e al premier “non eletto” fino a condoni e flat tax.

    Io sono del Sud, io sono di Napoli. Faccio parte di quella parte d’Italia cui la Lega diceva ‘Vesuvio lavali col fuoco’. Non ho nessuna intenzione di far parte di un Movimento che si allea con la Lega Nord
    Luigi Di Maio a Porta a Porta (19/01/17)

    Noi non pensiamo ad alleanze con la Lega Nord o altri […] Sono persone inaffidabili con cui non si può avere a che fare
    Luigi Di Maio In un comizio in Sicilia (01/11/17)

    Salvini è un traditore politico. Salvini fa più schifo di Renzi e Berlusconi insieme
    Blog delle Stelle (01/10/17)
    Il primo giugno giura il governo Conte sostenuto da M5S e Lega

    Al primo Consiglio dei ministri dimezziamo stipendi ai deputati e 30 miliardi di sprechi: bastano 20 minuti
    Luigi Di Maio durante un comizio (02/02/18)
    In 22 Consigli dei ministri il taglio degli stipendi dei parlamentari o di 30 miliardi di sprechi non è mai stato affrontato


    La mia posizione è molto semplice: basta premier non votati da nessuno
    Blog delle Stelle (03/04/18)
    Il premier Conte non è stato soggetto ad alcuna operazione di voto individuale

    Con pensione e reddito di cittadinanza che introduciamo con questa legge di Bilancio avremo abolito la povertà
    Luigi Di Maio a Porta a Porta (26/09/18)

    Abbiamo eliminato la povertà per la prima volta nella storia
    Movimento 5 Stelle su Facebook (28/09/18)
    Purtroppo no

    Il Movimento 5 Stelle al governo istituirà un ministero del Turismo che si dedicherà totalmente alle politiche del turismo in Italia
    Luigi Di Maio su Facebook (25/05/17)
    Il ministero del turismo non è stato istituito

    Se l’Unione Europea si ostina ad avere il suo atteggiamento io e tutto il Movimento 5 Stelle non saremo disposti a dare più 20 miliardi di euro all’Unione Europea ogni anno, ce ne prendiamo una parte
    Luigi Di Maio in un’intervista (24/08/18)
    L’Italia versa alla Ue più di quanto riceve, ma il saldo tra entrate e uscite è negativo in media di una cifra 
    tra i 2 e i 4 miliardi

    La flat tax è una bufala ed è incostituzionale: meglio chiamarla flop tax. Scasserebbe i conti dello Stato e applicarla sarebbe una pura follia
    Blog delle Stelle (01/02/18)
    Il 14 maggio 2018 M5S firma un contratto di governo con la Lega che prevede la flat tax

    È previsto l’adeguamento della disciplina dei permessi di soggiorno agli altri paesi europei. Solo in Slovacchia e in Italia c’è quello umanitario ed è per questo che viene abolito
    Luigi Di Maio (25/09/18)
    Sono 25 i Paesi europei a prevedere il permesso di soggiorno umanitario. Tra questi, 21 sono parte dell’Unione Europea (fonte: Pagella Politica)

    Sull’intervento in Afghanistan siamo sempre stati chiari. Per noi quello è un intervento che per la spesa pubblica italiana è insostenibile. Il ritiro è nel nostro programma
    Luigi Di Maio (14/11/17)
    La ministra della difesa trenta nel luglio 2018 Conferma che la missione resterà e parla di una riduzione del contingente da 900 a 700 persone solo “quando e se si trovassero altri alleati” 

    Tagli alle spese militari relativi ad investimenti pluriennali per sistemi d’arma. Con questo taglio si destinano al reddito di cittadinanza le risorse prima destinate all’acquisto degli F35
    Luigi Di Maio su Facebook (21/04/15)
    La ministra della difesa Trenta in un’intervista a luglio conferma che l’Italia resta nel programma F35, E aggiunge l’obiettivo di arrivare al 2 per cento di pil in spese militari. oggi spendiamo l’1,4 per cento del pil 

    Il Movimento non è disponibile a votare nessun condono. Quindi se noi stiamo parlando di pace fiscale, di saldo e stralcio, quello che avevamo anche noi nel programma, siamo d’accordo. Se invece parliamo di condoni non siamo assolutamente d’accordo
    Luigi Di Maio (18/09/18)
    Il condono fiscale consente di definire in modo agevolato i rapporti tributari, mediante la corresponsione di una somma di denaro inferiore al quantum a titolo di tassazione ordinaria, con contestuale abbandono della pretesa sanzionatoria” (fonte: Treccani)

    L’Italia ha importato dalla Romania il 40 percento dei loro criminali. Mentre la Romania sta importando dall’Italia le nostre imprese e i nostri capitali. Che affare questa UE!
    Luigi Di Maio su Facebook (12/04/17)
    Bufala del tutto campata in aria nata da uninterpetazine errata di una veccha dichiarazione del procuratore di Messina (Fonte: Pagella Politica)

    Diverse migliaia di poliziotti risultano positivi al test di Mantoux sulla tubercolosi, un regalino del Ministero dell’Interno che li mandava a soccorrere gli immigrati senza dotazioni di sicurezza
    Luigi Di Maio su Facebook (17/09/14)
    Bufala: si trattava di poche decine di agenti. Le analisi mostrarono che nessuno aveva contratto la malattia (Fonte: Pagella Politica)

    Fateci fare il governo e lo spread scenderà
    Luigi Di Maio durante un comizio (29/05/18)
    A ottobre, dopo 4 mesi di governo, lo spread supera i 300 punti

    Lo spread è colpa di Forza Italia, Pd e dei loro giornali che fanno terrorismo mediatico
    Luigi Di Maio alla stampa (29/09/18)

    Abbiamo trovato i 17 miliardi (cioè il 2 per cento della spesa pubblica) che servono a restituire dignità e garantire 780 euro al mese a 10 milioni di italiani che vivono sotto la soglia di povertà
    Luigi Di Maio su Facebook (09/07/16)

    I punti salienti del nostro programma, Reddito di cittadinanza incluso, valgono a regime una spesa annua intorno ai 75 miliardi (con coperture di 70 miliardi). Il Movimento 5 Stelle può arrivare a coprirli senza dover fare i salti mortali. Anzi
    Programma M5S sul Blog delle Stelle (01/18)
    Banca d’italia, Corte dei conti, Commissione Ue e ufficio di bilancio del parlamento esprimono pesanti critiche per la mancanza di coperture della nota di aggirnamento al Def

    Tav opera inutile e vergognosa
    Luigi Di Maio su Facebook (20/12/16)

    La tav è una montagna di merda, La Tav è un’opera inutile, anche un imbecille, se informato, lo capirebbe
    Beppe Grillo sul Blog (2012)

    Ora e sempre NOTav, continuiamo e continueremo per sempre a dire NO al Tav. E saremo sempre al fianco dei cittadini della Valsusa!
    Blog delle Stelle (1/12/16)
    Il nostro obiettivo sarà quello di migliore la Tav. Non vogliamo fare nessun tipo di danno economico all’Italia ma vogliamo migliorare un’opera che è nata molto male” dichiara il ministro 5 Stelle alle infrastrutture Danilo Toninelli il 23 luglio

    Con Il M5S al governo bloccheremo il Tap in due settimane
    Alessandro Di Battista (2/4/2017)
    “Abbiamo le mani legate, lo stop avrebbe un costo troppo alto”dichiara il Ministro per il Sud del M5S Barbara Lezzi il 16 ottobre

  • Cose fatte dal PD in questi 5 anni

    Cose fatte dal PD in questi 5 anni

    1. Cinque anni fa una coppia di persone dello stesso sesso non aveva alcun diritto. Oggi ci sono le unioni civili”.
      • Legge 76/2016 Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso: “La presente legge istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso”;
    2. Cinque anni fa le volontà di un malato sul proprio fine vita non avevano alcun valore. Oggi c’è il biotestamento”.
      • Legge 219/2017 Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento: “La presente legge […] stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata”;
    3. Cinque anni fa si pagava l’IMU sulla prima casa. Oggi la pagano solo i proprietari di case di lusso”.
      • Dal 2014 sono esenti dall’IMU le abitazioni principali delle categorie catastali A/2, A/3, A/4, A/5, A/6, A/7. Tramite questo link è possibile consultare tutta la normativa di riferimento;
    4. Cinque anni fa i genitori di persone con disabilità non avevano alcuna certezza per il futuro dei loro figli. Oggi c’è la legge sul “Dopo di noi“.
      • Legge 112/2016 Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilita’ grave prive del sostegno familiare: “La presente legge […] è volta a favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilita;
    5. Cinque anni fa non esistevano misure universali contro la povertà. Oggi c’è il Reddito d’Inclusione”.
      • Decreto Legislativo 147/2017 Disposizioni per l’introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà: “A decorrere dal 1° gennaio 2018, è istituito il Reddito di inclusione, di seguito denominato «ReI», quale misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale”. Il beneficio può arrivare al massimo a 187,5 euro per una persona sola e fino a 485 euro per un nucleo di 5 o più persone, qui potete trovare maggiori informazioni.
    6. Cinque anni fa i reati ambientali non erano punibili. Oggi c’è la legge sugli ecoreati”.
      • Legge 68/2015 Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente;
    7. Cinque anni fa tonnellate di cibo in eccesso venivano sprecate. Oggi, con la legge sullo spreco alimentare, è più semplice destinarle a fini di solidarietà sociale
    8. Cinque anni fa non c’era l’Autorità nazionale anticorruzione. Oggi c’è”.Legge 114/2014 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari. Tramite la pagina di Wikipedia è possibile trovare ulteriori informazioni sull’Autorità Nazionale AntiCorruzione (ANAC).
    9. Cinque anni fa non c’era il codice antimafia. Oggi c’è”.Legge 161/2017 Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione. Qui è possibile trovare ulteriori informazioni;
    10. Cinque anni fa non c’era il reato di omicidio stradale. Oggi c’è”.Legge 41/2016 Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali;
    11. Cinque anni fa dieci milioni di dipendenti sotto i 1.500 euro non ricevevano alcun aiuto. Oggi ricevono 80 euro al mese in più”.Decreto-Legge 66/2014 Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale;
    12. Cinque anni fa datori di lavoro disonesti potevano far firmare alle loro dipendenti un documento per poterle “dimissionare” in caso di gravidanza. Oggi le “dimissioni in bianco” sono impossibili”Decreto 15 dicembre 2015 Modalità di comunicazione delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Qui è possibile trovare ulteriori informazioni;
    13. Cinque anni fa il PIL era a -2,4. Oggi è +1,6”.Il PIL ha raggiunto, nel terzo trimestre del 2017, il valore più elevato dal 2011 come riportato da “Il Sole 24 Ore”;
    14. Cinque anni fa gli occupati in Italia erano 22 milioni. Oggi sono 23 milioni. Un milione di posti di lavoro in più (la metà a tempo indeterminato)”.Il corriere titola un articolo del 9 gennaio 2018 “Mai così tanti al lavoro dal 1977”, qui tutti i dati.
    15. Cinque anni fa non c’era la legge sulla ciclabilità. Oggi c’è”.Legge 2/2018 Disposizioni per lo sviluppo della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica: “La presente legge persegue l’obiettivo di promuovere l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto”;
    16. Cinque anni fa i miliardi recuperati dall’evasione fiscale erano 12. Oggi sono 20”.Nel 2017 c’è stato il record di recupero dell’evasione fiscale, oltre 20 miliardi di euro, come riportato da “Il Sole 24 Ore”;
    17. Cinque anni fa 100mila docenti erano precari. Oggi sono di ruolo”.102.734 assunzioni a tempo indeterminato per il 2015/2016 articolato in 4 fasi (zero, A, B, C)
      32.419 assunzioni a tempo indeterminato per il 2016/2017;
      51.773 assunzioni a tempo indeterminato per il 2017/2018.
    18. Cinque anni fa per ottenere il divorzio bisognava aspettare tempi lunghissimi. Oggi c’è il divorzio breve”.Legge 55/2015 Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché’ di comunione tra i coniugi.
    19. Cinque anni fa nessuno credeva che i lavori per la Salerno-Reggio Calabria sarebbero terminati. Oggi sono terminati”.Terminati i lavori della Salerno-Reggio Calabria, qui è possibile trovare ulteriori informazioni;
    20. Cinque anni fa punire il caporalato era complicato. Oggi c’è una legge apposita”.Legge 199/2016 Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo.
    21. “Cinque anni fa non c’era il processo civile telematico. Oggi c’è”.In questo articolo de “Il Sole 24 Ore” è possibile trovare le informazioni e le normative del processo telematico;
    22. Cinque anni fa non c’era la riforma del Terzo settore. Oggi c’è”.Legge 117/2017 Codice del Terzo settore;
    23. Cinque anni fa non c’era il bonus cultura per i 18enni. Adesso c’è”.18App, il bonus cultura per i diciottenni;
    24. Cinque anni fa i docenti non ricevevano alcun sostegno per la loro formazione. Oggi hanno una card da 500 euro”.Decreto del presidente del consiglio dei ministri 28 novembre 2016 Disciplina delle modalità di assegnazione e utilizzo della Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado: “Il presente decreto disciplina le modalità di assegnazione e di utilizzo della «Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado»”;
    25. Cinque anni fa non c’era la responsabilità civile dei magistrati. Oggi c’è”.Legge 18/2015 Disciplina della responsabilità civile dei magistrati: “La presente legge introduce disposizioni volte a modificare le norme di cui alla legge 13 aprile 1988, n. 117, al fine di rendere effettiva la disciplina che regola la responsabilità civile dello Stato e dei magistrati”;
    26. Cinque anni fa non c’era il bonus bebè. Oggi c’è”.Decreto del presidente del consiglio dei ministri 27 febbraio 2015 Disposizioni necessarie per l’attuazione dell’articolo 1, comma 125, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», che prevede un assegno al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno;
    27. Cinque anni fa non c’era la dichiarazione dei redditi precompilata. Oggi c’è”.Decreto legislativo 175/2014 Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata;
    28. Cinque anni fa non c’era il cumulo gratuito delle pensioni. Oggi c’è”.Qui un articolo de “Il Sole 24 Ore” in cui spiega come si potrà accedere;
    29. Cinque anni fa i furbetti del cartellino proliferavano nella totale impunità. Oggi per legge rischiano il licenziamento immediato”.Lege 124/2015 Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche;
    30. Cinque anni fa chi investiva in cultura non aveva alcuna agevolazione. Oggi c’è l’Art Bonus”.Decreto legge 83/2014 Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo: “ART-BONUS-Credito di imposta per favorire le erogazioni liberali a sostegno della cultura”;
    31. Cinque anni fa non c’erano giorni gratuiti per l’ingresso nei musei. Oggi si entra gratis ogni prima domenica del mese”.Decreto 94/2014 Regolamento recante modifiche al decreto 11 dicembre 1997, n. 507, concernente «Norme per l’istituzione del biglietto di ingresso ai monumenti, musei, gallerie, scavi di antichità, parchi e giardini monumentali dello Stato»: “La prima domenica di ogni mese è in ogni caso libero l’accesso a tutti gli istituti ed ai luoghi della cultura di cui all’articolo 1, comma 1, ivi inclusi, in assenza di un percorso espositivo separato e di un biglietto distinto, gli spazi in cui sono allestite mostre o esposizioni temporanee”;
    32. Cinque anni fa non c’era un piano nazionale per la Banda ultra larga. Oggi c’è”.Piano nazionale Banda ultra larga;
    33. Cinque anni fa l’imposta sul reddito delle società (IRES) era al 27.5%, ora è al 24%”.Qui un articolo de “Il Sole 24 Ore” che tratta della riduzione Ires al 24%.
  • Perché Renzi è di sinistra e Bersani, Cuperlo e Speranza sono di destra

    Perché Renzi è di sinistra e Bersani, Cuperlo e Speranza sono di destra

    Risultati immagini per BERSANI E RENZI

    Alla luce della storia della sinistra negli ultimi 25 anni, perché Renzi è sicuramente più a sinistra di Bersani e compagnia. Le iniziative ed i provvedimenti del governo che dimostrano il suo essere il governo più modernamente di sinistra della storia repubblicana.

    Nella vulgata politica quotidiana lo sport più diffuso è dipingere Renzi il suo PD ed il suo governo come una espressione politica di destra.

    Si passa agli urlatori raffinati che addirittura paragonano Renzi a Orban o ad Erdogan a quelli che urlano meno ed usano argomenti più sottili ma alla fine paragonano Renzi alla Tatcher ed alla stregua dei peggiori leaders neoliberisti.

    Quelli della minoranza dem invece dicono solo che sarebbe ora che il PD ed il governo facessero cose di sinistra e quindi facendo intendere che finora non le ha fatte.

    Ai primi c’è poco da controbattere. E’ la solita accozzaglia gruppettara che storicamente si forma a sinistra del Partito più forte e che urla al tradimento (cominciarono contro Togliatti parlando di Resistenza tradita) e di spostamenti a destra.

    Sono stati sconfitti dalla storia ed oggi ricicliamo approfittando di un momento di confusione politico-culturale molto forte dettata dai tempi che producono rapidi mutamenti.

    Mi voglio invece soffermare a rispondere ai rappresentanti della minoranza dem che si sono immeritatamente autoproclamati l’unica sinistra dentro il PD.

    La storia degli ultimi anni dimostra inequivocabilmente che la sinistra che ha fatto la destra è stata quella della ditta, dei Bersani e dei D’Alema padrini dei Cuperlo, degli Speranza, dei Gotor e corifei vari.

    Sono stati loro per anni ad essere subalterni al neoliberismo europeo, ad accettare la folle linea della austerità voluta dai tedeschi, a reagire alla grande crisi scoppiata nel 2008 accettando il mantra dei soli equilibri di bilancio (contrariamente a quanto fatto dai Democratici americani).

    E sono stati loro per anni, in tema di diritti civili, ad essere subalterni alla gerarchia cattolica e a non essere capaci di uno scatto autonomo della Politica se non con quel pasticcio indigeribile che erano i DICO o i PACS.

    Ed è stato Pierluigi Bersani da segretario non rimpianto del PD che ci portò alla grande coalizione con Berlusconi senza una linea autonoma e forte accettando misure sbagliate come il pareggio di bilancio in Costituzione o le leggi Fornero.

    Accettandole e facendole votare ai gruppi Parlamentari senza discussione alcuna e senza alcun passaggio negli organismi democratici di direzione nazionale (e queste decisioni furono prese in quegli organismi informali chiamaticaminetti e composti dai soliti big autoproclamatosi tali).

    E questo fino a quando gli elettori del centrosinistra, che probabilmente ne avevano piene le palle, li hanno spazzati via facendo vincere Matteo Renzi, un giovane provinciale di Rignano a Firenze, con oltre il 67% dei voti.

    E questo giovanotto fiorentino un po’ sbruffone e con la faccia tosta, insieme a molti altri giovani trenta/quarantenni,ha fatto più cose di sinistra di quante ne abbiano fatte quelli che erano gli eredi del vecchio PCI.

    Avrà sicuramente in questi due anni fatto degli errori ma dal punto di vista ideale e dal punto di vista pratico la cifra del suo governo è sicuramente una cifra che a me, uomo di sinistra e con una storia personale definita, convince e mi fa essere un sostenitore di Renzi e del suo governo.

    Innanzitutto essere di sinistra, progressisti e democratici vuol dire contrastare in Europa la linea della austerità ordoliberista finora egemone e significa avere il coraggio, sempre in Europa, di battersi per una linea di accoglienza e di solidarietà verso il dramma epocale dei profughi che scappano sempre più dalle sofferenze provocate dalle troppe guerre ai nostri confini meridionali.

    E contrariamente a Bersani ed alla vecchia ditta, Matteo Renzi su entrambe queste questioni ha avuto una linea chiara e netta non tirandosi indietro dal fare polemiche anche aspre con la politica e la tecnocrazia europea (dovendosi sorbire anche i rimproveri della minoranza dem che lo ha perfino accusato di alzare troppo i toni contro una Europa senza più anima, roba da matti!).

    Il PD con la sua vittoria del 2014 e la sua forza dentro il Parlamento europeo è stato certamente una garanzia ed una copertura politica che ha permesso a Mario Draghi maggiore autonomia dalla Banca centrale tedesca rispetto al periodo di Barroso in cui i conservatori dominavano in Parlamento ed in Commissione.

    Ed in Europa la battaglia per l’allentamento selettivo dei vincoli del fiscal compact e per una politica economica che rilanci la crescita e gli investimenti è stata fatta da Renzi e Padoan fino in fondo ottenendo i primi risultati e trascinando su questa posizione un PSE fino ad allora balbettante ed incerto (subalterno anch’esso alla egemonia culturale liberista).

    E senza questa battaglia, che non è certo finita, le trappole sull’IVA disseminate dai governo Monti e Letta (sotto dettatura di Barroso e della Troika) avrebbero comportato un salasso nelle tasche degli italiani di oltre 30 miliardi (la maggiore flessibilità ottenuta in gran parte è servita infatti per evitare l’aumento dell’IVA del 2% e adesso si tratta di disinnescare il 2017).

    E’ o non è questa una battaglia di sinistra che ci deve rendere tutti orgogliosi di appartenere a questo Partito?

    E non deve renderci orgogliosi anche il fatto di far parte di un Partito che, sfidando l’opinione comune aizzata dai razzismi e dai populismi di vario genere, tiene la barra ferma sui temi dei profughi non rinunciando a salvare vite umane e spingendo in Europa affinché tutti facciano la loro parte e presentando un “Migration act” apprezzato da moltissimi ma che stenta a decollare per le solite timidezze ed incrostazioni burocratiche tipiche di questa UE.

    E dove erano i sinistri Bersani e Cuperlo quando le destre razziste protestavano perché Renzi spendeva soldi pubblici per estrarre dal mare i corpi di 700 profughi al largo della Sicilia in modo di dare loro dignitosa sepoltura?

    E’ o non è tutto ciò conforme a quelli che sono stati gli ideali che quelli della mia generazione hanno coltivato quando erano giovani? Sono o non sono posizioni politiche fortemente progressiste, nette chiare, senza tentennamenti (altro che il partito del “pochino” di bersaniana memoria, ricordate il pietire, mentre Monti ci prendeva a schiaffoni, “un pochino in più di lavoro, un pochino in più di eguaglianza”?).

    Basterebbe questo per definire Renzi e l’attuale PD un Partito di sinistra (una sinistra contemporanea di un epoca completamente diversa da quarant’anni fa).

    Ma poi ci sono tante scelte concrete di governo.

    Inoppugnabilmente di sinistra e che fanno parte di una scelta strategica chiara.

    Porto ad esempio simbolico due provvedimenti legislativi che nessun governo di centrosinistra del passato era riuscito a far approvare.

    Parlo della legge sulle Unioni civili che Renzi ha fortemente voluto e che ha difeso rispetto alle proteste della gerarchia cattolica, lui cattolico e scout, dicendo una cosa che mai nessun esponente della vecchia sinistra si sarebbe permesso di dire e cioè che un Presidente del Consiglio ha giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo.

    E parlo della legge che combatte il caporalato, nuova forma di schiavismo, approvata di recente dal Senato e che mai era stata considerata come prioritaria da quelli che oggi chiedono a Renzi di essere più di sinistra.

    Ma in questi due anni altre leggi sono state approvate e sono leggi che solo una forza di sinistra poteva approvare come ad esempio: l’estensione della Cassa integrazione alle imprese sotto i 15 dipendenti e l’approvazione di uno Statuto dei lavoratori autonomi con un occhio particolare al mondo delle Partita IVA cui vengono riconosciuti per la prima volta diritti esigibili, o la decontribuzione volta a far costare di meno il lavoro a tempo indeterminato, o la leggeper il contrasto alla povertà con una serie di misure a sostegno di chi, per vari motivi, si trova oggi in difficoltà e soprattutto per le famiglie con minori, o la legge sul “dopo di noi” per assicurare un futuro alle persone con disabilità aumentando contemporaneamente il budget del fondo per la non autosufficienza.

    Ed è di sinistra, con un occhio attento al lavoro, l’impegno pancia a terra, con una task force di altissimo livello, per risolvere le tante crisi aziendali conseguendo risultati importantissimi

    Trascuro tantissimi provvedimenti (quelli contro la corruzione li troverete in questo articolo:Il governo Renzi sarà ricordato come il governo che ha fatto di più contro la corruzione) ma io ritengo di sinistra anche i due provvedimenti più discussi e contestati dalla minoranza dem e cioè il jobs act e la buona scuola.

    Solo a chi aveva del mercato del lavoro prima del jobs act una visione idilliaca dove tutti indifferentemente godevano dei diritti previsti dallo Statuto possono considerare questa legge sul mercato del lavoro una legge che comprime i diritti.

    Erano decenni invece che sul mercato del lavoro italiano trionfava la precarietà selvaggia ed i contratti a tempo indeterminato non venivano più stipulati.

    E’ evidente, lo so io come lo sa Renzi, che non basta una legge di regolazione del mercato del lavoro per recuperare tutti quei posti di lavoro che la crisi globale dal 2008 in poi ha bruciato e per fare questo serve certamente che la battaglia in Europa del governo italiano contro l’austerità e per la crescita vinca e si affermi come nuovo pensiero dominante. E se non avverrà ogni sforzo sarà vano.

    Ma è un dato che in Italia sono aumentati i contratti a tempo indeterminato, quasi 600.000 in più, ed è la prima volta che avviene da tanti anni e significa non meno diritti ma diritti in più (ad accendere un mutuo, ai contributi pensionistici, alle ferie, alla malattia, alla maternità o paternità) per centinaia di migliaia di persone in carne ed ossa.

    Poco? Certo che è ancora poco ma non siamo più con il segno meno.

    Sulla buona scuola è possibile che qualche errore sia stato fatto (anche se io credo fortemente che le reazioni incomprensibili di parte della classe insegnante sia dovuta essenzialmente ad un corporativismo egoistico e ad un non volersi mai mettere in discussione sentendosi gli unici detentori del sapere).

    Ma non c’è dubbio che dopo i tagli selvaggi della Gelmini ed i non interventi riparatori dei governi di centrosinistra con il governo Renzi è la prima volta che c’è una forte espansione della spesa per la scuola pubblica.

    Si può certo discutere di alcuni punti della riforma ma l’assunzione, in meno di due anni, di 180.000 insegnati a tempo indeterminato, l’assunzione di 10.000 ATA, gli addetti alle segreterie scolastiche, l’aumento dei fondi per la formazione degli insegnanti, quelli per l’edilizia scolastica, sono misure rivoluzionarie che invertono drasticamente un trend che tendeva ad impoverire la scuola pubblica. Ed una sinistra seria fa questo.

    Si può fare di più? Si può sempre fare di più!!!!

    Non può chiederlo però quella classe dirigente della ditta che negli ultimi 25 anni, oltre a regalarci l’egemonia berlusconiana, non è riuscita a fare granché quando è stata al governo (il risanamento dei conti di cui spesso ci vantiamo è stata certo una cosa positiva ma solo con il risanamento dei conti e senza riforme siamo stati dentro un orizzonte subalterno al pensiero dominante).

    E non si può pretendere che in due anni un governo che vive sui rapporti di forza parlamentari, soprattutto al Senato, scaturiti dalla sconfitta bersaniana, non si può pretendere che faccia tutto quello che la vecchia sinistra non è riuscita a fare in 25 anni e più.

    La minoranza dem la smettesse di giocare di rimessa con l’unico obiettivo di reimpossessarsi della stanza dei bottoni. Sono, senza offesa e in termini tecnici e scientifici, dei parassiti. Perché i parassiti sono quegli organismi che vivono bene e crescono dentro un organismo più grande. Fuori da quell’organismo muoiono e finiscono il loro ciclo di vita.

    Non riescono neanche ad essere delle mosche cocchiere, quelle mosche cioè attaccate alla criniera del cavalo e che si illudono di essere loro a guidare la corsa. Non ci riescono perché per farlo dovrebbero riconoscere che Renzi ha fatto molte cose di sinistra ed a loro questo fa fatica riconoscerlo perché lo vogliono solamente annientare. Problemi loro.

    Che Renzi riesca o non riesca nella sua impresa l’unica cosa certa però è che per questa gente non ci sarà più spazio. Loro lo sanno ma si comportano come Sansone che disse la famosa frase “muoia Sansone con tutti i filistei” trascinando nella sua morte anche i suoi nemici.

    Post scriptum:

    Qualcuno a questo punto potrebbe dire: “e il combinato disposto Italicum-Riforma Costituzionale non è di destra?”

    Ed allora io, esausto, gli rispondo con le parole di un uomo di sinistra, il sociologo Franco Cassano, non sospettabile certo di renzismo che in una intervista ha risposto in questa maniera a chi gli rimproverava di aver votato la fiducia all’Italicum:

    C’è una ragione per me ancora più rilevante che nasce dalla convinzione che i mutamenti dello scenario internazionale nell’epoca della globalizzazione impongano un passaggio nella direzione suggerita dall’Italicum.

    Tutti i maggiori studiosi, in prima fila quelli più radicali e di sinistra, sottolineano come oggi lo Stato nazionale e quindi la sede privilegiata delle decisioni politiche si sia drasticamente indebolito e sia stato scavalcato continuamente dal prepotere del capitale finanziario, dei grandi interessi transnazionali dalle multinazionali fino alla burocrazia di Bruxelles.

    In un quadro come questo una politica debole, paralizzata da mille spinte centrifughe e dalla rincorsa a continue mediazioni, incapace di decidere, lascia spazi immensi all’iniziativa di soggetti, come quelli che ricordavo, che non rispondono a nessun mandato democratico. Pertanto ogni passo che va nella direzione di aumentare la capacità di decisione politica del sistema non è un attacco alla democrazia, ma esattamente l’opposto, lo strumento per far entrare nel mondo dei decisori globali anche le decisioni prese dallo StatoE devo dire che trovo strano che la sinistra del Pd, anche dimenticando una parte della propria storia, non sembri sensibile a questo argomento, che per me è cruciale, e abbia deciso di andare ad uno scontro quando aveva ottenuto notevoli miglioramenti del provvedimento”.

  • Intervento Carlo Calenda in confindustria

    Intervento Carlo Calenda in confindustria

    https://www.facebook.com/ccalenda/videos/201847557163637/
  • Cosa lasciano i governi di Renzi e Gentiloni

    Cosa lasciano i governi di Renzi e Gentiloni

    Viviamo nel pantano di tanta politica inconcludente, dove anche i nani riescono a stiracchiare la propria ombra. Buona parte del popolo si accontenta di percepire ciò che accade intorno a sé solo attraverso i pori della pelle e non attraverso la razionalità. La politica fa di tutto per intricare la realtà dei fatti e il popolo si sente appagato rimanendo nella superficie di ciò che gli viene propinato da taluni sparvieri della stampa, da politici manipolatori, da variopinti falsari della rete.

    A pochi interessa conoscere esattamente lo stato delle cose, approfondirlo, valutarlo e giudicarlo serenamente e poi scegliere cosa gli è conveniente. Manipolazione e disincanto viaggiano appaiati. Si scelgono bersagli, Renzi in primo luogo, e su questa scelta si dimensionano strategie di attacco. Nessuno valuta obiettivamente i risultati conseguiti dai governi Renzi – Gentiloni. E tanto meno ci si preoccupa di confrontarli con i disastri dei governi Berlusconi e Monti, soprattutto se i risultati del centro sinistra sono positivi e documentati da enti terzi come l’Istat e l’Ocse.

    E questi sono i provvedimenti verità del centro sinistra:

    Dirittiunioni civili; divorzio breve; dopo di noi; rilancio del fondo per la non autosufficienza e politiche sociali.

    Lavoro:Jobs act (-58% di cassa integrazione, disoccupazione nel 2013 all’11,1% e nel 2017 scende al 10,2%); riordino degli ammortizzatori sociali; dimissioni in bianco (tutela della donna); stabilizzazione dei precari nella Pubblica Amministrazione; tutele per i lavoratori autonomi; sostegno alla genitorialità; riduzione tasse e ridistribuzione del reddito (960 euro l’anno per 11 milioni di lavoratori); incentivi all’occupazione dei giovani; Ape Social (diritto alla pensione anticipata).

    Meno tasse più crescita: via le tasse sulla prima casa; riduzione dell’Irap (imposta regionale sulle attività produttive) e dell’Ires; azzeramento dell’Irpef agricola; esenzione totale dei contributi per agricoltori under 40 che avviano un’impresa agricola e azzeramento dei costi della garanzia bancaria; riforma Banche popolari e Banche di Credito Cooperativo; sblocca Italia (3,8 miliardi di cantieri sbloccati); nuovo codice degli appalti; Industria 4.0 (piano per facilitare la quarta rivoluzione industrial); auto riciclaggio (adeguamento normativa interna sulla corruzione; abolizione Equitalia.

    Ambiente: Ratifica accordo di Parigi sul clima, già in vigore; Eco reati (tutela legale del territorio, ambiente e salute); Eco bonus (risparmio energetico).

    Sociale: riforma terzo settore e servizio civile; nuova legge sulla cooperazione internazionale allo sviluppo; politiche a sostegno della natalità (bonus asilo nido, congedi obbligatori, fondo natalità, bonus mamma, buoni baby sitting), spreco alimentare (evitare macero di 5,6 milioni di tonnellate di alimenti; continuità affettiva del minore con la famiglia affidataria; legge sull’autismo; immigrazione, rifugiati e protezione internazionale (sezioni specializzate, velocizzazione delle procedura, svolgimento di attività di utilità sociale, centri di permanenza per i rimpatri, potenziamento degli organici concordati con il CSM, vaccini, bando periferie per la riqualificazione urbana, sport – fondo sport e periferie).

    Giustizia: processo civile telematico, reato di depistaggio (soprattutto per le stragi), chiusura ospedali psichiatrici, sovraffollamento carcerario, tribunale delle imprese, responsabilità civile dei magistrati.

    Sicurezza e legalità: Introduzione dell’omicidio stradale, fondo di garanzia per le vittime della strada, scambio elettorale politico-mafioso (scambio tra promessa di voto con altre utilità), falso in bilancio (cancellato da Berlusconi nel 2002), anticorruzione (poteri affidati all’ANAC) che ha consentito di ridurre di 250 mila unità i reati dal 2010, legge contro il caporalato che ha permesso il sequestro di 7.591 aziende in cinque anni.

    Cultura: Direttori musei (riforma del sistema museale), Art bonus (collaborazione pubblico-privato nel settore culturale), riforma cinema e audiovisivo, editoria (pluralismo editoriale e sostegno alla stampa locale e ad enti no profit), 18app (bonus di 500 euro agli studenti per aiutare la loro formazione), turismo sostenibile.

    Riforma Scuola: (investimenti in nuovi edifici e ristrutturazione dei vecchi, 115.800 i precari stabilizzati, 52.000 i nuovi insegnanti assunti, alternanza scuola lavoro, contratti di apprendistato, 500 euro annui per aggiornamento e formazione del singolo docente.

    Riforma Pubblica Amministrazione e applicazione, in dirittura di arrivo, del contratto per 3.200.000 pubblici dipendenti. Fonte, On. Lia Quartapelle.

    Alla luce della lettura di questi provvedimenti, ciascuno di noi potrà misurare obiettivamente, senza pregiudizi e con senso di responsabilità, bagaglio civile di qualsiasi persona, se tutto ciò sia di giovamento o meno alla nostra comunità. Per fare di più c’è filo per tutti. Ciascuno tessa la propria tela con il rispetto che merita la dignità di chiunque lo faccia in buona fede.

  • Complottisti, signoraggisti e nostalgici della Lira: ecco i sottosegretari del governo Conte

    Complottisti, signoraggisti e nostalgici della Lira: ecco i sottosegretari del governo Conte

    C’è Sibilia che non crede allo sbarco sulla luna, Bitonci che parla di “negritudine” e decine di altre assurdità. Abbiamo raccolto le più incredibili dichiarazioni dei 45 politici nominati nel “governo del Cambiamento”

    Complottisti, signoraggisti e nostalgici della Lira: ecco i sottosegretari del governo Conte
    Manlio Di Stefano e Carlo Sibilia

    Nostalgici della Lira. Signoraggisti poco avvezzi alla lettura di qualsivoglia testo macroeconomico. Complottisti di vecchia data, della serie “mai stati sulla Luna” e “dietro alle stragi di Stato c’è il gruppo Bilderberg!”. Statisti capaci di giustificare una delle pagine più vergognose nella storia del Parlamento italiano, l’accostamento orango-Kyenge. Bene, la squadra di governo è completa: con la nomina di 45 tra sottosegretari e viceministri l’esecutivo Conte ha finalmente gli strumenti per mettersi all’opera. Noi nel frattempo possiamo farci un’idea di quello che ci aspetta attraverso le peggiori dichiarazioni dei membri che lo compongono.

    PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

    Senatore Vincenzo SANTANGELO, M5s

    Forza Etna
    “Con un po’ di impegno l’Etna risolverebbe tanti problemi” (Tweet poi cancellato, 4 dicembre 2015).

    Sta festa della Liberazione…
    “Oggi, 25 aprile, settantesimo anniversario della Liberazione, come ogni anno vedremo sfilare cortei di ex partigiani e bandiere tricolori in presenza di autorità istituzionali e di tanti bei discorsi! Mi chiedo, oggi, a settant’anni di distanza, questa ricorrenza ha ancora un significato che va oltre la vuota retorica e l’ostentazione di vessilli e bandiere?” (Facebook, 25 aprile 2015).

    Postando l’immagine di un cielo pieno di scie (chimiche?).
    “Sicilia, cosa vi fa pensare questo cielo?” (Facebook, 18 aprile 2015).

    Prof. Luciano Barra CARACCIOLO (Affari Europei)

    La nuova Norimberga.
    “‘Bisogna fare le riforme’ diverrà una frase come ‘il lavoro rende liberi’ quando sarà il momento della nuova Norimberga” (Twitter, 27 marzo 2014).

    Onorevole Mattia FANTINATI, M5s(Pubblica Amministrazione)

    Mica a caviale e champagne.
    “Dal sito Tirendiconto.it risulta che lei ha speso in vitto, ovvero in pranzi e cene, 46.391 euro. “Guardi, la voce vitto è una voce tecnica. All’interno della quale sono state inserite altre spese. Le ripeto, non ho pasteggiato a caviale e champagne. Ho solo inserito all’interno del vitto altre cose… Ma sono davvero questi i problemi degli italiani?”” (Corriere della Sera, 14 febbraio 2018).

    Vito Crimi, sottosegretario alla...
    Vito Crimi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria

    Senatore Vito Claudio CRIMI, M5s (Editoria)

    I giornalisti gli stanno sul cazzo.
    “I giornalisti e le tv li sto rifiutando tutti perché mi stanno veramente sul cazzo, cercano solo il gossip”, “Non facciamo un cazzo, passiamo un mese e mezzo a scegliere nomi” e poi “Zero rispetto a chi finora ha frequentato le istituzioni”. È sempre Crimi che parla, intervistato da RadioLuiss per La Zanzara su Radio 24. “Noi finora non abbiamo fatto un cazzo, abbiamo solo votato per scegliere cariche. Passiamo un mese e mezzo senza fare un cazzo con uno stipendio che è quello che è” (Repubblica.it, 21 marzo 2013).

    Il presidente Napolitano non si è addormentato.
    “Napolitano è stato attento, non si è addormentato. Beppe è stato capace di tenerlo abbastanza sveglio” (Sul colloquio tra il presidente della Repubblica e la delegazione del Movimento al Quirinale, 21 marzo 2013).

    Siamo nuovi.
    “Crimi assente in Giunta: “È stata una giornata intensa, mi sono perso, è la prima volta che venivo qui… non trovavo il palazzo”” (Corriere.it, 6 giugno 2013).

    Pasta vs. merda.
    “Italiani popolo strano. Dopo aver ingoiato merda per decenni sono capaci di dire no ad un buon piatto di pasta solo perché non è ben cotta” (Facebook, 6 settembre 2013).

    Commentando il manifesto elettorale del Pdl “Silvio non mollare”.
    “Ma vista l’età, il progressivo prolasso delle pareti intestinali e l’ormai molto probabile ipertrofia prostatica, il cartello di cui sopra con “Non mollare” non è che intende “Non rilasciare peti e controlla l’incontinenza (cit. Paola Zanolli)” (Facebook, 4 ottobre 2013).

    Il “complotto” dei piedi sporchi.
    “LEGGETE, PRIMA DI RIDERE. Un amico che risiede a Ghedi, in provincia di Brescia, ci ha inviato questa lettera. Vi invito a leggerla. ‘Ciao a tutti, molti di voi rideranno guardando l’immagine allegata (i piedi sporchi del figlioletto, ndr). Penserete forse che il caldo di questi giorni mi abbia dato alla testa o che si tratti semplicemente di uno scherzo di cattivo gusto. Purtroppo la realtà supera spesso la fantasia e in questo caso la realtà potrebbe essere più grave di quello che si pensi. (…) Ma veniamo ai fatti. Dopo le vacanze al mare siamo ritornati a casa a Ghedi. Premetto che prima di andare via la casa era in perfetto ordine. Come è normale tutti gli scuri erano chiusi ma dietro qualcuno di essi qualche porta è rimasta socchiusa per favorire un minimo di ricambio dell’aria di casa. Ebbene dopo due settimane ecco quello che si è depositato sul pavimento di casa e raccolto dai piedini di mio figlio. Quello che mi spaventa è che non si tratta della normale polvere. È una polvere nera e sottile, più fine della fuliggine. Sembrano i piedi di uno spazzacamino. Peccato che questa volta le polveri sono contenute nell’aria che respiriamo e che finisce nei nostri polmoni.
    C’è da dire che non viviamo nei pressi di una fabbrica o di una fonderia per cui credo che sia effettivamente quello che circola nell’aria. E questo fa paura (…)’” (Facebook, 28 luglio 2015).

    Oggi alleati di governo.
    “Umberto Bossi e il figlio Renzo condannati per aver abusato dei fondi della Lega Nord. Da “Roma ladrona” a #LegaLadrona. #VotateliAncora” (Twitter, 11 luglio 2017).

    INTERNO

    Carlo Sibilia
    Carlo Sibilia

    Onorevole Carlo SIBILIA, M5s 

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    Carlo Sibilia

    Il meglio del peggio del Carlo Sibilia pensiero

    Confonde la partenza e l’arrivo dell’impresa dei Mille e ha “riscritto” a suo modo alcuni importanti fatti di cronaca, le basi della macroeconomia, e parti considerevoli della storia dell’umanità. Ecco una summa del pensiero del responsabile Scuola e università del M5S

    Sbarco sulla luna? Quando mai.
    “Oggi si festeggia l’anniversario dello sbarco sulla luna. Dopo 43 anni ancora nessuno se la sente di dire che era una farsa…”. E ancora: “Scusate. Rettifico. Siamo andati sulla luna, Berlusconi è onesto, la riforma del senato è cosa buona e giusta e Repubblica è un giornale” (Twitter, 20 luglio 2014).

    Le stranezze sulla strage di Charlie Hebdo.
    “Incredibile che a Charlie Hebdo sia rimasto ucciso l’economista Maris che denunciava irregolarità su emissione moneta” (Twitter, 8 gennaio 2015).

    La ragione ritrovata. Sibilia dopo la sparatoria avvenuta nel Parlamento canadese di Ottawa, in cui hanno perso la vita due persone.
    “(…) I politici spesso prendono a modello i governo del nord. Norvegia, USA e Canada. Eppure dov’è che hanno iniziato a sparare i politici… proprio in un paese come il Canada. Opera di un pazzo o di qualcuno che ha ritrovato la ragione?” (Facebook, 23 ottobre 2015).

    L’onestà della dittatura.
    “Hai ragione @Beatrix_Bix, la dittatura è più onesta. Almeno lo sai, invece democrazia italiana è subdola” (Twitter, 14 dicembre 2013).

    Dalle stragi di Falcone e Borsellino.
    “Cosa dire di una stampa che oscura il Restitution Day?, l’evento politico più rivoluzionario dagli omicidi di Falcone e Borsellino” (Facebook, 7 luglio 2013).

    Ha stato il Signoraggio.
    “Ebbene, signor Letta, mi spiega oggi qual è il nesso tra banche e stati? Se la Banca centrale europea è di fatto di proprietà delle banche centrali nazionali – e diremmo benissimo!, se le banche centrali nazionali fossero di proprietà dei cittadini, dello stato. (…) E se la moneta è dei cittadini, degli stati, allora perché ce la prestano? Caro Letta, ha mai sentito parlare di Signoraggio Bancario? Ne avete mai parlato alle riunioni del Club Bilderberg?” (Intervento alla Camera, 22 maggio 2013).

    Non fatevi fregare!
    “Esiste una crisi idrica, quando c’è scarsità d’acqua.
    Esiste una crisi geologica, quando c’è scarsità di suolo.
    Esiste una crisi d’aria, quando è troppo inquinata.
    Non può esistere una crisi monetaria perché manca la moneta.
    Infatti acqua, terra e aria sono risorse naturali e pertanto sono finite. La moneta è un’unità di misura e può essere creata in qualsiasi momento.
    Dire che esiste una crisi monetaria è come dire che non c’è la lunghezza perché mancano i metri. NON FACCIAMOCI FREGARE!” (Facebook, 19 settembre 2016).

    Vuoi mettere l’aifon?
    “Oggi la Apple presenta l’#iPhone8 noi in parlamento siamo costretti dal #PD a discutere di #fascismo vs #comunismo… #fatevoi” (Twitter, 12 settembre 2017).

    La proposta-simbolo di Carlo Sibilia, prima di diventare deputato.
    “Matrimonio omosessuale, di gruppo e tra specie diverse (Postato da Carlo Sibilia il 26/11/2012). Discutere una legge che dia la possibilità agli omosessuali di contrarre matrimonio (o unioni civili) , a sposarsi in più di due persone e la possibilità di contrarre matrimonio (o unioni civili) anche tra specie diverse purché consenzienti” (Proposta di legge postata nello spazio che il blog di Grillo dedicava alle “idee” per il programma delle liste civiche).

    Senatore Stefano CANDIANI, Lega

    La zingara.
    “Una zingara, FALSA, ladra, schifosa e bastarda, mi ha rubata il telefono” (Facebook, 13 febbraio 2015).

    Rispondendo su Twitter al titolo dell’Unità “Roma città chiusa. Alle mafie”.
    “Totò Riina è pseudonimo di Antonio De Curtis, detto Totò” (Twitter, 22 agosto 2015).

    La7: Stefano Candiani (Lega Nord) commenta il video shock che ha suscitato polemiche di una bimba che piange di gioia dopo aver ricevuto in regalo un fucile.
    “Non bisogna banalizzare con questo video la legittima difesa. Il concetto deve essere chiaro, se una persona viene aggredita deve potersi difendere e l’aggressore paga il prezzo, se mi entra in casa e ho anche una famiglia da difendere non ci si deve stupire se quel qualcuno entra in un modo ed esce in un altro” (2 febbraio 2017).

    AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

    Onorevole Manlio DI STEFANO, M5s

    Incapaci al potere.
    “Se ci troveremo presto in guerra o se diverremo l’obbiettivo di attentati (senza esserlo mai stati prima) avrete due nomi da ringraziare, Renzi e Gentiloni, due pericolosi incapaci al potere” (Facebook, 15 febbraio 2015).

    Chi appoggia l’Isis.
    “GUERRA ALL’ISIS? NO, IMPERIALISMO. Gli USA e l’Unione Europea appoggiano l’ISIS.
    Questo è un dato di fatto riscontrabile in centinaia di testimonianze influenti (senatori americani) nonché in video che mostrano droni sorvolare i convogli neri senza attaccarli. (…) Il M5S, quando governerà l’Italia, la trascinerà fuori dalla sudditanza atlantica per restituirla alla sua dignità e sovranità nell’azione internazionale. Ascoltate questa mia intervista ad una TV iraniana. È solo questione di tempo…” (Facebook, 16 settembre 2015).

    L’intervista di Vespa a Riina Junior.
    “È SOLO DISTRAZIONE DI MASSA. Basta! Basta! Basta! Non fatevi fregare dal sistema! Vespa ne è parte da sempre, avete già dimenticato le mille occasioni in cui si è prestato a distrarre le masse dai veri problemi del paese? Per quanti mesi è andato in onda il plastico del Delitto di Cogne mentre in Parlamento ci toglievano il futuro? L’equazione è semplice: il Governo Renzi è in crisi perché pescato con le mani nel petrolio dalla magistratura e sotto mozione di sfiducia e, in 24h, mette su un teatrino a tutto campo…” (Facebook, 7 aprile 2016).

    E allora Guantanamo?
    “Gli arresti a Mosca? E allora Guantanamo? Non tocca a me valutare la democrazia in un altro Paese” dice Manlio Di Stefano per levarsi dall’impaccio di una domanda che in tanti fanno ai 5 Stelle: cosa dite della retata di massa di Vladimir Putin? (La Stampa, 30 marzo 2017).

    “M5S, Lista di ebrei sul profilo Facebook di Di Stefano”
    “Come riporta il Corriere della Sera, sul profilo Facebook di Manlio Di Stefano è apporso un post chiamato “Complici di Israele”, relativo al voto contrario dell’Italia alla risoluzione Unesco su Gerusalemme, che ha dato vita ad un dibattito acceso tra chi appoggiava il parlamentare 5 stelle e chi, invece, si dichiarava contrario. Tra i commenti, un altra lista di Vip tra giornalisti, attori e personalità con il titolo “Influenza sionista nei media italiani”, con i nomi, tra gli altri, di Roberto Saviano, Paolo Mieli, Enrico Mentana, Gad Lerner” (Lineapress, 7 maggio 2017).

    Onorevole Guglielmo PICCHI, Lega (ex Forza Italia)

    Quando c’era Silvio.
    “Con Berlusconi quanto avvenuto in #Crimea non sarebbe semplicemente successo” (Twitter, 17 marzo 2014).

    DIFESA

    Onorevole Angelo TOFALO, M5s

    Boia chi molla!
    “Boia chi molla, presidente Boldrini, boia chi molla! E noi non molleremo!” (Intervento alla Camera, 29 gennaio 2014).

    Si scherza.
    “Abbiamo kalashnikov, mitra, mine da posizionare su ogni scranno di questi politicanti della casta, e poi male che vada abbiamo una zizzona di Battipaglia come bomba per far saltare tutto in aria. Ovviamente sto scherzando…” (YouTube, 7 gennaio 2015).

    Alto tradimento.
    “#GENTILONI ANDREBBE PROCESSATO PER ALTO TRADIMENTO! invece accade che gli viene addirittura affidato l’incarico” (Twitter, 11 dicembre 2016).

    Traffico d’armi
    “Traffico d’armi con la Libia, spionaggio, Isis. Un triangolo quanto mai insidioso, tanto più che sullo sfondo c’è un rappresentate dello Stato. Angelo Tofalo, deputato grillino e membro del Copasir – il comitato di controllo parlamentare sui servizi segreti – ha ammesso di aver pagato un viaggio in Turchia ad Annamaria Fontana, la donna napoletana arrestata nei giorni scorsi per traffico internazionale di armi insieme con il marito, Mario Di Leva, convertito all’Islam (…)” (La Stampa, 26 febbraio 2017).

    ECONOMIA E FINANZE

    Onorevole Laura CASTELLI, viceministra, M5s

    Le ricette della nonna.
    “Olio di ricino per i mafiosi!” (Dibattito in Aula, 4 giugno 2013).

    Come ti permetti di non votare 5 Stelle?
    “Da una parte questo è un Paese che fa fatica a comprendere, dall’altra c’è ancora una grande fetta legata a lobby e poteri forti. Non dico che chi non ha votato 5 Stelle sia da condannare, ma non lo giustifico” (26 maggio 2014).

    Quanto ha ucciso il governo Renzi?
    “Secondo voi quanta gente hanno ucciso i cattivi governi? Quanti il governo #Renzi? Per me più di 150….” (Twitter, 27 marzo 2015).

    Una buona parola per tutti.
    “#Marino ha appena ritirato le dimissioni… Pagliaccio criminale” (Twitter, 29 ottobre 2015).

    Un curriculum che nemmeno il premier Conte.
    “(…) A 14 anni comincio ad innamorarmi della palestra e li conosco la danza HipHop che poi seguirò per oltre 10 anni. E poco dopo, durante una estate di colonia aziendale, scopro l’amore per la barca a vela e il vento; amore che mi accompagna ancora moltissimo. Alle scuole superiori scelgo di frequentare la scuola di Ragioneria più complessa è severa di tutta la provincia di Torino. (…)” (Dal curriculum pubblicato sul sito ufficiale di Laura Castelli).

    “La favolosa figuraccia di Laura Castelli al convegno dell’Ordine dei Commercialisti”.
    “Qualche giorno fa la Castelli era ospite degli Stati Generali della professione dei Dottori Commercialisti. Professione per esercitare la quale è necessario essere iscritti ad un apposito albo professionale al quale si accede dopo aver superato un esame di Stato. La Castelli si deve essere sentita davvero a casa perché si è presentata così: «Sono laureata in Economia, non sono un commercialista ma nella vita ho avuto un mio studio, ho lavorato nello studio di famiglia che si occupa di contabilità, paghe, e conosco…». L’onestà e la trasparenza dell’onorevole pentastellata però non sono state apprezzate dalla platea che ha iniziato a vociare e sogghignare. Ed in effetti è curioso che ad un convegno nel quale si è discusso anche di chi esercita abusivamente la professione arrivi una persona a dire che pur non essendo commercialista ha esercitato la professione e ha avuto pure uno studio…” (Next Quotidiano, 16 febbraio 2018).

    Onorevole Massimo BITONCI, Lega

    La negritudine.
    “Signora Presidente, onorevoli colleghi, la gente ormai ha paura ad uscire la sera e lei vuole favorire la negritudine come in Francia” (Intervento in aula, 14 gennaio 2014).

    Da sindaco leghista di Padova.
    “E ora in tutti gli edifici e scuole un bel crocifisso obbligatorio regalato dal Comune. E guai a chi lo tocca!” (Facebook, 24 giugno 2014).

    Lotta dura ai kebabbari.
    “Abbiamo deciso di emettere un’ordinanza per la zona della stazione: è giunta l’ora di far chiudere entro le ore 20 tutta una serie di negozi etnici, tipo quelle dei kebabbari” (30 marzo 2016).

    SVILUPPO ECONOMICO

    Senatore dott Andrea CIOFFI, M5s

    Il tweet-shock subito dopo le prime scosse sismiche.
    “A Roma due forti scosse di #terremoto in due ore. Il Senato ha retto benissimo. Reggerà anche alla deforma di Renzi. #IoVotoNo” (25 ottobre 2016).

    Onorevole Davide CRIPPA, M5s

    Priorità.
    “Oggi pomeriggio dovevo partecipare al torneo beach waterpolo ad Arona, ma qualche genio del Pd ha deciso che questa sera alle 19 si doveva votare in commissione attività produttive e finanze per il ddl concorrenza (…)” (Facebook, 2 agosto 2015).

    INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

    Michele DELL’ORCO, M5s

    Mafia-Pd.
    “‘Oggi Pd in piazza contro la mafia’: come se i #Casamonica manifestassero contro se stessi” (Twitter, 3 settembre 2015).

    Edoardo RIXI, Lega

    Dopo l’attentato di Nizza
    “Edoardo Rixi punta il dito contro il governo italiano: “L’Italia deve chiudere le frontiere e smetterla di traghettare sul territorio nazionale migliaia di clandestini che con i loro viaggi finanziano l’Isis – scrive sulla propria pagina Facebook -. Il nostro Governo è moralmente responsabile di quanto sta accadendo in Europa”” (Huffington Post, 15 luglio 2016).

    “Spese pazze, Rixi: ‘Così facevan tutti, ci siamo adeguati’”.
    “Così facevan tutti. Acquistavano le loro cose personali e le facevano pagare ai contribuenti liguri. “C’era una prassi consolidata, che abbiamo seguito e che mai aveva creato problemi – spiega Edoardo Rixi, assessore regionale allo Sviluppo Economico della Liguria e segretario della Lega Nord ligure” (Repubblica.it, 19 settembre 2017).

    Armando Siri e Matteo Salvini
    Armando Siri e Matteo Salvini

    Senatore Armando SIRI, Lega

    VEDI ANCHE:

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    Esclusivo: la flat tax di Matteo Salvini è un’idea di un bancarottiere

    Armando Siri, l’ideologo dell’aliquota unica al 15 per cento,  ha patteggiato una condanna a un anno e 8 mesi per un crac. Due società in cui il guru del leader leghista ha avuto ruoli di spicco hanno trasferito la sede legale in un paradiso fiscale. E uno dei suoi soci è indagato dall’antimafia di Reggio Calabria

    “Lega, L’Espresso: ‘L’ideologo della Flat Tax Armando Siri patteggiò per bancarotta fraudolenta‘”.
    “Prima della campagna elettorale Matteo Salvini, segretario della Lega, pensava per lui a un ruolo di governo, magari un ministero economico. Eppure, stando a quanto riporta L’Espresso, Armando Siri, 46 anni, eletto al Senato, ideologo della flat tax, ha patteggiato una pena per bancarotta fraudolenta. Tre anni e mezzo fa un giudice ha accolto l’accordo tra accusa e difesa per il fallimento della MediaItalia, società che avrebbe lasciato debiti per oltre 1 milione di euro. Nelle motivazioni, riporta il settimanale, i magistrati che hanno firmato la sentenza scrivono che, prima del crack, Siri e soci hanno svuotato l’azienda trasferendo il patrimonio a un’altra impresa la cui sede legale è stata poco dopo spostata nel Delaware, paradiso fiscale Usa” (Fatto Quotidiano, 12 marzo 2018).

    LAVORO E POLITICHE SOCIALI

    Onorevole Claudio COMINARDI, M5s

    È Stato il Bilderberg.
    “Il mandante della bomba di Piazza della Loggia è lo Stato italiano. Una strage di Stato. C’era di tutto. I servizi segreti deviati, la politica, la Cia, e come dice Imposimato, anche il gruppo Bilderberg. Dietro alla strategia della tensione e alle stragi c’è anche il gruppo Bilderberg” (Intervento alla Camera, 28 maggio 2014).

    Androidi.
    “Un androide dotato di intelligenza artificiale è in grado di vedere, sentire, conversare, camminare, svolgere attività manuali, interpretare immagini, elaborare calcoli estremamente complessi e molto altro ancora. (…) Ritengo fondamentale un dibattito politico su questi mutamenti (…)” (Facebook, 7 gennaio 2016).

    BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E IL TURISMO

    Onorevole Gianluca VACCA, M5s

    Porcelli Pd.
    “I porcelli democratici hanno sempre hanno votato l’Italicum” (Twitter, 4 maggio 2016).

    Assassini Pd.
    “#labuonascuola è legge. Gli assassini #PD della scuola pubblica italiana hanno vinto una battaglia, ma non vinceranno la guerra! #M5S” (Twitter, 9 luglio 2016).

    Spazzatura Unità.
    “L’Unità è tornata a infangare le edicole. Le discariche sono sature, non c’era bisogno di nuova spazzatura” (Twitter, 12 luglio 2015).

    SALUTE

    Onorevole dott. Maurizio FUGATTI, Lega

    La cara vecchia lira.
    “Alla festa leghista di Avio si pagheranno cibo e bevande con le vecchie lire, sarà l’occasione per dimostrare a Monti i danni causati dall’euro” (13 agosto 2012).

    Reich.
    “Grazie ad Angela Merkel ormai non siamo più in Europa, ma nel Quarto Reich” (18 ottobre 2012).

    AMBIENTE, TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

    Onorevole Vannia GAVA, Lega Nord

    Quando vedo la Kyenge penso ad un orango”, disse Calderoli. E la Gava… 
    “Calderoli? Ha detto quello che pensano quasi tutti gli italiani. “I tratti somatici di alcune popolazioni è innegabile evochino da sempre sembianze animali se non peggio (cosa dovrebbero dire i poveri abitanti della Mongolia?). Chi non riconosce questo è palesemente in malafede e usa strumentalmente un falso perbenismo degno delle più squallide ipocrisie. È ora di finirla di puntare il dito contro i pochi che hanno il coraggio di dire quello che pensano tutti” (Messaggero Veneto, 15 luglio 2013).

  • Il reddito di cittadinanza…?

    Il reddito di cittadinanza…?

    Bocciato in Svizzera con una percentuale del 78 per cento. La proposta prevedeva contributi mensile, dalla nascita alla morte, di 2.500 franchi elvetici (circa 2.250 euro) per gli adulti e di 625 franchi (560 euro) per i minorenni.

    E se in Svizzera, un’ipotesi del genere è stata bocciata, magari un minimo di analisi sul perché andrebbe fatta.

    Tanto per fissare i termini della questione.

    L’idea alla base della misura è tutt’altro che nuova. Addirittura nel 1797, Thomas Paine, uno dei Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America rifletteva sul fatto che per “comprare” consenso sociale per i diritti della proprietà privata, i governi avrebbero dovuto pagare a tutti i cittadini 15 sterline all’anno.
    Il concetto non è né di sinistra né di destra. Si sono mostrati favorevoli al reddito di cittadinanza economisti ed intellettuali dalla più diversa formazione. Dal notissimo Milton Friedman della Scuola (ultraliberista) di Chicago a Charles Murray, libertario dell’American enterprise Institute; a Andy Stern, un noto rappresentante delle Unions americane, fino a Paul Mason visionario autore del recente saggio Postcapitalismo.

    Il reddito di cittadinanza è un termine molto generico e ricomprende varie misure.

    Sotto la generica definizione di reddito di Cittadinanza ricadono ipotesi molto diverse fra loro.

    Il Reddito Minimo Garantito: lo Stato corrisponde ad ogni cittadino (indipendentemente dal fatto che abbia una occupazione o meno) una somma pari alla differenza tra l’importo del reddito minimo garantito stabilito per legge ed il suo reddito, se il suo reddito è inferiore a tale importo.

    Il Reddito di Cittadinanza Condizionato secondo il quale, ogni cittadino riceve una somma maggiore o uguale ad un certo importo (che è generalmente individuato come livello di povertà relativa o assoluta). L’importo però tiene conto dei mezzi patrimoniali e reddituali del richiedente.

    Il Reddito di Cittadinanza Incondizionato che prevede che ogni individuo riceva una somma indipendentemente dal suo reddito, indipendentemente dalla sua situazione patrimoniale e reddituale. Quest’ultimo esempio ha avuto rarissimi casi di applicazione concreta come in alcuni paesi dell’Alaska ed è stato testato anche in altri stati degli USA, Brasile, in alcuni paesi dell’Africa e in alcuni stati dell’India.

    Il concetto di base del dibattito politico è però chiaro. Si tratta di una forma di integrazione del reddito che garantisca a tutti i cittadini un reddito minimo di sopravvivenza. O anche qualcosa di più.

    Comunque è implicito che, se tale ipotesi venisse presa in considerazione da qualche governo, in Italia,  un referendum diventerebbe obbligatorio.

    La più ampia idea di un reddito di cittadinanza universale incondizionato non ha avuto grande fortuna in nessun sistema politico. E questo perché i vari modelli di welfare oggi esistenti sono fondati su modelli e principi totalmente differenti. Ovvero si tratta sempre di programmi di assicurazione diretti a garantire sostegno a chi si viene a trovava in condizione di difficoltà temporanea tale da impedire la prestazione lavorativa: limiti di età (la “pensione di anzianità o vecchiaia”); malattia o infortunio (da noi garantite da INPS e INAIL) e più di recente, stati di disoccupazione involontaria (trattamento di disoccupazione, oggi NASPI e trattamenti simili).

    Inoltre, questo modello, si scontrerebbe con tutti i principi di uguaglianza. Nel momento in cui si dovesse prendere in considerazione la ricchezza effettiva di ogni singolo cittadino, si evidenzierebbero tutte le anomalie del sistema Italia, e senza prima rimuoverle, si creerebbe un caos tale da vanificare qualsiasi intervento.

    L’esistenza di quello che di fatto è un reddito di cittadinanza in Europa spiega molte cose che in Italia vengono riproposte in modo del tutto assurdo. Spiega l’assenza di lavoro nero,  l’assenza delle massicce raccomandazioni, spiega anche il fatto che le persone competenti occupino in genere il posto che compete loro (mentre così non è in Italia), le case abusive (chi ne calcola il valore?), l’evasione fiscale ecc.ecc..

    e che portare in Italia l’ipotesi di reddito di cittadinanza, senza un serio e pluriennale recupero delle inefficienze del sistema paese, significa cercare una scorciatoia facile facile per raccattare voti, e come è noto le soluzioni facili sui problemi complessi, puzzano sempre di populismo.

     

  • Brexit: quando ho visto fallire l’Europa da vicino.

    Brexit: quando ho visto fallire l’Europa da vicino.

     

    A due giorni dal voto, sono state raccolti più di due milioni di firme per rifare il referendum (che tenerezza: “non ci è piaciuto com’è venuto, dai, si rifà?”) mentre Trump, per il quale la Scozia è probabilmente quello che per noi è il principato di Seborga, dice agli scozzesi “bravi per la Brexit” e la Meloni pensa che Dublino sia una città inglese. Più che alla mia personale delusione penso a cosa succederà, cercando come tutti di leggere il più possibile: qui il riassunto con fact-checking di Valigia Blu che sottolinea come la notizia dei giovani britannici paladini dell’Europa contro i vecchi inglesi conservatori ed egoisti sia, in realtà, solo un sondaggio pre-voto moderatamente attendibile.

    Qui una dettagliata analisi di Luca Sofri (con alcuni link interessanti) che cerca di allargare lo sguardo e di capire i collegamenti mondiali. Tra Brexit e Trump, ad esempio. Tra Brexit e Marine Le Pen.

    Personalmente vorrei condividere la visione di Dino Amenduni che spera nasca dal dopo-Brexit la democrazia del post-vaffanculo. Che succeda, insomma, come quando arriva una bocciatura a scuola: si può tracollare ulteriormente o mettersi in riga per l’anno dopo.

  • Qualche domanda al Fronte del NO…

    Qualche domanda al Fronte del NO…

    Perchè essere contrari al superamento del bicameralismo perfetto?

    Perchè essere contrari al fatto che la Camera dei Deputati sia l’unica Assemblea Legislativa che da la fiducia al Governo e il Senato sia, con poteri ridotti, l’espressione delle regioni?

    Perchè essere contrari, quindi, alla riduzione di 215 parlamentari?

    Perchè essere contrari all’abolizione del CNEL con 65 poltrone?

    Perchè essere contrari all’abolizione delle Province e al tetto per lo stipendio dei consiglieri regionali?

    Perchè essere contrari a passare da un sistema con 945 parlamentari pagati a un sistema con 630 (meno 1/3)?

    Perchè essere contrari al fatto che il Governo avrà meno possibilità di varare decreti legge?

    Perchè essere contrari a iter legislativi semplificati con voti a data certa?

    Perchè essere contrari all’innalzamento dei quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica?

    Perchè essere contrari all’abbassamento del quorum per i referendum?

    Perchè essere contrari all’introduzione dei referendum proprositivi e d’indirizzo?

    Perchè essere contrari a rimettere ordine nel Titolo V al fine di togliere poteri alle Regioni inefficienti e rendere lo Stato più semplice?

    Perchè essere contrari ad avere garanzie di discussione e votazione per le leggi d’iniziativa popolare?

    Perchè essere contrari ad un Paese in cui chi vince governa 5 anni come in tutti gli altri Paesi?

  • Il fascismo eterno (Umberto Eco)

    Il fascismo eterno (Umberto Eco)

     

    Nel 1942, all’età di dieci anni, vinsi il primo premio ai Ludi Juveniles (un concorso a libera partecipazione coatta per giovani fascisti italiani – vale a dire, per tutti i giovani italiani). Avevo elaborato con virtuosismo retorico sul tema: “Dobbiamo noi morire per la gloria di Mussolini e il destino immortale dell’Italia?” La mia risposta era stata affermativa. Ero un ragazzo sveglio. Poi nel 1943 scopersi il significato della parola “libertà”. Racconterò questa storia alla fine del mio discorso. In quel momento “libertà” non significava ancora `liberazione”. Ho passato due dei miei primi anni tra SS, fascisti e partigiani, che si sparavano l’un l’altro, e ho imparato come scansare le pallottole. Non è stato male come esercizio. Nell’aprile del 1945 i partigiani presero Milano. Due giorni dopo arrivarono nella piccola città dove vivevo. Fu un momento di gioia. La piazza principale era affollata di gente che cantava e sventolava bandiere, invocando a gran voce Mimo, il capo partigiano della zona. Mimo, ex maresciallo dei carabinieri, si era messo coi badogliani e aveva perso una gamba in uno dei primi scontri. Si fece vedere al balcone del comune, appoggiato alle sue stampelle, pallido; cercò con una mano di calmare la folla. Io ero lì che aspettavo il suo discorso, visto che tutta la mia infanzia era stata segnata dai grandi discorsi storici di Mussolini, di cui a scuola imparavamo a memoria i passi più significativi. Silenzio. Mimo parlò con voce rauca, quasi non si sentiva. Disse: “Cittadini, amici. Dopo tanti dolorosi sacrifici… eccoci qui. Gloria ai caduti per la libertà.” Fu tutto. E tornò dentro. La folla gridava, i partigiani alzarono le loro armi e spararono in aria festosamente. Noi ragazzi ci precipitammo a raccogliere i bossoli, preziosi oggetti da collezione, ma avevo anche imparato che la libertà di parola significa libertà dalla retorica. Alcuni giorni dopo vidi i primi soldati americani. Erano afro-americani. Il primo yankee che incontrai era un nero, Joseph, che mi fece conoscere le meraviglie di Dick Tracy e di Li’ Abner. I suoi fumetti erano a colori e avevano un buon odore. Uno degli ufficiali (il maggiore o capitano Muddy) era ospite nella villa della famiglia di due mie compagne di scuola. Ero a casa mia in quel giardino dove alcune signore facevano crocchio intorno al capitano Muddy, parlando un francese approssimativo. Il capitano Muddy aveva una buona educazione superiore e conosceva un po’ di francese. Così, la mia prima immagine dei liberatori americani, dopo tanti visi pallidi in camicia nera, fu quella di un nero colto in uniforme giallo-verde che diceva: “Oui, merci beaucoup Madame, moi aussi j’aime le champagne…” Sfortunatamente mancava lo champagne, ma dal capitano Muddy ebbi il mio primo chewing-gum e cominciai a masticare tutto il giorno. Di notte mettevo la cicca in un bicchiere d’acqua, per tenerla in fresco per il giorno dopo. In maggio, sentimmo dire che la guerra era finita. La pace mi diede una sensazione curiosa. Mi era stato detto che la guerra permanente era la condizione normale per un giovane italiano. Nei mesi successivi scoprii che la Resistenza non era solo un fenomeno locale, ma europeo. Imparai nuove, eccitanti parole come “reseau”; “maquis”, “armée secrete”, “Rote Kapelle” “ghetto di Varsavia”. Vidi le prime fotografie dell’Olocausto, e ne compresi così il significato prima di conoscere la parola. Mi resi conto da che cosa eravamo stati liberati. In Italia vi sono oggi alcuni che si domandano se la Resistenza abbia avuto un reale impatto militare sul corso della guerra. Per la mia generazione la questione è irrilevante: comprendemmo immediatamente il significato morale e psicologico della Resistenza. Era motivo d’orgoglio sapere che noi europei non avevamo atteso la liberazione passivamente. Penso che anche per i giovani americani che versavano il loro tributo di sangue alla nostra libertà non era irrilevante sapere che dietro le linee c’erano europei che stavano già pagando il loro debito. In Italia c’è oggi qualcuno che dice che il mito della Resistenza era una bugia comunista. E’ vero che i comunisti hanno sfruttato la Resistenza come una proprietà personale, dal momento che vi ebbero un ruolo primario; ma io ricordo partigiani con fazzoletti di diversi colori. Appiccicato alla radio, passavo le mie notti – le finestre chiuse, e l’oscuramento generale che faceva del piccolo spazio intorno all’apparecchio l’unico alone luminoso – ascoltando i messaggi che Radio Londra trasmetteva ai partigiani. Erano al tempo stesso oscuri e poetici (“Il sole sorge ancora”, “Le rose fioriranno”), e la maggior parte erano “messaggi per la Franchi”. Qualcuno mi bisbigliò che Franchi era il capo di uno dei gruppi clandestini più potenti dell’Italia del Nord, un uomo dal coraggio leggendario. Franchi divenne il mio eroe. Franchi (il cui vero nome era Edgardo Sogno) era un monarchico, così anticomunista che dopo la guerra si unì a gruppi di estrema destra, e venne anche accusato di aver collaborato a un colpo di stato reazionario. Ma che importa? Sogno rimane ancora il sogno della mia infanzia. La liberazione fu un’impresa comune per gente di diverso colore. In Italia c’è oggi qualcuno che dice che la guerra di liberazione fu un tragico periodo di divisione, e che abbiamo ora bisogno di una riconciliazione nazionale. Il ricordo di quegli anni terribili dovrebbe venire represso. Ma la repressione provoca nevrosi. Se riconciliazione significa compassione e rispetto per tutti coloro che hanno combattuto la loro guerra in buona fede, perdonare non significa dimenticare. Posso anche ammettere che Eichmann credesse sinceramente nella sua missione, ma non mi sento di dire: “Okay, torna e fallo ancora.” Noi siamo qui per ricordare ciò che accadde e per dichiarare solennemente che “loro” non debbono farlo più. Ma chi sono “loro”? Se pensiamo ancora ai governi totalitari che dominarono l’Europa prima della seconda guerra mondiale, possiamo dire con tranquillità che sarebbe difficile vederli ritornare nella stessa forma in circostanze storiche diverse. Se il fascismo di Mussolini si fondava sull’idea di un capo carismatico, sul corporativismo, sull’utopia del “destino fatale di Roma”, su una volontà imperialistica di conquistare nuove terre, su un nazionalismo esacerbato, sull’ideale di una intera nazione irreggimentata in camicia nera, sul rifiuto della democrazia parlamentare, sull’antisemitismo, allora non ho difficoltà ad ammettere che Alleanza Nazionale, nata dal MSI, è certamente un partito di destra, ma ha poco a che fare col vecchio fascismo. Per le stesse ragioni, anche se sono preoccupato dai vari movimenti filonazisti attivi qua e là in Europa, Russia compresa, non penso che il nazismo, nella sua forma originale, stia per ricomparire come movimento che coinvolga una nazione intera. Tuttavia, anche se i regimi politici possono venire rovesciati, e le ideologie criticate e delegittimate, dietro un regime e la sua ideologia c’è sempre un modo di pensare e di sentire, una serie di abitudini culturali, una nebulosa di istinti oscuri e di insondabili pulsioni. C’è dunque ancora un altro fantasma che si aggira per l’Europa (per non parlare di altre parti del mondo)? lonesco disse una volta che “solo le parole contano e il resto sono chiacchiere”. Le abitudini linguistiche sono spesso sintomi importanti di sentimenti inespressi. Lasciatemi dunque chiedere perché non solo la Resistenza ma tutta la seconda guerra mondiale sono state definite in tutto il mondo come una lotta contro il fascismo. Se rileggete “Per chi suona la campana” di Hemingway, scoprirete che Robert Jordan identifica i suoi nemici coi fascisti, anche quando pensa ai falangisti spagnoli. Permettetemi di lasciare la parola a Franklin Delano Roosevelt: “La vittoria del popolo americano e  dei suoi alleati sarà una vittoria contro il fascismo e il vicolo cieco del dispotismo che esso rappresenta” (23 settembre 1944). Durante gli anni di McCarthy, gli americani che avevano preso parte alla guerra civile spagnola venivano chiamati “antifascisti prematuri” – intendendo con ciò che combattere Hitler negli anni quaranta era un dovere morale per ogni buon americano, ma combattere contro Franco troppo presto, negli anni trenta, era sospetto. Perché un’espressione come “Fascist pig” veniva usata dai radicali americani persino per indicare un poliziotto che non approvava quello che fumavano? Perché non dicevano: “Porco Caugolard”, “Porco falangista”, “Porco ustascia”, “Porco Quisling”, “Porco Ante Pavelic”, “Porco nazista”? Mein Kampf è il manifesto completo di un programma politico. II nazismo aveva una teoria del razzismo e dell’arianesimo, una nozione precisa della entartete Kunst, `”arte degenerata”, una filosofia della volontà di potenza e dell’ Ubermensch. Il nazismo era decisamente anticristiano e neopagano, allo stesso modo in cui il Diamat (la versione ufficiale del marxismo sovietico) di Stalin era chiaramente materialista e ateo. Se per totalitarismo si intende un regime che subordina ogni atto individuale allo stato e alla sua ideologia, allora nazismo e stalinismo erano regimi totalitari. Il fascismo fu certamente una dittatura, ma non era compiutamente totalitario, non tanto per la sua mitezza, quanto per la debolezza filosofica della sua ideologia. Al contrario di ciò che si pensa comunemente, il fascismo italiano non aveva una sua filosofia. L’articolo sul fascismo firmato da Mussolini per l’Enciclopedia Treccani fu scritto o venne fondamentalmente ispirato da Giovanni Gentile, ma rifletteva una nozione tardo-hegeliana dello “stato etico e assoluto” che Mussolini non realizzò mai completamente. Mussolini non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica. Cominciò come ateo militante, per poi firmare il concordato con la Chiesa e simpatizzare coi vescovi che benedivano i gagliardetti fascisti. Nei suoi primi anni anticlericali, secondo una plausibile leggenda, chiese una volta a Dio di fulminarlo sul posto, per provare la sua esistenza. Dio era evidentemente distratto. In anni successivi, nei suoi discorsi Mussolini citava sempre il nome di Dio e non disdegnava di farsi chiamare “l’uomo della Provvidenza”. Si può dire che il fascismo italiano sia stata la prima dittatura di destra che abbia dominato un paese europeo, e che tutti i movimenti analoghi abbiano trovato in seguito una sorta di archetipo comune nel regime di Mussolini. Il fascismo italiano fu il primo a creare una liturgia militare, un folklore, e persino un modo di vestire – riuscendo ad avere all’estero più successo di Armani, Benetton o Versace. Fu solo negli anni trenta che movimenti fascisti fecero la loro comparsa in Inghilterra, con Mosley, e in Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia, Iugoslavia, Spagna, Portogallo, Norvegia, e persino in America del Sud, per non parlare della Germania. Fu il fascismo italiano a convincere molti leader liberali europei che il nuovo regime stesse attuando interessanti riforme sociali in grado di fornire una alternativa moderatamente rivoluzionaria alla minaccia comunista Tuttavia, la priorità storica non mi sembra una ragione sufficiente per spiegare perché la parola “fascismo” divenne una sineddoche, una denominazione pars pro toto per movimenti totalitari diversi. Non serve dire che il fascismo conteneva in sé tutti gli elementi dei totalitarismi successivi, per così dire, “in stato quintessenziale”. Al contrario, il fascismo non possedeva alcuna quintessenza, e neppure una singola essenza. Il fascismo era un totalitarismo fuzzy (1) .

    Il fascismo non era una ideologia monolitica, ma piuttosto un collage di diverse idee politiche e filosofiche, un alveare di contraddizioni. Si può forse concepire un movimento totalitario che riesca a mettere insieme monarchia e rivoluzione, esercito regio e milizia personale di Mussolini, i privilegi concessi alla Chiesa e una educazione statale che esaltava la violenza, il controllo assoluto e il libero mercato? Il partito fascista era nato proclamando il suo nuovo ordine rivoluzionario ma era finanziato dai proprietari terrieri più conservatori, che si aspettavano una controrivoluzione. Il fascismo degli inizi era repubblicano e sopravvisse per vent’anni proclamando la sua lealtà alla famiglia reale, permettendo a un “duce” di tirare avanti sottobraccio a un “re” cui offerse anche il titolo di “imperatore”. Ma quando nel 1943 il re licenziò Mussolini, il partito riapparve due mesi dopo, con l’aiuto dei tedeschi, sotto la bandiera di una repubblica “sociale”, riciclando la sua vecchia partitura rivoluzionaria, arricchita di accentuazioni quasi giacobine. Ci fu una sola architettura nazista, e una sola arte nazista. Se l’architetto nazista era Albert Speer, non c’era posto per Mies van der Rohe. Allo stesso modo, sotto Stalin, se Lamarck aveva ragione non c’era posto per Darwin. Al contrario, vi furono certamente degli architetti fascisti, ma accanto ai loro pseudocolossei sorsero anche dei nuovi edifici ispirati al moderno razionalismo di Gropius. Non ci fu uno Zdanov fascista. In Italia ci furono due importanti premi artistici: il Premio Cremona era controllato da un fascista incolto e fanatico come Farinacci, che incoraggiava un’arte propagandistica (mi ricordo di quadri intitolati Ascoltando alla radio un discorso del Duce o Stati mentali creati dal Fascismo); e il Premio Bergamo, sponsorizzato da un fascista colto e ragionevolmente tollerante come Bottai, che proteggeva l’arte per l’arte e le nuove esperienze dell’arte d’avanguardia che in Germania erano state bandite come corrotte e criptocomuniste, contrarie al Kitsch nibelungico, il solo ammesso. Il poeta nazionale era D’Annunzio, un dandy che in Germania o in Russia sarebbe stato mandato davanti al plotone d’esecuzione. Venne assunto al rango di Vate del regime per il suo nazionalismo e il suo culto dell’eroismo – con l’aggiunta di forti dosi di decadentismo francese. Prendiamo il futurismo. Avrebbe dovuto essere considerato un esempio di entartete Kunst, così come l’espressionismo, il cubismo, il surrealismo. Ma i primi futuristi italiani erano nazionalisti, favorirono per ragioni estetiche la partecipazione italiana alla prima guerra mondiale, celebrarono la velocità, la violenza, il rischio, e in certo modo questi aspetti sembrarono vicini al culto fascista della gioventù. Quando il fascismo si identificò con l’impero romano e riscoprì le tradizioni rurali, Marinetti (che proclamava una automobile più bella della Vittoria di Samotracia e voleva persino uccidere il chiaro di luna) venne nominato membro dell’Accademia d’Italia, che trattava il chiaro di luna con grande rispetto. Molti dei futuri partigiani, e dei futuri intellettuali del Partito Comunista, vennero educati dal GUF, l’associazione fascista degli studenti universitari, che doveva essere la culla della nuova cultura fascista. Questi club divennero una sorta di calderone intellettuale in cui le nuove idee circolavano senza nessun reale controllo ideologico, non tanto perché gli uomini di partito fossero tolleranti, quanto perché pochi di loro possedevano gli strumenti intellettuali per controllarle. Nel corso di quel ventennio, la poesia degli ermetici rappresentò una reazione allo stile pomposo del regime: a questi poeti venne permesso di elaborare la loro protesta letteraria dall’interno della torre d’avorio. Il sentire degli ermetici era esattamente il contrario del culto fascista dell’ottimismo e dell’eroismo. Il regime tollerava questo dissenso palese, anche se socialmente impercettibile, perché non prestava sufficiente attenzione a un gergo così oscuro. Il che non significa che il fascismo italiano fosse tollerante. Gramsci venne messo in prigione fino alla morte, Matteotti e i fratelli Rosselli vennero assassinati, la libera stampa soppressa, i sindacati smantellati, i dissidenti politici confinati su isole remote, il potere legislativo divenne una mera finzione e quello esecutivo (che controllava il giudiziario, come pure i mass media) emanava direttamente le nuove leggi, tra le quali vi furono anche quelle per la difesa della razza (l’appoggio formale italiano all’Olocausto). L’immagine incoerente che ho descritto non era dovuta a tolleranza: era un esempio di sgangheratezza politica e ideologica. Ma era una “sgangheratezza ordinata”, una confusione strutturata. Il fascismo era filosoficamente scardinato, ma dal punto di vista emotivo era fermamente incernierato ad alcuni archetipi. Siamo ora giunti al secondo punto della mia tesi. Ci fu un solo nazismo, e non possiamo chiamare “nazismo” il falangismo ipercattolico di Franco, dal momento che il nazismo è fondamentalmente pagano, politeistico e anticristiano, o non è nazismo. Al contrario, si può giocare al fascismo in molti modi, e il nome del gioco non cambia. Succede alla nozione di “fascismo” quel che, secondo Wittgenstein, accade alla nozione di “gioco”. Un gioco può essere o non essere competitivo, può interessare una o più persone, può richiedere qualche particolare abilità o nessuna, può mettere in palio del danaro, o no. I giochi sono una serie di attività diverse che mostrano solo una qualche “somiglianza di famiglia”.

      1             2            3            4

    abc        bcd        cde        def

    Supponiamo che esista una serie di gruppi politici. Il gruppo 1 è caratterizzato dagli aspetti abc, il gruppo 2 da quelli bcd, e così via. 2 è simile a 1 in quanto hanno due aspetti in comune. 3 è simile a 2 e 4 è simile a 3 per la stessa ragione. Si noti che 3 è anche simile a 1 (hanno in comune l’aspetto c). Il caso più curioso è dato da 4, ovviamente simile a 3 e a 2, ma senza nessuna caratteristica in comune con 1. Tuttavia, a ragione della ininterrotta serie di decrescenti similarità tra 1 e 4, rimane, per una sorta di transitività illusoria, un’aria di famiglia tra 4 e 1. Il termine “fascismo” si adatta a tutto perché è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, e lo si potrà sempre riconoscere per fascista. Togliete al fascismo l’imperialismo e avrete Franco o Salazar; togliete il colonialismo e avrete il fascismo balcanico. Aggiungete al fascismo italiano un anticapitalismo radicale (che non affascinò mai Mussolini) e avrete Ezra Pound. Aggiungete il culto della mitologia celtica e il misticismo del Graal (completamente estraneo al fascismo ufficiale) e avrete uno dei più rispettati guru fascisti, Julius Evola. A dispetto di questa confusione, ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare “Ur-Fascismo” (2), o il “fascismo eterno”. Tali caratteristiche non possono venire irreggimentate in un sistema; molte si contraddicono reciprocamente, e sono tipiche di altre forme di dispotismo o di fanatismo. Ma è sufficiente che una di loro sia presente per far coagulare una nebulosa fascista.

    1. La prima caratteristica di un Ur-Fascismo è il culto della tradizione. Il tradizionalismo è più vecchio del fascismo. Non fu solo tipico del pensiero controrivoluzionario cattolico dopo la Rivoluzione Francese, ma nacque nella tarda età ellenistica come una reazione al razionalismo greco classico. Nel bacino del Mediterraneo, i popoli di religioni diverse (tutte accettate con indulgenza dal Pantheon romano) cominciarono a sognare una rivelazione ricevuta all’alba della storia umana. Questa rivelazione era rimasta a lungo nascosta sotto il velo di lingue ormai dimenticate. Era affidata ai geroglifici egiziani, alle rune dei celti, ai testi sacri, ancora sconosciuti, delle religioni asiatiche. Questa nuova cultura doveva essere sincretistica. “Sincretismo” non è solo, come indicano i dizionari, la combinazione di forme diverse di credenze o pratiche. Una simile combinazione deve tollerare le contraddizioni. Tutti i messaggi originali contengono un germe di saggezza e quando sembrano dire cose diverse o incompatibili è solo perché tutti alludono, allegoricamente, a qualche verità primitiva. Come conseguenza, non ci può essere avanzamento del sapere. La verità è stata già annunciata una volta per tutte, e noi possiamo solo continuare a interpretare il suo oscuro messaggio. E’ sufficiente guardare il sillabo di ogni movimento fascista per trovare i principali pensatori tradizionalisti. La gnosi nazista si nutriva di elementi tradizionalisti, sincretistici, occulti. La più importante fonte teoretica della nuova destra italiana, Julius Evola, mescolava il Graal con i Protocolli dei Savi di Sion, l’alchimia con il Sacro Romano Impero. Il fatto stesso che per mostrare la sua apertura mentale una parte della destra italiana abbia recentemente ampliato il suo sillabo mettendo insieme De Maistre, Guenon e Gramsci è una prova lampante di sincretismo. Se curiosate tra gli scaffali che nelle librerie americane portano l’indicazione “New Age”, troverete persino Sant’Agostino, il quale, per quanto ne sappia, non era fascista. Ma il fatto stesso di mettere insieme Sant’Agostino e Stonehenge, questo è un sintomo di Ur-Fascismo.

    2. Il tradizionalismo implica il rifiuto del modernismo. Sia i fascisti che i nazisti adoravano la tecnologia, mentre i pensatori tradizionalisti di solito rifiutano la tecnologia come negazione dei valori spirituali tradizionali. Tuttavia, sebbene il nazismo fosse fiero dei suoi successi industriali, la sua lode della (6) modernità era solo l’aspetto superficiale di una ideologia basata sul “sangue” e la “terra” (Blut und Boden). Il rifiuto del mondo moderno era camuffato come condanna del modo di vita capitalistico, ma riguardava principalmente il rigetto dello spirito del 1789 (o del 1776, ovviamente). L’illuminismo, l’età della Ragione vengono visti come l’inizio della depravazione moderna. In questo senso, l’Ur-Fascismo può venire definito come “irrazionalismo”.

    3. L’irrazionalismo dipende anche dal culto dell azione per l’azione. L’azione è bella di per sé, e dunque deve essere attuata prima di e senza una qualunque riflessione. Pensare è una forma di evirazione. Perciò la cultura è sospetta nella misura in cui viene identificata con atteggiamenti critici. Dalla dichiarazione attribuita a Goebbels (“Quando sento parlare di cultura, estraggo la mia pistola”) all’uso frequente di espressioni quali “Porci intellettuali”, “Teste d’uovo”, “Snob radicali”, “Le università sono un covo di comunisti”, il sospetto verso il mondo intellettuale è sempre stato un sintomo di Ur-Fascismo. Gli intellettuali fascisti ufficiali, erano principalmente impegnati nell’accusare la cultura moderna e l’intellighenzia liberale di aver abbandonato i valori tradizionali.

    4. Nessuna forma di sincretismo può accettare la critica. Lo spirito critico opera distinzioni, e distinguere è un segno di modernità. Nella cultura moderna, la comunità scientifica intende il disaccordo come strumento di avanzamento delle conoscenze. Per l’Ur-Fascismo, il disaccordo è tradimento.

    5. Il disaccordo è inoltre un segno di diversità. L’UrFascismo cresce e cerca il consenso sfruttando ed esacerbando la naturale paura della differenza. Il primo appello di un movimento fascista o prematuramente fascista è contro gli intrusi. L’Ur-Fascismo è dunque razzista per definizione.

    6. L’Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale. Il che spiega perché una delle caratteristiche tipiche dei fascismi storici è stato l’appello alle classi medie frustrate, a disagio per qualche crisi economica o umiliazione politica, spaventate dalla pressione dei gruppi sociali subalterni. Nel nostro tempo, in cui i vecchi “proletari” stanno diventando piccola borghesia (e i Lumpen si autoescludono dalla scena politica), il fascismo troverà in questa nuova maggioranza il suo uditorio.

    7. A coloro che sono privi di una qualunque identità sociale, l’Ur-Fascismo dice che il loro unico privilegio è il più comune di tutti, quello di essere nati nello stesso paese. E’ questa l’origine del `nazionalismo’: Inoltre, gli unici che possono fornire una identità alla nazione sono i nemici. Così, alla radice della psicologia Ur-Fascista vi è l’ossessione del complotto, possibilmente internazionale. I seguaci debbono sentirsi assediati. Il modo più facile per far emergere un complotto è quello di fare appello alla xenofobia. Ma il complotto deve venire anche dall’interno: gli ebrei sono di solito l’obiettivo migliore, in quanto presentano il vantaggio di essere al tempo stesso dentro e fuori. In America, ultimo esempio dell’ossessione del complotto è rappresentato dal libro The New World Order di Pat Robertson.

    8. I seguaci debbono sentirsi umiliati dalla ricchezza ostentata e dalla forza dei nemici. Quando ero bambino mi insegnavano che gli inglesi erano il “popolo dei cinque pasti”: mangiavano più spesso degli italiani, poveri ma sobri. Gli ebrei sono ricchi e si aiutano l’un l’altro grazie a una rete segreta di mutua assistenza. I seguaci debbono tuttavia essere convinti di poter sconfiggere i nemici. Così, grazie a un continuo spostamento di registro retorico, i nemici sono al tempo stesso troppo forti e troppo deboli. I fascismi sono condannati a perdere le loro guerre, perché sono costituzionalmente incapaci di valutare con obiettività la forza del nemico.

    9. Per l’Ur-Fascismo non c’è lotta per la vita, ma piuttosto “vita per la lotta”. Il pacifismo è allora collusione col nemico; il pacifismo è cattivo perché la vita è una guerra permanente. Questo tuttavia porta con sé un complesso di Armageddon: dal momento che i nemici debbono e possono essere sconfitti, ci dovrà essere una battaglia finale, a seguito della quale il movimento avrà il controllo del mondo. Una simile soluzione finale implica una successiva era di pace, un’età dell’Oro che contraddice il principio della guerra permanente. Nessun leader fascista è mai riuscito a risolvere questa contraddizione.

    10. L’elitismo è un aspetto tipico di ogni ideologia reazionaria, in quanto fondamentalmente aristocratico. Nel corso della storia, tutti gli elitismi aristocratici e militaristici hanno implicato il disprezzo per i deboli. L’Ur-Fascismo non può fare a meno di predicare un “elitismo popolare”. Ogni cittadino appartiene al popolo migliore del mondo, i membri del partito sono i cittadini migliori, ogni cittadino può (o dovrebbe) diventare un membro del partito. Ma non possono esserci patrizi senza plebei. Il leader, che sa bene come il suo potere non sia stato ottenuto per delega, ma conquistato con la forza, sa anche che la sua forza si basa sulla debolezza delle masse, così deboli da aver bisogno e da meritare un “dominatore”. Dal momento che il gruppo è organizzato gerarchicamente (secondo un modello militare), ogni leader subordinato disprezza i suoi subalterni, e ognuno di loro disprezza i suoi sottoposti. Tutto ciò rinforza il senso di un elitismo di massa.

    11. In questa prospettiva, ciascuno è educato per diventare un eroe. In ogni mitologia “eroe” è un essere eccezionale, ma nell’ideologia Ur-Fascista l’eroismo è la norma. Questo culto dell’eroismo è strettamente legato al culto della morte: non a caso il motto dei falangisti era: “Viva la muerte” . Alla gente normale si dice che la morte è spiacevole ma bisogna affrontarla con dignità; ai credenti si dice che è un modo doloroso per raggiungere una felicità soprannaturale. L’eroe Ur-Fascista, invece, aspira alla morte, annunciata come la migliore ricompensa per una vita eroica. L’eroe Ur-Fascista è impaziente di morire. Nella sua impazienza, va detto in nota, gli riesce più di frequente far morire gli altri.

    12. Dal momento che sia la guerra permanente sia l’eroismo sono giochi difficili da giocare, l’UrFascista trasferisce la sua volontà di potenza su questioni sessuali. È questa l’origine del machismo (che implica disdegno per le donne e una condanna intollerante per abitudini sessuali non conformiste, dalla castità all’omosessualità). Dal momento che anche il sesso è un fioco difficile da giocare, l’eroe UrFascista gioca con armi, che sono il suo Ersatz fallico: i suoi giochi di guerra sono dovuti a una invidia penis permanente.

    13. L’Ur-Fascismo si basa su un “populismo qualitativo” : In una democrazia i cittadini godono di diritti individuali, ma l’insieme dei cittadini è dotato di un impatto politico solo dal punto di vista quantitativo (si seguono le decisioni della maggioranza). Per l’UrFascismo gli individui in quanto individui non hanno diritti, e il “popolo” è concepito come una qualità, un’entità monolitica che esprime la “volontà comune”. Dal momento che nessuna quantità di esseri umani può possedere una volontà comune, il leader pretende di essere il loro interprete. Avendo perduto il loro potere di delega, i cittadini non agiscono, sono solo chiamati pars pro toto, a giocare il ruolo del popolo. Il popolo è così solo una finzione teatrale. Per avere un buon esempio di populismo qualitativo, non abbiamo più bisogno di Piazza Venezia o dello stadio di Norimberga. Nel nostro futuro si profila un populismo qualitativo Tv o Internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentata e accettata come la “voce del popolo”. A ragione del suo populismo qualitativo, l’Ur-Fascismo deve opporsi ai `putridi” governi parlamentari. Una delle prime frasi pronunciate da Mussolini nel parlamento italiano fu: “Avrei potuto trasformare quest’aula sorda e grigia in un bivacco per i miei manipoli.” Di fatto, trovò immediatamente un alloggio migliore per i suoi manipoli, ma poco dopo liquidò il parlamento. Ogni qual volta un politico getta dubbi sulla legittimità del parlamento perché non rappresenta più la “voce del popolo”, possiamo sentire l’odore di Ur-Fascismo.

    14. L’Ur-Fascismo parla la “neolingua”. La “neolingua” venne inventata da Orwell in 1984, come la lingua ufficiale dell’Ingsoc, il Socialismo Inglese, ma elementi di Ur-Fascismo sono comuni a forme diverse di dittatura. Tutti i testi scolastici nazisti o fascisti si basavano su un lessico povero e su una sintassi elementare, al fine di limitare gli strumenti per il ragionamento complesso e critico. Ma dobbiamo essere pronti a identificare altre forme di neolingua, anche quando prendono la forma innocente di un popolare talkshow.

    Dopo aver indicato i possibili archetipi dell’Ur-Fascismo, mi sia concesso di concludere. Il mattino del 27 luglio del 1943 mi fu detto che, secondo delle informazioni lette alla radio, il fascismo era crollato e che Mussolini era stato arrestato. Mia madre mi mandò a comperare il giornale. Andai al chiosco più vicino e vidi che i giornali c’erano, ma i nomi erano diversi. Inoltre, dopo una breve occhiata ai titoli, mi resi conto che ogni giornale diceva cose diverse. Ne comperai uno, a caso, e lessi un messaggio stampato in prima pagina, firmato da cinque o sei partiti politici, come Democrazia Cristiana, Partito Comunista, Partito Socialista, Partito d’Azione, Partito Liberale. Fino a quel momento avevo creduto che vi fosse un solo partito in ogni paese, e che in Italia ci fosse solo il Partito Nazionale Fascista. Stavo scoprendo che nel mio paese ci potevano essere diversi partiti allo stesso tempo. Non solo: dal momento che ero un ragazzo sveglio, mi resi subito conto che era impossibile che tanti partiti fossero sorti da un giorno all’altro. Capii così che esistevano già come organizzazioni clandestine. Il messaggio celebrava la fine della dittatura e il ritorno della libertà: libertà di parola, di stampa, di associazione politica. Queste parole, “libertà”, “dittatura” – Dio mio – era la prima volta in vita mia che le leggevo. In virtù di queste nuove parole ero rinato uomo libero occidentale. Dobbiamo stare attenti che il senso di queste parole non si dimentichi ancora. L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!” Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo. Do ancora la parola a Roosevelt: “Oso dire che se la democrazia americana cessasse di progredire come una forza viva, cercando giorno e notte con mezzi pacifici, di migliorare le condizioni dei nostri cittadini, la forza del fascismo crescerà nel nostro paese” (4 novembre 1938). Libertà e liberazione sono un compito che non finisce mai. Che sia questo il nostro motto: “Non dimenticate”. E permettetemi di finire con una poesia di Franco Fortini:

    Sulla spalletta del ponte Le teste degli impiccati

    Nell’acqua della fonte La bava degli impiccati

    Sul lastrico del mercato Le unghie dei fucilati

    Sull’erba secca del prato I denti dei fucilati

    Mordere l’aria mordere i sassi La nostra carne non è più d’uomini

    Mordere l’aria mordere i sassi Il nostro cuore non è più d’uomini

    Ma noi s’è letto negli occhi dei morti E sulla terra faremo libertà

    Ma l’hanno stretta í pugni dei morti La giustizia che si farà.

    (1) Usato attualmente in logica per indicare insiemi “sfumati”, dai contorni imprecisi, il termine fuzzy potrebbe essere tradotto come “sfumato”, “confuso”, “impreciso”, “sfocato”.

    (2) Ur-Fascismo, o “fascismo eterno”, ossia il fascismo nella sua intima essenza. Il prefisso “Ur-” viene dal tedesco ed è utilizzato per indicare la variante primigenia del concetto a cui si accompagna, la sua versione archetipica. Ur-Fascismo è quindi un idealtipo, un insieme di elementi che in numero variabile sono rintracciabili nelle diverse forme di fascismo instaurate in molte parti del mondo nel XX secolo.

     
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    Qui sotto, la critica del giornalista

    Mario Bernardi Guardi

    con un “non tanto velato” attacco personale.

    http://tabularasa.altervista.org/1995/4_guardi.htm

  • Fine dei giochi per Vladimir Putin?

    Fine dei giochi per Vladimir Putin?

    Pubblicato il 21 gennaio
    di Mattia Bernardo Bagnoli
    ANSA Magazine
    aMag #66


    Russia 2016

    Fine dei giochi per Vladimir Putin?
    Il 2015 è stato l’anno in cui la Russia è tornata alla ribalta sul grande scacchiere internazionale, contribuendo allo storico accordo sul programma nucleare iraniano e aprendo il “fronte siriano”. Ora, però, il crollo del petrolio rischia di far saltare i conti pubblici. E mentre il governo corre ai ripari lavorando a una spending review lacrime e sangue, a rischiare di più è il piano strategico di apertura a oriente varato dal Cremlino.
    «Bisogna essere onesti, l’era del petrolio è finita e la Russia ha perso la sfida con i propri competitor». È il pomeriggio inoltrato di venerdì 15 gennaio e il Gaidar Forum – la Cernobbio russa, tanto per capirci – si avvia alla conclusione. German Gref si ferma a parlare coi giornalisti e le sue parole rotolano pesanti sui block-notes come massi. Questo cinquantenne di origine tedesca, nato in Kazakistan da una famiglia di deportati, non è un professorone qualunque, esperto di tutto ma responsabile di niente, come molti speaker del Forum. È l’amministratore delegato della Sberbank, la prima banca russa (di Stato), e già ministro allo Sviluppo Economico per 7 anni. Insieme ad Alexei Kudrin è considerato – nel bene e nel male – l’artefice della trasformazione economica della Russia dell’epoca Putin. Insomma, è un uomo del sistema – un sistema che da quando il petrolio ha iniziato la sua picchiata rischia parecchio.

    L’anno nuovo ha infatti portato in dono una sfilza di numeri (negativi) da cardiopalma. «Il bilancio pubblico, così come è concepito, è sostenibile con i prezzi del petrolio a 82 dollari al barile», ha spiegato il ministro delle Finanze Anton Sliuanov. Per il 2016, invece, è stato approntato un budget d’emergenza ipotizzando un prezzo medio di 50 dollari. Peccato che l’oro nero viaggia sotto i 30. Stando così le cose, è emergenza nell’emergenza. Il Cremlino ha ordinato degli stress test tenendo presente tre scenari: inferno (25 dollari), purgatorio (35 dollari) e paradiso – si fa per dire – col prezzo del barile fisso a 45 dollari. Il che consentirebbe di considerare più o meno valido il piano attuale.

    Il rublo però è in caduta libera e ha fatto segnare il minimo storico sia nei confronti dell’euro che del dollaro. L’inflazione galoppa al 12,5%. I salari scendono e la qualità della vita peggiora. I fondi di riserva (la Russia ha due fondi sovrani accumulati negli anni di vacche grasse) iniziano ad essere intaccati e se le cose non cambiano potrebbero esaurirsi nel giro di due anni. Tanto che la Banca Centrale ha raccomandato di spingere sul deficit (fino a un tetto massimo di debito pubblico del 25-30% del Pil) pur di preservarli. Ma a quali tassi?

    Comunque vadano le cose, insomma, nel futuro della Russia s’intravede una sola soluzione: tagli. Pesantissimi. E il rischio non è tanto – o meglio, non solo – di ridurre al lumicino le spese correnti, andando così a erodere il tesoretto di popolarità che circonda lo “zar” Vladimir Putin (e in questo senso le proteste per la spending review sul welfare sono già iniziate). No. Ad essere in bilico è soprattutto il piano di sviluppo che il presidente ha in mente per il futuro del Paese: guardare a Oriente.

    Tornando a Gref. Secondo lui la differenza, in termini di ricchezza, fra chi ce la farà a vincere la sfida dell’economia dei saperi e chi resterà confinato nella serie b dello sviluppo, quella dei paesi «downshifter», che si arrangiano, sarà «superiore a quella registrata durante la rivoluzione industriale». Ma, appunto, per il guru dell’economia russa quella sfida è ormai bella che persa. O forse no? Forse il suo grido d’allarme serve per spronare il presidente a non cedere alle sirene e a procedere dritto senza indugi sulla via della modernizzazione, persino fuori tempo massimo.

    Lo zar un piano in testa ce l’ha.
    Ma forse è troppo tardi.

  • Democrazia malata, parla Bauman

    Democrazia malata, parla Bauman

    Democrazia malata, parla Bauman

    Internet non ne è la causa, ne è solo un veicolo. Oggi i vecchi strumenti non funzionano più ma quelli nuovi non ci sono ancora. Intervista al teorico della “società liquida”

    Zygmunt Bauman, il grande sociologo teorico della “società liquida”, di recente ha riservato molte riflessioni a Internet, in particolare ai social media accusati di creare l’illusione di una rete affettiva in realtà inesistente. Parte quindi da questi temi la conversazione de “l’Espresso” con Bauman per allargarsi però all’attualità politica, dai cosiddetti “partiti antisistema” europei alle primarie americane.

    Professor Bauman, la sua è una critica esistenzialista alla Rete?

    «Internet rende possibili cose che prima erano impossibili. Potenzialmente, dà a tutti un comodo accesso a una sterminata quantità di informazioni: oggi abbiamo il mondo a portata di un dito. In più la Rete permette a chiunque di pubblicare un suo pensiero senza chiedere il permesso a nessuno: ciascuno è editore di se stesso, una cosa impensabile fino a pochi anni fa. Ma tutto questo — la facilità, la rapidità, la disintermediazione — porta con sé anche dei problemi. Ad esempio, quando lei esce di casa e si trova per strada, in un bar o su un autobus, interagisce volente o nolente con le persone più diverse, quelle che le piacciono e quelle che non le piacciono, quelle che la pensano come lei e quelle che la pensano in modo diverso: non può evitare il contatto e la contaminazione, è esposto alla necessità di affrontare la complessità del mondo. La complessità spesso non e un’esperienza piacevole e costringe a uno sforzo. Internet è il contrario: ti permette di non vedere e non incontrare chiunque sia diverso da te.

    Ecco perché la Rete è allo stesso tempo una medicina contro la solitudine — ci si sente connessi con il mondo — e un luogo di “confortevole solitudine”, dove ciascuno è chiuso nel suo network da cui può escludere chi è diverso ed eliminare tutto ciò che è meno piacevole».

    Ci sono però interi movimenti politici che sono nati dalla Rete o si sono diffusi grazie a essa. Le primavere arabe, ad esempio, ma anche Podemos in Spagna e il Movimento 5 Stelle in Italia…

    «È una questione ricca di ambivalenze. In generale però le ricerche sociali mostrano che la maggior parte delle persone usa Internet non per aprire la propria visione ma per chiudersi dietro degli steccati, per costruire delle “comfort zone”. Un po’ come quei quartieri fuori città circondati da cancelli, da guardie armate e da telecamere a circuito chiuso, dove le persone vivono in una sorta di mondo immaginario, senza controversie, senza conflitti, senza esporsi alle differenze. Poi, certo, grazie alla Rete oggi puoi convincere le persone del tuo network ad andare in piazza a manifestare contro qualcosa o qualcuno, ma l’incidenza sul reale di queste mobilitazioni nate nelle “comfort zone” è un altro discorso. Lei ad esempio mi citava le primavere arabe: non mi sembra che abbiano mai portato a un’estate».

    Quindi secondo lei non c’è un collegamento tra la diffusione della Rete e la protesta antisistema?

    «Certo che c’è, ma Internet non ne è la causa, ne è solo un veicolo. Le cause delle proteste antisistema vanno cercate invece nella crisi di fiducia verso la democrazia. E questa a sua volta deriva dal fatto che viviamo in un pianeta globalizzato e con una grandissima interdipendenza, ma gli strumenti che abbiamo a disposizione per gestire questa nuova condizione sono quelli ereditati dai nostri nonni e propri dello Stato nazionale: quando cioè una decisione presa in una capitale aveva realizzazione nel territorio di quel Paese e non valeva cinque centimetri più in là.

    Adesso invece l’interdipendenza è mondiale e gli Stati nazionali sono incapaci di gestirla.

    Così oggi i governi sono sotto una doppia pressione: da un lato devono rispondere agli elettori, i quali pretendono che i politici realizzino ciò per cui li hanno votati; dall’altra parte, la realtà globale interdipendente — i mercati, le borse, la finanza e altri poteri mai eletti da nessuno — impediscono che questi impegni vengano mantenuti. La crisi di fiducia nasce da questa doppia pressione. Sentiamo tutti che ormai le democrazie non funzionano, ma non sappiamo come aggiustarle o con che cosa rimpiazzarle».

    Di qui nascono i movimenti antisistema?

    «Direi piuttosto che da qui nascono i sentimenti antisistema: attenzione a parlare di movimenti. Che sono un concetto sociologico, mentre il sentimento è un concetto psicologico».

    E questi sentimenti non si traducono in movimenti?

    «Le persone si scambiano reazioni emotive sui social network e magari da lì si organizzano per andare in piazza a protestare. Gridano tutti gli stessi slogan, ma in realtà ciascuno ha interessi diversi e aspettative deluse diverse. Poi si torna a casa contenti della fratellanza con gli altri che si è creata in piazza, ma è una solidarietà falsa.

    Io la chiamo “carnival solidarity” perché mi ricorda appunto quegli eventi in cui per quattro o cinque giorni ci si mette la maschera, si canta e si balla insieme, fuoriuscendo per un tempo definito dall’ordine delle cose.

    Ecco, quelle proteste consentono l’esplosione collettiva di problemi diversi e istanze individuali per un arco di tempo breve, come a carnevale, ma la rabbia non si trasforma in un cambiamento condiviso».

    Alcuni partiti che quanto meno incanalano questi sentimenti però esistono, seppur molto diversi tra loro. Cosa ne pensa?

    «Si trovano anche loro di fronte alla crisi della democrazia di cui abbiamo parlato. E a questa crisi rispondono chi provando a rafforzare la democrazia, chi invece proponendo un “uomo forte” o qualche forma di fondamentalismo politico-religioso. Del resto, se le democrazie non riescono a realizzare le aspettative, non è strano che si cerchi qualcuno a cui attribuire una funzione salvifica, l’uomo “di polso” che sembra in grado di realizzare ciò che le democrazie non sanno mantenere. Un esempio recente è Donald Trump: oggi molti elettori americani possono restare sedotti da chi attacca le istituzioni democratiche e ne deride le rappresentanze. In più il miliardario Trump rappresenta il trasferimento dei consensi dalla leadership al management: dove la leadership è la capacita di fare le cose giuste, “to do right things”, mentre il management è semplicemente la capacità di fare le cose bene, “to do things right”. C’è una grande differenza».

    Questo crollo di fiducia verso la democrazia spiega anche la caratteristica “populista” che viene spesso attribuita ai movimenti antisistema? E lei è d’accordo con questa definizione?

    «“Populisti” in politica sono sempre gli altri, gli avversari. In realtà ogni buon partito dovrebbe essere “populista”, cioè ascoltare cosa pensano e cosa chiedono le persone ordinarie, i semplici cittadini. Invece nel dibattito pubblico la parola viene usata in senso dispregiativo.

    No, non sono preoccupato per la presunta minaccia del “populismo”, ma per la possibile risposta autoritaria alla crisi della democrazia».

    Ma perché in alcuni Paesi la protesta antisistema si è declinata a destra, come in Francia, e in altri a sinistra, come in Spagna?

    «Perché siamo in un interregno, per citare Gramsci quando diceva che “se il vecchio muore e il nuovo non nasce, in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”.

    Oggi i vecchi strumenti non funzionano più ma quelli nuovi non ci sono ancora.

    Destra e sinistra erano concetti pieni di significato fino a pochi decenni fa, ma lo sono molto meno nella complessità policentrica del presente».

    In che cosa consiste questa complessità policentrica?

    «Dopo la caduta del Muro di Berlino, alcuni pensatori ipotizzarono la fine della storia, la conclusione del conflitto politico all’interno di un pacifico e definitivo sistema liberal-capitalistico. Si sbagliavano. Il pianeta è molto più diviso e conflittuale di prima, pieno di scontri locali più difficili da capire rispetto a quelli che opponevano tra loro i due blocchi: pensi solo a quello che sta succedendo in Asia centrale, dove arabi musulmani uccidono altri arabi musulmani. Ecco, questo policentrismo complesso sta anche nella politica, dove si intrecciano istanze scollegate tra loro, spesso difficili definire come “di destra” o “di sinistra”. Prima il confronto era tra conservatori e progressisti, tra chi voleva una società basata sul profitto e chi sulla cooperazione: oggi i conflitti sono anche maggiori, ma meno semplici e meno netti».

    Quindi anche quegli apparenti segnali di “ritorno alla sinistra” come Jeremy Corbyn nel Regno Unito o Bernie Sanders negli Stati Uniti sono solo effetti ottici?

    «Sanders rappresenta un fenomeno nuovo e interessante, ma ci sono Paesi in cui la sinistra non esiste più, come nell’est europeo. In generale, il problema contemporaneo della sinistra è la sua “constituency”, il suo blocco elettorale. Una volta era la classe dei lavoratori, che la sinistra difendeva. Oggi però, con i capitali che si muovono in fretta da un paese all’altro, anche gli strumenti con cui prima si tutelavano gli interessi delle classi più basse sono tra quelli che non funzionano più, a iniziare dagli scioperi: se i lavoratori incrociano le braccia, un secondo dopo il proprietario trasferisce la produzione in un Paese in via di sviluppo dove trova gente contenta di guadagnare un paio di dollari al giorno. In questo contesto, molti politici eredi della sinistra sono spaventati dall’idea di irritare le Borse, i mercati, la finanza, insomma i poteri che possono mandare gambe all’aria un Paese in un giorno. Quindi parlano d’altro: ad esempio, si autodefinisce di sinistra la parte politica favorevole ai matrimoni omosessuali. Bello, giusto, d’accordo, ma cosa c’entra con il significato della sinistra? Cosa c’entra con la giustizia sociale, che era la ragion d’essere della sinistra? Poi sì, ci sono anche altri, come Sanders, che invece vogliono rappresentare la protesta contro le leggi globali dei mercati e si candidano per sfidarle. Ne ho molto rispetto, ma non vorrei che si creassero troppe aspettative su quello che si può davvero fare con gli strumenti non più funzionanti propri dell’era dell’interregno. Altrimenti si rischia di restare delusi in fretta, come è avvenuto con Tsipras in Grecia».


    (pubblicato in origine su gilioli.blogautore.espresso.repubblica.i

  • Libere dal burqa e dall’Isis.

    Libere dal burqa e dall’Isis.

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  • Intervista a George Hornby

    Intervista a George Hornby

    «Quella delle persone con disabilità è una minoranza grande e in qualche modo riguarda (e riguarderà) ogni famiglia, quasi senza eccezione. Dunque, anche se la nostra malattia è particolare, credo che sia decisivo fare parte attivamente del gruppo più ampio di persone con disabilità.».

    “Io e George” è un docu-film sulla sclerosi multipla ospitato da Rai 3 e prodotto da Pesci Combattenti. Un racconto in sei tappe, un viaggio dal Nord al Sud dell’Italia. Protagonisti la scrittrice Simonetta Agnello Hornby e suo figlio George, diagnosticato di sclerosi multipla 13 anni fa. In onda il venerdì in seconda serata a partire dal 20 novembre. “Un’esperienza ricca di scoperte e riflessioni, nate dalla voglia di «uscire dagli schemi tranquillizzanti» e di mettersi in strada”.

    “Quando cerchiamo di ottenere inclusione sociale è meglio se ci integriamo, se ci mettiamo insieme ad altre associazioni e altre persone”

    Sì, lavoravo in una banca di investimenti. Ho fatto sia l’avvocato che l’investment banker. Il mio lavoro mi portava spesso a viaggiare all’estero, più o meno partivo una volta alla settimana. A un certo punto non riuscivo più a viaggiare così facilmente, ogni viaggio comportava una grande fatica. E allora ho smesso di lavorare.

    Cosa è cambiato, da allora?

    Quando smetti di lavorare il tuo raggio sociale diminuisce di molto, quasi senza avvertirtene. Dopo tutto, è bello non lavorare? E questo rende anche più importante potere uscire di casa e fare cose comuni, così anche qualche contatto con la società esterna si mantiene.

    Anche da voi c’è una pensione, un assegno di sostegno per le persone con disabilità?

    Sì c’è un sostegno, minimo. Io sono fortunato: avevo un’assicurazione, che era parte dei miei diritti quando lavoravo in banca: mi paga due terzi del mio stipendio e continuerà fino a quando avrò l’età della pensione. È uno stipendio a vita praticamente.

    È importante, così sei autonomo e non dipendi da nessuno…

    Senza il sostegno morale e finanziario della mia famiglia non vivrei come vivo ora. Però questa assicurazione è un aiuto notevole fino ai 60 anni, è fondamentale. Finanziariamente altrimenti sarei molto più povero e mi sentirei meno indipendente.

    Vivere bene e avere entrate adeguate è un diritto da garantire a tutti. Come si fa a passare da una garanzia individualizzata a un diritto collettivo?

    Quando cerchiamo di ottenere inclusione sociale di chi ha la sclerosi multipla o la SLA è meglio se ci integriamo in una più grande associazione di disabili: anche se non farà esattamente al caso nostro specifico, è meglio se ci mettiamo insieme ad altre associazioni e altri malati, e anche ai vecchietti, che per esempio hanno gli stessi nostri problemi di mobilità nei trasporti pubblici.

    Insieme si è più forti? Non si rischia però che poi arrivino risposte generiche quando i bisogni sono specifici?

    Ho fatto ricerche sul livello di disabilità: in Inghilterra, secondo le cifre ufficiali del Governo, il 19% della popolazione inglese è disabile e dopo i 70 anni più del 50% della popolazione diventa disabile. Quella delle persone con disabilità, dunque, è una minoranza grande e in qualche modo riguarda (e riguarderà) ogni famiglia, quasi senza eccezione. Dunque, anche se la nostra malattia è particolare, credo che sia decisivo fare parte attivamente del gruppo più ampio delle persone con disabilità. Io per esempio faccio parte di un’organizzazione londinese che si chiama “Transport for all”, che fa campagne per avere i trasporti pubblici accessibili. Questo coinvolge tutte le persone con disabilità.

    A proposito di condividere i diritti con tutti, le persone con sclerosi multipla in Italia nel 2014 hanno voluto scrivere, pubblicare e fare firmare da tutti la Carta dei Diritti delle Persone con SM. Ora siamo arrivati a più di 40 mila firme: vuoi aggiungere la tua?

    Sì, sono pronto a firmare anche io.

  • LA TEORIA DELLE FINESTRE ROTTE

    LA TEORIA DELLE FINESTRE ROTTE

    “Teoria delle finestre rotte”

    Servizio Pubblico – Gianrico Carofiglio illustra la “Teoria delle finestre rotte” from Roma fa schifo on Vimeo.

    Nel 1969, presso l’Università di Stanford (USA), il professor Philip Zimbardo ha condotto un esperimento di psicologia sociale. Lasciò due auto abbandonata in strada, due automobili identiche, la stessa marca, modello e colore. Una l’ ha lasciata nel Bronx, quindi una zona povera e conflittuale di New York ; l’altra a Palo Alto, una zona ricca e tranquilla della California. Due identiche auto abbandonate, due quartieri con popolazioni molto diverse e un team di specialisti in psicologia sociale, a studiare il comportamento delle persone in ciascun sito.

    Si è scoperto che l’automobile abbandonata nel Bronx ha cominciato ad essere smantellato in poche ore. Ha perso le ruote, il motore, specchi, la radio, ecc. Tutti i materiali che potevano essere utilizzati sono stati presi, e quelli non utilizzabili sono stati distrutti. Dall’altra parte , l’automobile abbandonata a Palo Alto, è rimasta intatta.

    È comune attribuire le cause del crimine alla povertà. Attribuzione nella quale si trovano d’accordo le ideologie più conservatrici (destra e sinistra). Tuttavia, l’esperimento in questione non finì lì: quando la vettura abbandonata nel Bronx fu demolita e quella a Palo Alto dopo una settimana era ancora illesa, i ricercatori decisero di rompere un vetro della vettura a Palo Alto, California. Il risultato fu che scoppiò lo stesso processo, come nel Bronx di New York : furto, violenza e vandalismo ridussero il veicolo nello stesso stato come era accaduto nel Bronx.

    Perchè il vetro rotto in una macchina abbandonata in un quartiere presumibilmente sicuro è in grado di provocare un processo criminale?

    Non è la povertà, ovviamente ma qualcosa che ha a che fare con la psicologia, col comportamento umano e con le relazioni sociali.

    Un vetro rotto in un’auto abbandonata trasmette un senso di deterioramento, di disinteresse, di non curanza, sensazioni di rottura dei codici di convivenza, di assenza di norme, di regole, che tutto è inutile. Ogni nuovo attacco subito dall’auto ribadisce e moltiplicare quell’idea, fino all’escalation di atti, sempre peggiori, incontrollabili, col risultato finale di una violenza irrazionale.

    In esperimenti successivi James q. Wilson e George Kelling hanno sviluppato la teoria delle finestre rotte, con la stessa conclusione da un punto di vista criminologico, che la criminalità è più alta nelle aree dove l’incuria, la sporcizia, il disordine e l’abuso sono più alti.

    Se si rompe un vetro in una finestra di un edificio e non viene riparato, saranno presto rotti tutti gli altri. Se una comunità presenta segni di deterioramento e questo è qualcosa che sembra non interessare  a nessuno, allora lì si genererà la criminalità. Se sono tollerati piccoli reati come parcheggio in luogo vietato, superamento del limite di velocità o passare col semaforo rosso, se questi piccoli “difetti” o errori non sono puniti, si svilupperanno “difetti maggiori” e poi i crimini più gravi.

    Se parchi e altri spazi pubblici sono gradualmente danneggiati e nessuno interviene, questi luoghi saranno abbandonati dalla maggior parte delle persone (che smettono di uscire dalle loro case per paura di bande) e questi stessi spazi lasciati dalla comunità, saranno progressivamente occupato dai criminali.

    Gli studiosi hanno risposto in una forma più forte ancora, dichiarando che l’incuria ed il disordine accrescono molti mali sociali e contribuiscono a far degenerare l’ambiente.

    A casa, tanto per fare un esempio, se il capofamiglia lascia degradare progressivamente la  sua casa, come la mancanza di tinteggiature alle pareti che stanno in pessime condizioni, cattive abitudini di pulizia, proliferazioni di cattive abitudine alimentari, utilizzo di parolacce, mancanza di rispetto tra i membri della famiglia, ecc, ecc, ecc. poi, anche gradualmente,  cadranno anche la qualità dei rapporti interpersonali tra i membri della famiglia ed inizieranno a crearsi cattivi rapporti con la società in generale. Forse alcuni, perfino un giorno, entreranno in carcere.

    Questa teoria delle finestre rotte può essere un’ipotesi valida a comprendere la degradazione della società e la mancanza di attaccamento ai valori universali, la mancanza di rispetto per l’altro e alle autorità (estorsione e le tangenti) , la degenerazione della società e la corruzioni  a tutti i livelli. La mancanza di istruzione e di formazione della cultura sociale, la mancanza di opportunità, generano un paese con finestre rotte, con tante finestre rotte e nessuno sembra disposto a ripararle.

    La “teoria delle finestre rotte” è stata applicata per la prima volta alla metà degli anni ottanta nella metropolitana di New York City, che era divenuto il punto più pericoloso della città. Si cominciò combattendo le piccole trasgressioni: graffiti che deterioravano il posto, lo sporco dalle stazioni, ubriachezza tra il pubblico, evasione del pagamento del biglietto, piccoli furti e disturbi. I risultati sono stati evidenti: a partire della correzione delle piccole trasgressioni si è riusciti a fare della Metro un luogo sicuro.

    Successivamente, nel 1994, Rudolph Giuliani, sindaco di New York, basandosi sulla teoria delle finestre rotte e l’esperienza della metropolitana, ha promosso una politica di tolleranza zero. La strategia era quella di creare comunità pulite ed ordinate, non permettendo violazioni alle leggi e agli standard della convivenza sociale e civile. Il risultato pratico è stato un enorme abbattimento di tutti i tassi di criminalità a New York City.

    La frase “tolleranza zero” suona come una sorta di soluzione autoritaria e repressiva, ma il concetto principale è più prevenzione e promozione di condizioni sociali di sicurezza. Non è questione di  violenza ai trasgressori, né manifestazione di arroganza da parte della polizia. Infatti, anche in materia di abuso di autorità, dovrebbe valere la tolleranza zero. Non è tolleranza zero nei confronti della persona cher commette il reato, ma è tolleranza zero di fronte al reato stesso. L’idea è di creare delle comunità pulite, ordinate, rispettose della legge e delle regolei che sono alla base della convivenza  umana in modo civile e socialmente accettabile.

    È bene di tornare a leggere questa teoria e di diffonderla .

    La soluzione a questo problema io non c’è l’ho, caro lettore, ma io ho iniziato a riparare le finestre della mia casa, sto cercando di migliorare le abitudini alimentari della mia famiglia, ho chiesto a tutti i membri della famiglia di evitare di dire parolacce, sopratutto davanti ai nostri figli, inoltre abbiamo deciso di non mentire, di evitare persino le piccole bugie, perché non c’è nessuna piccole bugie,la bugia non è grande o piccola, UNA BUGIA è UNA BUGIA E BASTA

    Abbiamo concordato di accettare le conseguenze delle nostre azioni con coraggio e responsabilità, ma soprattutto per dare una buona dose di educazione ai nostri figli.

    Con questo ho la speranza di cominciare a cambiare in qualcosa che prima sbagliavo. Il mio sogno è che i miei ripetano tutto questo in modo che un domani i figli dei miei figli o i loro nipoti possano vedere un nuovo mondo, UN MONDO SENZA FINESTRE ROTTE.

    SE SEI D’ACCORDO CON LA TEORIA DELLE FINESTRE ROTTE, FAI SEMPLICEMENTE GIRARE QUESTA E-MAIL IN MODO CHE OGNI GIORNO SIANO DI PIU’ QUELLI CHE VOGLIONO DARE UNA MANO AL MIGLIORAMENTO DELLA NOSTRA SOCIETA’.